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RIFLESSI METAFISCALI DEL BOLLO

2. La nullità delle scritture immobiliari non registrate.

2.3 L’abrogazione della legge e la sua portata La natura della nullità

Queste le problematiche più delicate affrontate in vigenza della l. n. 1470, provvedimento che ha però suscitato vivace dibattito anche dopo la sua abrogazione, come consta da autorevole dottrina221 che in particolare si è soffermata sulla possibile portata retroattiva dell’abrogazione, negata in fine dalla Suprema Corte.

I giudici, rigettando il ricorso e confermando la nullità di una scrittura privata contenente la promessa di vendita di un terreno in quanto registrata oltre termine, hanno indagato la ratio della comminatoria, anche andando a ritroso all’immediato precedente normativo222 del R. D. al nostro esame. legge che stabilisse senz’altro la nullità di un contratto già concluso. E la soluzione è la stessa, si tratti di contratti conclusi prima o dopo l’entrata in vigore della legge fiscale”

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V. amplius AZZOLINA, La mediazione, in Tratt. dir. civ. it., diretto da Vassalli, Torino, 1943, p. 69 e ss.

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REDENTI, Sugli effetti del decreto legislativo 20 marzo 1945, n. 212 abrogante l’obbligo di registrazione “a pena di nullità” delle alienazioni immobiliari, nota a Cass. 13 maggio 1946, in Giur. it., 1946, I, 1, 289 e ss.

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E’ utile, aldilà dei richiami in sentenza, tracciare brevemente l’excursus che ha portato all’emanazione del R. D. 1470. Ed infatti il decreto al nostro esame è stato varato a seguito di una serie di provvedimenti dettati anch’essi dal particolare momento contingente. Il primo di questi, d. l. 14 giugno 1940, n. 643, per porre freno agli eccessivi investimenti immobiliari e alla conseguente inflazione, inaspriva l’imposta di registro relativa al trasferimento degli immobili adeguandolo al “plusvalore” del bene, determinato in base al valore venale. Tale plusvalore era pertanto colpito con imposta speciale di registro nella misura proporzionale del 60% e venivano altresì aumentate alcune aliquote della tariffa relativa al registro ed all’imposta ipotecaria. Tale disciplina veniva tuttavia regolarmente elusa pagando l’imposta una volta sola, e cioè all’ultimo trasferimento dell’immobile, con evasione del tributo relativo ai passaggi intermedi, ed infatti, data la tendenza al rialzo dei prezzi, gli speculatori usavano acquistare per sé o per persona da nominare con semplice scrittura privata da trasfondersi successivamente in atto pubblico in un termine successivo. Fra la stipula della prima scrittura privata e quella dell’atto pubblico intervenivano una serie di passaggi di proprietà ancora con scrittura privata e con rialzo di prezzo, e pertanto davanti al notaio comparivano il primo compratore e l’ultimo venditore. Tale stato di cose

Quanto alla ratio, viene specificato che non è lasciata alla discrezionalità delle parti l’eventualità di sottoporre la scrittura a registrazione, poiché, come giustamente aveva prospettato la Corte di merito, la registrazione entro il termine perentorio si configura come elemento essenziale ed integratore dell’esistenza degli atti posti in essere mediante scrittura privata non autenticata.

Sull’invocata retroattività del d. l. lgt. il giudice stabiliva poi che in linea di principio l’irretroattività non costituiva un valore assoluto per l’ordinamento (art. 11, prel.), ma che tuttavia, per applicarlo, bisognava rinvenire un’espressa volontà contraria del legislatore. Questi, nell’abrogare una norma di diritto singolare emanata per esigenze belliche per ritornare al diritto comune, non solo non aveva enunciato expressis verbis la retroattività, ma aveva dimostrato la volontà di non sconvolgere i delicati equilibri del mercato fondiario richiamando in vita trasferimenti immobiliari già dichiarati nulli per inadempimento fiscale; tale lettura restava peraltro pienamente suffragata dal riscontro con l’art. 20, l. 7 gennaio 1929, n. 4, che in tema di repressione di violazione di leggi finanziarie, stabiliva che “le disposizioni penali delle leggi finanziarie e quelle che prevedono ogni altra violazione di dette leggi si applicano ai fatti commessi quando tali disposizioni erano in vigore, ancorché le disposizioni medesime siano abrogate, o modificate al tempo della loro applicazione”.

