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Elusione e fattispecie negoziale con fine elusivo nella legge di registro: cenni storici tra interpretazione e applicazione del diritto

RIFLESSIONI INTRODUTTIVE 1 Un tentativo di definizione

3. Elusione e fattispecie negoziale con fine elusivo nella legge di registro: cenni storici tra interpretazione e applicazione del diritto

tributario.

Tale dibattito è stato avviato sullo scorcio degli anni trenta da Jarach327, e si è misurato, ancora una volta, sul campo della legge di registro.

L’art. 8 dell’abrogato R. D. 30 dicembre 1923, n. 3269, disponeva che l’applicazione del registro dovesse avvenire “secondo l’intrinseca natura e gli effetti degli atti e dei trasferimenti se anche non vi corrisponda il titolo e la forma apparente“328. Il punto del dibattito attingeva al problema dei canoni di interpretazione degli atti sottoposti a registro: l’operazione ermeneutica doveva essere effettuata in base a parametri giuridici o economici?

Tale questione involgeva strettamente i rapporti fra diritto civile e diritto tributario, già analizzati, per il fatto che il secondo operava riferimenti a concetti già elaborati dal primo, riferimenti che erano oramai considerati di ordine pratico in quanto non rivolti all’istituto civilistico inteso in sé, e cioè secondo l’interpretazione dalla dottrina civilistica, ma inteso come fenomeno della vita dotato di una propria funzione economica normale329: una ricostruzione siffatta liberava il problema di indagine dell’elusione dagli schemi di diritto civile.

327

JARACH, Principi per l’applicazione delle tasse di registro, Padova, 1937.

328

La prima formulazione della norma risaliva all’art. 7, l. reg. del 21 aprile 1862, n. 585, per cui “la tassa è applicata seconda la intrinseca natura degli atti e dei contratti, e non secondo la loro forma apparente”. Il criterio effettuale, al centro del presente dibattito, permetteva che il legislatore tributario, ai fini della specifica imposta, potesse spingersi a dare una qualificazione diversa da quella data dalle parti in sede contrattuale. In questa direzione aveva operato anche la giurisprudenza. V. Cass. Roma 5 giugno 1878. La Corte, riqualifica qui un contratto di locazione d’opere come compra vendita, portando a tassazione il valore reale di £ 1.000.000 a fronte delle dichiarate £10.000 di mercede.

329

Per la dottrina che elabora questo concetto vedi in Germania BALL, Steuerrecht und Privatrecht, Mannheim - Berlin – Leipzig, 1924, secondo cui i concetti civilistici e tributari, pur designati con lo stesso nome, non hanno mai significato uguale nei rispettivi campi di applicazione; e in Italia PUGLIESE, Istituzioni di diritto finanziario, Padova, 1937, p. 11, per cui “Il diritto finanziario […] è ben lungi dal far proprio, nella normalità dei casi, i concetti e gli istituti civilistici, senza adattarli alla propria natura pubblicistica e ai propri fini specifici; in guisa che costituirebbe un grande errore per l’interprete trasporre sic et simpliciter tali concetti e istituti nel campo del diritto finanziario senza

A tale impostazione reagiva però Berliri preannunciando la “confusione

delle lingue”330 e sottolineando la necessità che il legislatore, insieme alla

pars destruens, dettasse una pars construens che esprimesse il significato

dei termini di volta in volta utilizzati331.

Jarach spiegava l’art. 8 nel senso che esso aveva previsto “L’ipotesi che

l’atto compiuto dalle parti non abbia ricevuto la forma giuridica normale, che è pure quella che la tariffa contempla come oggetto del tributo, e dispone, […] conforme ai principi fondamentali del diritto tributario, che in tale ipotesi si deve aver riguardo, nell’applicazione delle tasse […] alla portata economica degli atti compiuti e non al loro aspetto giuridico”332. Quest’impostazione era condivisa da Griziotti, che reputava rilevante il contenuto economico dell’atto, essendo il tributo di registro non una tassa, ma un’imposta, che come tale colpiva fatti economici333. Come avrebbe acutamente osservato Pomini334, se vi era divergenza tra scriptum e gestum economico, era necessario considerare sempre il secondo, a prescindere dalla coincidenza tra scriptum e gestum giuridico.

La reazione di Berliri si articolava su più fronti di critica. Innanzi tutto egli rivendicava al legislatore il giudizio sull’idoneità di un fatto a manifestare capacità contributiva, non lasciando alcuno spazio di supplenza per l’interprete: se il legislatore sbaglia, non c’è rimedio ermeneutico335.

330

BERLIRI, Negozi giuridici o negozi economici quale base d’applicazione per l’imposta di registro, in Riv. it. dir. fin., 1941, 167.

331

IDEM, Le leggi di registro, Milano, 1961, p. 145.

332

JARACH, op. cit., p. 29. L’Autore, in coerenza, affermava che la promessa di vendita e la vendita erano, nella loro evidente diversità giuridica, economicamente equivalenti, “se la promessa non verrà mantenuta, non vi sarà stato alcun trasferimento di proprietà, ma sorgerà un diritto al risarcimento danni che, per sua natura, gli è economicamente equivalente”. E continuava nel senso che se due atti giuridicamente diversi esprimono la stessa capacità contributiva, “a parità di capacità contributiva deve corrispondere uguale imposta” (ibidem, p. 30 e ss).

