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L’articolo 11 del progetto di legge: l’inesperibilità permanente del chirografo

LA LEGGE DI REGISTRO DEL

1. L’articolo 11 del progetto di legge: l’inesperibilità permanente del chirografo

Le esigenze di cui sopra presero corpo nell’articolo 11 del progetto di legge, venuto in discussione al primo ramo del Parlamento il 9 maggio 186888. Tale disposizione recitava: ”Tutti gli atti che per le leggi vigenti sono sottoposti al registro, trascorso il termine stabilito per la registrazione, potranno tuttavia registrarsi entro nel periodo di mesi sei, decorrendi dalla spirazione di quel termine, previo il pagamento dei diritti e delle penali nelle leggi stesse stabilite. Decorsi sei mesi, non potranno però né registrarsi, né prodursi, né essere rammentati o valutarsi in giudizio. Tutti gli atti soggetti a

bollo dalle leggi vigenti, che ne saranno mancanti, non potranno né bollarsi, né prodursi o essere rammentati o valutati in giudizio”.

Il tenore letterale sembrava portare alla conclusione per cui, trascorsi in vano sei mesi nei quali le parti non avessero provveduto ad assolvere agli oneri fiscali, l’atto sarebbe praticamente divenuto inservibile, e tale considerazione provocò una vibrante levata di scudi, il cui capofila fu l’onorevole Pasquale Stanislao Mancini.

Il deputato aveva ben chiare le problematiche che una norma siffatta poteva produrre: se la legislazione vigente predisponeva sanzioni pecuniarie per la mancata registrazione piuttosto congrue da essere classificate come vere e proprie pene dal punto di vista del grado afflittività, la proposta di legge viceversa prescriveva: “un termine fatale di sei mesi, trascorso il quale

senza che l’atto sia registrato, l’atto medesimo in pena di tale inadempimento rimanga assolutamente inefficace e come insussistente”. Ed

infatti la norma regolativa della materia (art. 99, l. r. del 1866), come già le omologhe norme di cui alle precedenti leggi, postulava la improducibilità in giudizio, e quindi inficiava la forza probante dell’atto, fin quando non si fosse provveduto a registrarlo con maggiorazione della multa per il tardato pagamento, senza mai revocare in dubbio la validità intrinseca dell’atto stesso, né la possibilità di farne uso o l’utilizzazione dei diritti da esso scaturenti89.

Egli riteneva che se la norma da regola propria della registrazione fosse diventata principio cardine dell’ordinamento tributario si sarebbe giunti a conseguenze aberranti: in tema di imposte dirette mobiliari ed immobiliari, colui che avesse evaso, dichiarato infedelmente, frodato il fisco nell’assolvimento dell’imposta di ricchezza mobile o della fondiaria avrebbe subito un vero e proprio esproprio dei suoi diritti, ancorché fosse incorso in un semplice ritardo nel pagamento; d’altra parte, nello specifico campo della registrazione, il deputato sottolineava come sui contratti e sulle obbligazioni

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Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Legislatura X, Discussioni, sessione del 1867, tornata del 9 maggio 1868, Firenze, 1868, p. 5861.

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“…né si pensava che a termini di giustizia e convenienza potesse giammai venire proposta una disposizione dalla severità esorbitante, e mi sia lecito il dirlo, assurda,

basati esclusivamente sulla buona fede dei contraenti si fondasse una rete di rapporti giuridici da cui dipendeva un’amplissima mole di interessi sia pubblici che privati, i quali sarebbero stati sacrificati anche per una semplice dimenticanza.