La citata dottrina ritiene apodittica la motivazione argomentata in base all’art. 11, preleggi, ed insufficiente in base al richiamo dell’art. 20, l. n. poste in essere dalle parti sottraendosi all’efficacia vincolante delle scritture (promesse e compromessi) non registrate. In tal senso, il decreto del 15 luglio 1941, n. 648 disponeva che, decorso il termine per la registrazione, una delle parti potesse dichiarare all’altra di voler risolvere il contratto; se la controparte non avesse provveduto, a sue spese, alla registrazione nei venti giorni successivi, il contratto s’intendeva risolto. Questa figura di risoluzione divergeva rispetto al diritto civile per la circostanza che la dichiarazione di risoluzione poteva basarsi semplicemente su un inadempimento fiscale, e l’adesione della controparte al mutuo dissenso consisteva appunto nel non adempiere alla registrazione. La caducazione del contratto risultava dunque a seguito di un processo che partiva su impulso di parte, e pertanto poteva restare inoperante: col decreto del settembre 1941 si stimò migliore il più radicale provvedimento di sanzione della “nullità di pieno diritto” col divieto di registrazione tardiva.

Con i decreti legge 12 aprile 1943, n. 234, e 19 agosto 1943, n. 737, l’imposta speciale del 60% sul plusvalore veniva riassorbita nelle tariffe ordinarie (fortemente inasprite), senza

4223, in quanto quest’ultimo “si riferisce a sanzioni da applicarsi caso per

caso con provvedimenti ad hoc degli uffici finanziari o dei giudici; e qui ci troviamo invece di fronte ad una ”nullità” ex lege (“di pieno diritto”). E non si può dire che la mancata registrazione ai tempi del decreto del 1941 costituisse un “fatto commesso in violazione…” ai sensi dell’articolo citato, perché in fondo, secondo il decreto del settembre del 1941, le parti finivano col restar libere di registrare o non registrare in termini, salvo subire in ipotesi quelle tali conseguenze automatiche ex lege”224.

A tale critica segue l’ovvia constatazione della difficoltà di configurare giuridicamente una nullità “sopravvenuta”: il contratto viene validamente concluso dalle parti, e prende a spiegare i propri effetti giuridici normali; soltanto se le parti non provvedono, nei termini successivi concessi ad hoc, alla formalità della registrazione o della stipula in forma di atto pubblico registrato, l’efficacia giuridica viene meno, travolta dalla “nullità di pieno

diritto”. La formalità della registrazione è peraltro un adempimento

estraneo ed estrinseco rispetto alla formazione dell’atto ed ai suoi elementi costitutivi, essendo viceversa un onere esterno imposto alle parti dallo Stato

sub specie fisci: non sembra pertanto concepibile, a mente di Redenti, che la

reazione ordinamentale ad un inadempimento di un obbligo di tal fatta possa consistere in un sanzione totalmente demolitiva del rapporto negoziale già legittimamente posto in essere e produttivo di effetti225.

Tanto detto, risulta necessario proporre alcune ipotesi ricostruttive. In primo luogo la registrazione può essere concepita come condicio juris inerente per volontà della legge al negozio, come avviene per le convenzioni ulteriori modifiche al d. del settembre ’41, che infine veniva abrogato col d. del 20 marzo 1945.

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E’ in sintonia con la negazione di quest’argomento, pur aderendo alla sentenza, TORRENTE, in Foro it., 1944-’46, I, 541.

224

REDENTI, ult. cit., p. 291.

225

“Ora è concepibile che il mancato adempimento di tale onere potesse reagire, anche senza e contro la volontà delle parti, sui rapporti interni già legittimamente costituiti fra loro, e reagire anzi a tal segno che fra di loro non ne sopravvivesse più nulla, come se il negozio non fosse mai stato concluso o fosse, per così dire, cancellato retroattivamente dalla storia? Quella della risoluzione secondo il decreto del luglio 1941 era, come ho detto, un fenomeno che si poteva ancora inquadrare nelle linee generali del diritto vigente, ma questo della nullità assoluta superveniens de jure per un fatto estraneo al negozio, a me