333

GRIZIOTTI, Il teorema della prevalente natura economica degli atti oggetto delle imposte di registro (a proposito degli artt. 8, 9 e 65 dell’imposta di registro), in Riv. dir. fin. sc. fin., 1941, 27 e ss. L’Autore allargava le sue considerazioni all’imposta di ricchezza mobile, per cui se un mutuo era dissimulato da una fornitura, non si sarebbe applicata l’aliquota della categoria B sugli utili da contratto di fornitura, ma l’aliquota della categoria A sui redditi derivanti esclusivamente da capitale.

334

POMINI, La distinzione tra gestum giuridico e gestum economico rispetto all’art. 8 della legge di registro, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1943, 12 e ss.

335

Così BERLIRI, Negozi, cit., p. 170 e IDEM, Le leggi di registro, cit., p. 146. Qui l’Autore confuta l’equivalenza fra promessa e vendita in quanto l’effetto risarcitorio

L’Autore quindi semplificava tre ipotesi per comprendere la disposizione. In primo luogo, i contraenti potevano usare una qualificazione giuridica errata dell’atto (nell’esempio, definire una vendita come compromesso); quindi essi potevano simulare in dichiarazione un negozio realmente voluto, o simulare tout court senza voler concludere alcun negozio (simulazione assoluta e relativa); infine, le parti potevano concludere un negozio indiretto, effettivamente dichiarato e voluto, ma mirante ad effetti secondari o di un altro negozio. Esposte le possibilità comportamentali dei privati, seguivano le relative reazioni del fisco. Nel primo caso, esso poteva riqualificare il contratto, e pretendere l’imposta corrispondente al negozio effettivamente concluso: in tal modo, se le parti in una “promessa di vendita” avevano effettivamente trasferito il bene contro un prezzo, esse avrebbero pagato il registro relativo ad una vendita.

Nell’ipotesi di una simulazione assoluta, il fisco percepiva l’imposta sull’atto simulato come se esso fosse stato pienamente valido; se c’era simulazione relativa, la tassazione doveva aver ad oggetto il negozio che risultava dall’atto scritto (quello simulato)336; per il negozio indiretto, infine, “Non si comprende perché, se il legislatore ha stabilito che due atti

debbono soggiacere a due diverse imposte, si debba invece applicare la stessa imposta […] la legge impone al cittadino di pagare un dato tributo se e in quanto compia un determinato atto, sicchè il cittadino ha sempre la possibilità di non pagarlo, non compiendo quell’atto. L’indagine sulla natura economica si sarebbe trasformata in una ricerca soggettiva sui motivi, piuttosto che in una oggettiva sulla operazione economica effettuata”337.

scaturisce dall’inadempimento delle obbligazioni e tale criterio è assolutamente insufficiente a fondare l’equivalenza.

336

IDEM, Negozi, cit. Per l’Autore l’imposta di registro colpisce appunto l’atto e non il trasferimento, e pertanto deve necessariamente aver riguardo al solo atto, ed eventuali clausole, senza possibilità d’integrazione esterna; l’atto dissimulato può essere portato a tassazione solo se contenuto in un atto scritto, la controdichiarazione; per JARACH, cit., la tassa va liquidata invece in base all’atto dissimulato, le cui prove vanno cercate fuori dall’atto stesso. Per UCKMAR A., La legge di registro, cit., in caso di simulazione relativa, il fisco non applica la tassa al negozio simulato fittizio, ma a quello realmente voluto, a condizione che la diversità emerga dall’atto stesso.

337

La tesi della prevalenza del contenuto giuridico su quello economico che permette alle parti la scelta dello strumento giuridico che ritengano migliore per realizzare i propri interessi è poi ripresa da Uckmar. Egli riteneva che il fisco potesse tassare il contratto realmente stipulato, senza però poter “applicare un’aliquota più elevata di quella dovuta su un determinato atto

per il solo motivo che le parti hanno raggiunto uno stesso scopo che avrebbero potuto ottenere stipulando un altro contratto soggetto ad aliquota maggiore”338; potevano infatti coesistere senza contraddizione la circostanza che due negozi giuridici fossero diversi con quella che avessero effetti economici identici. Ed infatti le tabelle allegate alla legge contemplavano negozi giuridici indipendentemente dagli effetti economici prodotti; a riprova di ciò egli rinviava alla disciplina dei negozi nulli339 che erano portati a tassazione ancorché improduttivi di effetti economici.