Le preoccupazione legate all’art. 11 si amplificavano quando della disposizione si dava lettura in combinato disposto con l’art. 35, progetto, in base al quale: “Gli atti stipulati prima della promulgazione della presente legge, non bollati o registrati in tempo, potranno essere bollati o registrati entro un termine di sei mesi dalla suddetta promulgazione col pagamento anche delle relative penali; trascorso quel termine, soggiaceranno alle prescrizioni dell’art. 11”. Tale norma rendeva in un certo qual modo retroattiva la disposizione dell’art. 11, la quale si poteva applicare non solo agli atti stipulati dopo l’entrata in vigore della legge, ma a tutto quanto stipulato precedentemente, da sottoporsi a registrazione nel termine perentorio dei sei mesi. La palese ratio antievasiva, consistente nel tentativo di arginare le possibili frodi di retrodatazione delle scritture ad un tempo anteriore alla legge, era per Mancini gravemente sovversiva del principio per cui tempus regit actus: se infatti due privati, al momento di stipulare un contratto, non lo avessero sottoposto a registrazione, avrebbero compiuto una scelta in costanza di una legge che permetteva loro un assolvimento tardivo dell’imposta e quindi la conseguente producibilità in giudizio del documento90, senza prevedere di trovarsi a pagare l’imposta in una sola soluzione e con scadenza perentoria a sei mesi.

Prima di concludere il suo lungo intervento, Mancini descriveva due possibili vie di frode alla legge non previste dalla norma: in primo luogo la

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“Tutti i contraenti anteriori potrebbero dirci: noi siamo stati traditi; se la legge avesse detto che bisognava inevitabilmente pagare sopra un contratto di dieci, trenta, quaranta milioni, non avremmo aderito ad una contrattazione somigliante; mancava il tornaconto commerciale; noi vi abbiamo aderito cogli occhi rivolti alla disposizione della legge, la quale non faceva derivare la nullità degli atti dal ritardo dell’adempimento delle formalità di registro. Sarà egli lecito, sarà morale che una legge sopravvenente condanni alla nullità ed alla distruzione tutta questa massa di atti e di stipulazioni, mettendo i contraenti nell’alternativa di riputare come mai avvenute contrattazione, alle quali hanno dato un’esecuzione talvolta dispendiosa e feconda per essi di gravissime conseguenze, ovvero per tenere in piedi queste convenzioni, turbare tutta l’economia delle loro operazioni, ed assoggettarsi al pagamento d’una tassa che è fuori di tutte le loro previsioni?” (ibidem, p. 5863).

stipula di un contratto con data in bianco, per cui il creditore, a fronte di inadempimento, doveva semplicemente apporre una data tale da permettergli la registrazione e quindi l’azione contro l’inadempiente; in secondo luogo, la redazione di una confessione del debitore con la quale il creditore potesse provocare in seguito, ed extragiudizialmente, una ricognizione di debito.

La requisitoria di Mancini mette in luce alcuni spunti molto interessanti: l’articolo 11, che egli considera profondamente ingiusto, è una norma sanzionatoria che non trova omologhi nel panorama positivo delle disposizioni penali tributarie e pertanto è avulsa da un contesto che, in un suo auspicio de jure condendo, doveva essere il più omogeneo possibile. Più in generale poi, egli si aspetta non un aumento, ma una flessione del gettito, dovuta all’eccessivo rigore della formula legislativa, all’eliminazione del fruttuoso introito dato dalle registrazioni tardive ed al moltiplicarsi di comportamenti evasivi sempre più raffinati.

Ma questi punti di vista erano largamente condivisi in Parlamento, come è dimostrato dall’articolato dibattito che doveva seguire.

Righi ed Arrigossi proponevano la soppressione dei cpv. 2 - 3 da sostituirsi con il testo: ”Decorsi sei mesi, incorreranno nella multa del quintuplo della tassa cui sarebbero soggetti; denunciandosi spontaneamente la contravvenzione da una delle parti obbligata a produrli per la registrazione, o degli aventi causa dalla medesima, la multa sarà ridotta all’importo del doppio della tassa di registro. Eguale norma sarà applicata per gli atti soggetti a registro, nei riguardi del bollo di cui dovessero essere muniti. Tutti gli atti soggetti a bollo e non ad essere registrati potranno essere ammessi in giudizio senza che siano muniti del bollo competente; in caso di mancanza saranno assoggettati alla multa del quintuplo dell’importo del bollo mancante, riducibile una tale penalità al doppio soltanto quando vengano denunciati spontaneamente dagli interessati o dagli aventi causa da essi”. Prendendo la parola per esporre la proposta, Righi ribadiva la necessità di rigettare la formulazione dell’art. 11 che postulava l’inefficacia