matrimoniali quando ad esse non segua poi la celebrazione del matrimonio. Tale prospettazione inquadrerebbe la registrazione fra le condizioni improprie impeditive che sospendono la perfezione o la futura efficacia del contratto, portando sèco un’impossibilità o illiceità della causa o dell’oggetto fin quando il dato evento non si avveri. Per questa via, che è cara al Redenti ma tuttavia non lo convince fino in fondo226, il registrare diviene elemento di liceità del negozio, e la sua mancanza gli fa perdere efficacia; ma qui la condizione non sarebbe impeditiva, bensì risolutiva del contratto che nel frattempo è stato efficace. Tale tesi dimostra ancora elementi di debolezza ove si consideri che il mancato avveramento della condizione normalmente importa l’impossibilità della volontaria esecuzione del contratto, che nel caso della nullità ex r. d. l del ’41 sembra di fatto plausibile e pienamente realizzabile. Ed infatti può ben accadere che le parti, impegnate in una vendita per scrittura privata e lasciati scadere i termini per la registrazione per un qualsivoglia motivo, diano volontaria esecuzione al contratto in buona fede, ed in maniera valida ed efficace, e tanto basta ad eliminare nettamente l’ipotesi di illiceità od impossibilità dell’oggetto o della causa, e uguale discorso è a farsi per il caso che le parti siano legate con una semplice promessa di vendita cui segua la stipulazione definitiva, in atto pubblico, oltre il termine stabilito227.

Accantonata questa ipotesi, la natura intima della comminatoria sembra allora risiedere nel fatto che la mancata registrazione nel termine comporti semplicemente l’inefficacia in giudizio del contratto, risultato perseguito da un canto vietando la tardiva registrazione, ed impedendo dall’altro al giudice di dare effetto alla convenzione, ancorché per sbaglio fosse stata registrata fuori termine. Quest’ultimo divieto si traduce però nell’esorbitante

226

Idea già prospettata da MONTEL, nelle due note a sentenza ult. cit. , ma avversata da SANTORO PASSERELLI, ult. cit., che avvertiva come si fosse in presenza di un’invalidità successiva.

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Nel differente caso in cui non vi fosse concordia fra le parti, e quindi una avesse adempiuto e l’altra si fosse rifiutata di adempiere, la parte adempiente, vedendosi preclusa la richiesta di esecuzione e quella di risoluzione, allora invocava la nullità della convenzione per recuperare la prestazione effettuata, in quanto istruzioni in tal senso avevano introdotto la possibilità di registrare l’atto ad effetti diversi da quello del trasferimento, come doveva appositamente annotare l’Ufficio al momento di eseguire la registrazione.

formula verbale della nullità di pieno diritto, regolarmente rilevabile d’ufficio (art. 5), la quale rappresenta il deterrente più incisivo all’evasione d’imposta.

Per Redenti, dunque, la comminatoria non vale a cancellare dal mondo giuridico il negozio nato perfetto, efficace, valido, ma lo rende “debole” in sede giudiziale, perdendo esso “l’azionabilità […] dell’efficacia

giuridica”228: quest’opzione interpretativa permette l’affermazione per cui resta in piedi un rapporto che può dar luogo ancora a soluti ritentio nel senso ampio dell’irrevocabilità della volontaria esecuzione, e che per il resto è affidato a norme di costume extragiuridiche e regolative di rapporti sociali.

Il corollario più importante di quest’ultimo ragionamento si svolge nell’indagine dei rapporti della sanzione della nullità di pieno diritto col decreto abrogativo del 1945: la sopravvenuta abrogazione della sanzione deve allora intendersi come retroattiva in quanto restituisce alle convenzioni “disarmate” e ad efficacia “compressa” la pienezza degli effetti, e cioè la possibilità di essere azionate in giudizio; tale prospettazione non urta col principio di irretroattività della legge, poiché non si tratta di ridare vita ad un negozio ormai nullo, né di attribuire al negozio, per mezzo del giudice, effetti che esso non aveva mai avuto: viene meno un divieto posto dallo Stato per fini fiscali per cui le parti rientrano nelle piene facoltà inerenti il negozio la cui efficacia è riespansa. Altri corollari pratici riguardano l’impossibilità di chiedere al giudice provvedimento di condanna per inadempimento riferito ad un tempo anteriore all’abrogazione, in quanto nel periodo di riferimento il negozio era provvisoriamente inefficace, né tanto meno si può chiedere risoluzione per inadempimento dovuto a colpa (questo presuppone l’azionabilità del negozio); in caso di doppia alienazione, resta efficace e valida la seconda convenzione, in quanto il primo contratto non

