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La legge delega recante l’introduzione dell’istituto manca di una disciplina transitoria che detti delle regole specifiche all’interprete a cui far riferimento per l’applicazione delle nuove disposizioni anche a fatti pregressi e ai procedimenti pendenti all’entrata in vigore dell’istituto. In assenza di una disciplina transitoria, l’interprete avrebbe dovuto far riferimento ai principi generali in tema di successione delle leggi penali nel tempo di cui all’art. 2 c.p., tuttavia la Corte di cassazione, in una delle prime pronunce sul tema, è intervenuta in materia stabilendo che: “la causa di non punibilità della speciale tenuità del fatto può trovare applicazione anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, stante il principio di retroattività della legge penale più favorevole”1.

La pronuncia si fonda sul riferire l’istituto di cui all’art. 131 bis c.p. alla categoria delle condizioni di non punibilità, in quanto si tratta di un istituto di diritto sostanziale che detenendo una disciplina più favorevole per l’imputato dovrebbe comunque applicarsi ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore dell’istituto, ai sensi dell’art. 2, comma 4, c.p. e in conformità con l’art. 25, comma 2 (principio di rieducazione della pena), e l’art. 3 (principio di uguaglianza) della Costituzione. La posizione della Corte è stata allo stesso modo sostenuta dai primi commentatori della disposizione2.

Sembra quindi superflua una qualsiasi disciplina di diritto intertemporale.

1 Cassazione penale, Sez. III, 8 aprile 2015, n. 15449; sullo stesso punto Cassazione

penale, Sez. I, 24 febbraio 2016, n. 13681.

102 Il comma 4 dell’art. 2 c.p. prevede infatti l'applicazione della norma penale più favorevole all'imputato; tale norma riguarda, perlopiù i processi pendenti e non quelli che siano già esauriti.

Il punto più delicato è quello di accertare quale sia la norma più favorevole. I principi che si seguono sono quelli per i quali si applica la norma di maggior favore nel caso concreto salva l'esclusione della possibilità di applicare parte di una disciplina penale e parte dell'altra. Alla stessa soluzione si dovrebbe arrivare anche nell’ipotesi in cui si ascriva la causa di cui all’art. 131 bis c.p. a istituto di diritto processuale, e quindi lo si consideri come causa di improcedibilità. Anche in questi termini deve trovare applicazione l’art. 2, comma 4, c.p. dato che non si riferisce solo alle valutazioni inerenti alla pena, ma si inserisce nel più ampio contesto del trattamento riservato all’imputato3.

Qualche perplessità era sorta con riferimento all’applicazione dell’istituto nei giudizi pendenti in Cassazione, poiché in tale sede la cognizione del giudice è limitata ai soli profili di legittimità mentre la cognizione dell’art. 131 bis c.p. imporrebbe una valutazione concreta, inserendo nuovi temi di indagine in evidente contrasto con quanto statuito dall’art. 609 c.p.p. che prevede che la Corte decide limitatamente ai motivi proposti dalle parti.

La giurisprudenza maggioritaria ha invece ritenuto ammissibile applicare l’art. 131 bis c.p. in tale fase, sull’assunto del comma 2 art. 609 c.p.p. che permette di dedurre questioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio e questioni che non è stato possibile dedurre in Appello.

In tali ipotesi però la Corte potrà solo rinviare la sentenza al giudice di merito, non potendo di fatto dichiarare la non punibilità.

3 In tal senso si è orientata la Corte di Cassazione, Sez. III, 8 luglio 1997, in Mass.

103 A ben vedere infatti, ammettere l’applicabilità delle regole previste dal nuovo istituto anche ai procedimenti in corso, specialmente per quelli di legittimità, non consente al giudice di dare agevolmente una valutazione in astratto della presenza o meno dei requisiti richiesti per l’applicabilità dell’istituto stesso. Il materiale che avrà a disposizione non è stato prodotto avendo come punto di riferimento la particolare tenuità del fatto: la conseguenza potrebbe essere quella di non avere elementi sufficienti per ammettere o negare la tenuità4.

Molto discussa è anche la questione che attiene alla possibilità di applicare l’art. 131 bis c.p. ai giudizi già conclusi con sentenza passata in giudicato.

L’art. 2 c.p. ammette che solo nel caso di abolitio criminis possano cessare gli effetti penali della condanna e non anche nei casi di successione fra discipline di cui una più favorevole.

Un primo orientamento riteneva che sulla base del principio del favor rei, e del principio di uguaglianza, si dovrebbe applicare l’art. 2, comma 2 del c.p, dato che l’art. 131 bis c.p. porta a un giudizio di irrilevanza penale del fatto proprio come nei casi di abolitio criminis.

La dottrina maggioritaria però si oppone a tale visione sulla base del fatto che la causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. presuppone la commissione di un fatto di reato, quindi l'istituto non determina un'abolitio criminis, che si configura invece quando un fatto non è più previsto come reato.

La Corte di cassazione ha in modo esplicito richiamato il comma 4 dell’art. 2 c.p., escludendo che si sia in presenza di un fenomeno riconducibile all’abolitio criminis5, stabilendo che si sia invece in

4 BARTOLI R., L’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, in Dir.

Pen. e Proc., 2015, p. 8.

104 presenza di un fenomeno di jus superveniens, ossia di una norma sostanziale favorevole al reo.

L'istituto di cui all’art. 131 bis c.p. rientra allora nell'area di operatività dell'art. 2, comma 4, c.p. che come detto attiene all'ipotesi di successione di leggi penali modificative della disciplina di un fatto che continua ad essere previsto dalla legge come reato.

Il giudice dell’esecuzione però non ha, anche secondo tale orientamento, i poteri cognitivi necessari per l’accertamento dei presupposti richiesti per l’applicazione dell’istituto di cui all’art. 131 bis c.p.

L'applicazione retroattiva della disciplina favorevole contenuta nell'art. 131 bis c.p. incontra il limite del giudicato, con conseguente preclusione della possibilità di revoca della sentenza ex art. 673 c.p.p.6

Un intervento recente della Corte di cassazione ha però ritenuto che: “il giudice dell'esecuzione non può applicare retroattivamente la disciplina di favore della particolare tenuità del fatto, poiché trattandosi di causa di non punibilità che non esclude la sussistenza del reato, non può applicarsi la disciplina in materia di successione delle leggi penali di cui all'art. 2 c.p.”7

6 Cassazione penale, Sez. V, 2 luglio 2015, n. 5800; Cassazione penale, Sez. III, 24

maggio 2015, n. 34932.

L’art. 673 c.p.p. prevede che: “nel caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, il giudice dell’esecuzione revoca la sentenza di condanna o il decreto penale dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti (art.193). Allo stesso modo provvede quando è stata emessa sentenza di proscioglimento (artt. 529- 532) o di non luogo a procedere (art. 425) per estinzione del reato o per mancanza di imputabilità.

7 In tal senso Cassazione penale, Sez. I, 15 settembre 2016, n. 46567 e

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3. L’applicabilità dell’istituto nei procedimenti