totale per gli atti in contravvenzione con la legge di registro91, sottolineando come la clausola di inefficacia non fosse assolutamente giovevole per il fisco se non coniugata con la richiesta dell’imposta e della multa relativa al ritardo; la caducità della forza probatoria del contratto non favoriva d’altro canto il gettito: se al contrario si permetteva la registrazione tardiva, l’amministrazione avrebbe continuato a poter esigere tassa e sopratassa. Ma la critica di Righi scendeva sul piano della tecnica legislativa92, denunciando una certa nebulosità nella formulazione della norma: non si comminava la nullità dell’atto expressis verbis, ma si parlava di insuscettibilità di registrare, di presentare, valutare o rammentare in giudizio, formulazione quasi di compromesso per le divergenze di vedute sorte nella commissione parlamentare che aveva steso il progetto. Efficacia giuridica intrinseca della convenzione ma sua permanente inefficacia probatoria, al posto della quale il deputato proponeva un semplice inasprimento delle sanzioni pecuniarie, ridotte nel caso di spontanea denuncia da parte del contravventore.

Per il caso di mancato accoglimento dell’emendamento, il proponente si preoccupava poi di proporre un sotto emendamento per il quale: “Si fa eccezione degli atti soggetti cumulativamente a registro e bollo, per i quali l’obbligo del bollo potrà venire soddisfatto al momento della loro registrazione, ferme le penali stabilite dalle leggi”. Tale correttivo si rendeva necessario per eliminare un’antinomia presente tra i comma 1 e 3

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“Io credo […] assurda e ributtante per la ragione, la comminatoria proposta dalla Commissione, in forza della quale un atto, giuridicamente perfetto sin dalla sua origine, abbia ad essere ritenuto nullo od inefficace pel solo motivo che i suoi autori non abbiano corrisposto alle sottili esigenze delle leggi di finanza. […] tale comminatoria sia contraria affatto ad ogni principio di giustizia e del

pi ù elementare

diritto. […] D’altra parte […] la Commissione stessa, nella chiara sua intelligenza e coscienziosità, non ebbe a dissimulare, anzi ammise la gravità eccezionale degli argomenti che stanno contro la sua proposta. La Commissione ci confessò le gravi, le radicali scissure che sono insorte nel suo stesso seno relativamente a quest’argomento; e non seppe ravvisare altro motivo che la confortasse ad insistere nella sua proposta, se non quello del lauto profitto che ella se ne ripromette a favore del pubblico erario” (ibidem, p. 5865).

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In realtà Righi cade in contraddizione, poiché se è vero che la legge non parla di nullità ma di impossibilità di registrare, produrre, rammentare o valutare in giudizio tanto per l’evasione del registro come per quella del bollo, egli in un caso afferma non esserci nullità ma inefficacia probatoria, mentre nel secondo caso parla di vera e propria nullità.

dell’articolo, in quanto al co. 1 si stabiliva la possibilità di assolvere al registro in qualunque tempo entro sei mesi dallo spirare del termine di legge, nel co. 3 invece, si stabiliva che l’evasione dell’imposta di bollo rendeva immediatamente l’atto nullo. Considerando che gli atti da sottoporre a registrazione dovevano essere redatti in carta bollata, si produceva la grave differenza per cui nei sei mesi successivi ai tre prescritti per registrare, in cui le parti potevano tuttavia sanare l’atto registrando, lo stesso atto era già radicalmente nullo per mancato pagamento del bollo. Un altro emendamento era avanzato dagli onorevoli Ferri ed Alippi, che al posto dei comm 2 e 3 dell’articolo proponevano: “Decorsi i sei mesi, potranno registrarsi, previo il pagamento del decuplo dei diritti e delle penali, senza di che non potranno prodursi, né rammentarsi né valutarsi in giudizio. In questo caso però le maggiori spese saranno a carico del possessore dell’atto senza diritto a rimborso. Queste disposizioni saranno egualmente applicabili agli atti soggetti a bollo, e che ne fossero mancanti”. Ferri chiedeva una sanzione pecuniaria piuttosto grave93, ma considerava come nonostante ciò essa non si concretasse nella comminatoria di nullità dell’atto, con la novità che il peso delle penali si poneva a carico della sola parte in possesso del documento non registrato, e senza diritto di rivalsa, stabilendo una presunzione ex lege di negligenza in capo a tale soggetto rispetto alla violazione dell’obbligo fiscale.