228

“Con ciò il negozio giuridico che era nato perfetto, efficace, valido e produttivo di effetti non veniva ad essere cancellato dalla storia (ciò che ripugna non meno al buon senso che al sistema del diritto civile), ma veniva semplicemente ad essere disarmato, per non aver pagato lo scotto dell’armamento, e cioè ad essere privato dell’azione, o meglio, della ”azionabilità”, e in questo senso (ma solo in questo) dell’efficacia giuridica che pure

era al tempo azionabile ed il venditore era giuridicamente libero di disporre ulteriormente del bene.

La posizione fatta propria da Redenti è affiancata, infine, dall’originale apporto di Quadri229, il quale prospetta un’insolita tesi basata su principi di ordine generale ed internazionalistico.

Partendo dal presupposto che la legge del 1941 ha comportato una mera “compressione” degli atti, suscettibile di riespansione verso la ritrovata pienezza di effetti, l’A. sposta la sua riflessione sul concetto di ordine pubblico internazionale, accennando ai problemi che possono sorgere in sede di applicazione di norme di diritto internazionale privato quando al giudice è richiesta l’applicazione di norme che siano in contrasto coi principi essenziali dell’ordinamento giuridico italiano. Tanto detto, gli sembra di ravvisare identici presupposti nell’avvicendamento della legge del 1941 e della seguente legge abrogativa che non pongono, a suo dire, un mero problema di diritto intertemporale. Per Quadri infatti lo Stato italiano nel 1945 è diverso dallo Stato fascista caduto il 25 luglio del 1943230, e pertanto l’applicabilità di una legge emanata durante il periodo fascista non è questione di diritto intertemporale, né tanto meno questione di diritto internazionale privato: è un “quid medium” che risponde ad esigenze di

ordine pubblico assoluto; a questo punto “Il nuovo Stato italiano, implicitamente ha rimesso in vigore in blocco la legislazione dello Stato fascista estinto, ma, sottintendendo, a prescindere poi dalle modifiche espresse, che la legislazione stessa verrà applicata dai giudici finchè non contrasti con l’ordine pubblico del nuovo Stato. Una legge del tempo

229

QUADRI, Ordine pubblico e nullità di contratti immobiliari non registrati, nota adesiva a Tribunale Ascoli Piceno 4 marzo 1946, in Giur. it., 1946, I, 2, 161 e ss.

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“Se vogliamo credere ai giuristi che guardano solo alla forma, all’apparenza […] lo Stato italiano attuale non sarebbe che lo stesso Stato fascista. Sarebbero, lo Stato italiano attuale e lo Stato fascista, la stessa persona. […] Ora una simile costruzione, a parte i suoi aspetti umoristici, è manifestamente contraria alla realtà. Dopo il 25 luglio in Italia si è avuta una rivoluzione. Lo Stato fascista, che cercò di sopravvivere nella repubblica sociale italiana, si è estinto. […] un nuovo Stato si è formato.[…] se il 25 luglio il Re sembrò esercitare un potere che gli derivava dalle leggi del tempo fascista, in realtà quel giorno ebbe inizio un ciclo rivoluzionario che sconvolse gradualmente tutte le basi, tutta la struttura dello Stato anteriormente esistente e che diede vita ad uno Stato nuovo.” (ibidem, p. 162). La tesi della rivoluzione è ulteriormente disputata dall’A. in IDEM, Stato (diritto internazionale), in Nss. Dig. It., Torino, 1939.

fascista che contrasti con le nostre concezioni giuridiche e sociali attuali, non deve essere applicata; devono essere applicati i nuovi principi la cui esclusiva applicazione impedirà che l’armonia del nostro sistema sia turbata, che la nostra coscienza giuridica sia estinta”. Chiusa l’importante

premessa inquadrativa, si riflette sull’assoluta contrarietà ai principi dell’ordine pubblico assoluto del legge recante la nullità dei contratti preliminari non registrati: tale normativa non può essere retroattiva, in quanto si tratterebbe di legge fascista retroattiva; al contrario il decreto abrogativo deve avere quell’ampiezza di portata in quanto cancella una legge fascista e per di più contraria ai principi di recente affermatisi con la costituzione del nuovo Stato italiano.

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