Infine340 M. S. Giannini interveniva nel dibattito affermando che “la

discrepanza tra la qualificazione giuridica privatistica e quella giuridica tributaria” poteva essere causata da “volontà inottemperante del privato, o da voluta diversità della qualificazione giuridica tributaria, o da insufficienza di questa”: al di là dalle soluzioni, il problema non era una

“questione di interpretazione”, ma “di conflitti” tra qualificazioni giuridiche privatistiche e qualificazioni giuridiche tributarie, e il conflitto andava risolto applicando il diritto tributario e non regole ermeneutiche di portata generale. L’art. 8 dava allora, coerentemente, all’Amministrazione la facoltà Griziotti affermando che l’elemento da valorizzare non è il rapporto giuridico (mutuo o fornitura), ma la fonte del reddito (che nel caso di specie è il solo capitale). Tornando al negozio indiretto, per JARACH, op. cit., la tassa va liquidata in base al negozio non voluto dalle parti e non contenuto nell’atto scritto.

338

UCKMAR A., op. ult. cit., p. 189.

339

V. l’art. 11, T. U. del ’23: “le tasse stabilite dalla legge sono dovute anche nei casi di registrazione di atti comunque nulli, salva la restituzione nei casi tassativamente indicati nell’art. 14”.

340

Per le posizioni successive, v. ANTONINI E., Equivalenza di fattispecie tributarie ed elusione d’imposta, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1966, 169, per cui l’art. 8 evita “che l’elusione d’imposta si realizzi attraverso l’uso del detto nomen non rispondente alle concrete statuizioni delle parti”; BATISTONI-FERRARA, Atti simulati e invalidi nell’imposta di registro, Napoli, 1969, p. 26, per cui l’interprete non deve “trascurare il riscontro dei connotati giuridico- formali dei quali si avvale il legislatore per specificare i presupposti del tributo e , men che meno […] sovrapporre ad essi una valutazione di equivalenza o di disuguaglianza economica fra il singolo atto in concreto venuto in essere e l’ipotesi normativa”.

di “mutare, se necessario, la qualificazione giuridica privata, in una delle

qualificazioni tributarie ipotizzate dalla legge sull’imposta di registro”341. Successivamente con l’avvento dell’art. 19, D. P. R. 634/’72, oggi art. 20, D. P. R. n. 131/’86, “l’imposta è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”. La nuova norma ha chiarito definitivamente che gli effetti dell’atto da tenere presenti sono quelli giuridici, e non quelli economici: l’indagine che l’Amministrazione finanziaria può compiere è sulla sostanza giuridica del contratto, e se ne può verificare la corrispondenza ad un tipo normativo piuttosto che ad un altro. Di qui, l’applicazione degli effetti giuridici dell’atto indipendentemente dalla sua invalidazione in sede civilistica, e, soprattutto, l’interpretazione del contratto sottoposto a registrazione in termini diversi ed autonomi rispetto all’intrepretazione civilistica342, col peculiare risultato che il contratto produrrebbe, limitatamente ai fini fiscali, effetti non voluti dalle parti, ma oggettivamente ricollegabili al negozio a seguito della qualificazione operata dall’Amministrazione, e quindi in difformità col diritto civile. Il dibattito appena ricordato cerca di contestualizzare il problema della riqualificazione nel diritto tributario: l’esatta natura giuridica di un negozio coinvolge l’imposta di registro, in quanto la registrazione riguarda il negozio giuridico che assume rilievo non tanto per la sua consistenza documentale343 quanto per gli effetti giuridici delle dichiarazioni in esso contenute. Ma al di là dell’imposta di registro, il problema tange anche le imposte sui redditi, in quanto anche il presupposto del tributo diretto può

341

GIANNINI M. S., L’interpretazione e l’integrazione delle leggi tributarie, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1941, 189 e ss.

342

In questo senso MICHELI, Legge (diritto tributario), in Enc. dir., Milano, 1973, vol. XXIII, p. 1079.

343

Per UCKMAR V. – DOMINICI, Registro (imposta di), in Dig. disc. priv. sez. comm., Vol. XII, 1996, p. 261, la funzione dell’atto come documento è diminuita d’importanza con l’evoluzione del tributo di registro da tassa percepita per il servizio di registrazione a imposta sulle manifestazioni di ricchezza. Per TESAURO, Novità e problemi nella disciplina dell’imposta di registro, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1975, 97, “mentre ai fini della registrazione e della tassa di registrazione ciò che rileva è l’atto come documento, nella logica dell’imposta rileva l’atto inteso come vicenda normativa (negozio, provvedimento…). L’atto negozio è l’oggetto o presupposto formale dell’imposta, mentre la giustificazione sostanziale del prelievo - la giustificazione cioè del prelievo a fronte

contenere atti negoziali al cui sorgere si ricollega la nascita dell’obbligo tributario; anche in questo caso gli atti posti in essere dai contribuenti vanno interpretati alla luce dei loro effetti giuridici, dato che il presupposto delle imposte dei redditi è passato dalla tendenziale atipicità stabilita nel ’73 alla tipizzazione giuridica dell’attuale Tuir344. Nel capitolo seguente si evidenzierà come la recente giurisprudenza di legittimità, muovendo da fattispecie negoziali chiaramente elusive, vistasi precluso il ricorso al rimedio della riqualificazione ai fini tributari dei negozi per mancanza di una norma positiva espressa345, ne ha dichiarato la nullità per difetto di causa, attingendo allo strumentario proprio del legislatore civile.

CAPITOLO II

IL CONTRASTO ALL’ELUSIONE MEDIANTE IL RIMEDIO

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