Interveniva poi l’onorevole Faro, il quale, in subordine alla mancata soppressione della disposizione o al mancato accoglimento di tutti gli emendamenti relativi al mantenimento dell’efficacia degli atti registrati o bollati tardivamente, suggeriva di aggiungere il comma per cui “Ben vero potranno registrarsi o bollarsi, ed essere prodotti o valutati in giudizio al solo fine di ripetere i valori che vi fossero dati”. Anch’egli sottolineava

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“Convengo […] che adottando l’emendamento che ho proposto, si verrebbe a rendere quasi impossibile la registrazione, ed a produrre lo stesso effetto che adottando la comminatoria della Commissione, perché, fatto il conto, qualche volta si verrebbe a pagare il 25, il 30 ed anche il 35%. D’altra parte, colui che ha contravvenuto alla legge è ben giusto che sia assoggettato a questa penalità […] Concludo dicendo che estendere la penalità per chi non registra gli atti parmi sia cosa opportuna, ma altrettanto sarebbe ingiusto annullare atti non giuridicamente fatti, perché non sottoposti ad una formalità

l’incapacità della Commissione di portare la norma alle logiche conseguenze della nullità intrinseca del contratto che non ha adempiuto agli obblighi fiscali, sanzionandolo con un’inefficacia probatoria totale ed insanabile e forgiando una soluzione di compromesso dovuta al bilanciamento della necessità assoluta di colpire i comportamenti fraudolenti e della circostanza che la minoranza della Commissione chiedeva che la materia della validità intrinseca degli atti restasse devoluta alla legislazione civile generale. Quando poi entrava nel merito, svolgeva considerazioni originali: se lo stesso atto fosse stato valido per la legge civile sostanziale, ma totalmente inutilizzabile a fini probatori a causa della previsione di una legge d’imposta particolare, in sede processuale si sarebbe prodotta la preclusione di agire col chirografo, salva comunque la possibilità di resistere in via di eccezione o di riconvenzione94. Successivamente formulava due possibili casi di aggiramento della disposizione, considerando in primo luogo l’eventuale presenza di un terzo. Nell’ipotesi di un contratto di mutuo non registrato nei sei mesi e quindi inutilizzabile in giudizio, il terzo creditore del mutuante avrebbe potuto pignorare presso il debitore il quale non poteva efficacemente opporgli la preclusione ex art. 11, circoscritta alle parti contraenti che avevano partecipato alla frode; in secondo luogo, applicava lo schema in parola alla simulazione delle parti, nell’esempio di chi affitta i suoi fondi senza registrarne il contratto: all’affittuario che non pagasse eccependo l’inutilizzabilità del chirografo si poteva opporre un finto creditore del dante causa che recuperasse i fitti non corrisposti. Tutto ciò esposto, Faro consigliava di sopprimere l’art. 11 tout

court e di non modificare le regole generali già vigenti.

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“Così un atto ha validità intrinseca secondo la legge generale, ma sarebbe inesperibile secondo la legge fiscale. […] Con quest’atto, dirà il giudice, io non potrei ammettere un esperimento di azione, la legge fiscale impera: il chirografo, l’atto è in esperibile; però l’autore della legge mi ha detto: io non ho inteso comminare la nullità della stipulazione, ebbene, io darò vigore alla stipulazione in linea di eccezione, in linea di riconvenzione. Così avremo un atto senza risultati utili se prodotto come a fondamento di azione, con effetti legittimi se prodotto per sostenere un’eccezione, una retenzione, una

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