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LA PROPOSTA DI MINGHETT

2. Gli esempi stranieri e le proposte del governo

L’analisi premessa si arricchiva di dati provenienti da ordinamenti stranieri. In Inghilterra, il cui sistema era improntato sul bollo, gli atti dovevano rivestire la forma solenne dell’atto pubblico e il mancato assolvimento dell’imposta tramite scrittura in carta bollata o pagamento successivo in un dato termine comportava “la sanzione della nullità e dell’inefficacia

giuridica”, e quindi l’improducibilità in giudizio, tanto che esso si svolgesse

secondo diritto o in equity, e ciò in base ad una serie di provvedimenti legislativi che nel tempo avevano consolidato il principio della nullità dell’atto per inadempimento fiscale includendovi ipotesi sempre più

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La “fuga dall’atto pubblico” è largamente documentata. Così Plebano: “E [l’evasione] trovava conforto nel rilevare quanto ristretto fosse fra i contratti registrati, il numero di quelli pei quali la legge consentiva la semplice forma di scrittura privata. […] Il che pareva indicare che agli uffici del Registro arrivassero con regolarità i soli contratti compiuti sotto la responsabilità del notaio o di altro pubblico ufficiale, o quegli atti che dovessero servire ad operazioni successive, non eseguibili senza la formalità del registro”, (ibidem, p. 297); e ancora Minghetti: “Doti, locazioni, mutui e tutte le obbligazioni in generale che non hanno per oggetto trapasso di proprietà di immobili o d’altra guisa non operino sui medesimi, sfuggono largamente alla tassa”. Doc. 29, cit.,

numerose e variegate107. Sistema non dissimile era stato mutuato dalla legislazione d’imposta americana, con ottimi risultati in termini di gettito. Minghetti intendeva ora riprendere la proposta di cinque anni prima, temperandone però i rigori sulla scorta di una serie di considerazioni: in caso di atto pubblico, infatti, non sembrava giusto che alla sanzione penale per il pubblico ufficiale ricevente dovesse aggiungersi quella civile di nullità per il cittadino contraente che in modo incolpevole si era affidato ad un soggetto particolarmente qualificato dall’ordinamento: la nullità doveva pertanto colpire le sole scritture private. Ancora, egli considerava una sanzione siffatta come naturale pendent di alcune previsioni del codice civile in tema di nullità: come infatti la legge civile, all’art. 1314, prevedeva la forma scritta ad substantiam per alcuni contratti, quali quelli traslativi o costitutivi di diritti reali, per quelli di locazione e società ove eccedenti i nove anni ed ancora per le transazioni, in modo che “colla sanzione della

nullità […] si garantisce il diritto privato dei cittadini”108, così lo Stato avrebbe dovuto garantire il suo interesse, cioè quello “dell’universalità dei

cittadini” comminando la stessa sanzione; tale previsione poi non doveva

trovare spazio nel Codice, ma nella legge di finanza, che era la sua sede naturale e che essa completava disciplinandone il fondamentale aspetto sanzionatorio.

Si profilava, nel pensiero dell’oratore, la necessità di dare una giustificazione dell’invasione di campo nel diritto civile in un momento storico in cui il provvedimento d’imposta era visto dalla dottrina come “legge eccezionale”, e dalle generalità dei cittadini come “legge odiosa”: tale giustificazione si costruiva attraverso il parallelo diritto privato - protezione dei cittadini e legge di finanza- protezione dello Stato; si faceva largo poi la teoria di matrice privatistica che ricostruiva il rapporto Stato cittadino in chiave contrattuale. In tal maniera l’assolvimento dell’obbligo,

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“Una legge del 31° anno di re Giorgio III sottomise a quella sanzione le cambiali e le obbligazioni; altra del 35° anno dello stesso regno vi sottopose le polizze e le ricevute; una legge del 7° anno di Giorgio IV colpì di nullità gli atti dei procuratori non bollato; finalmente una legge degli anni 5° e 6° della regina Vittoria dichiarò prive di ogni effetto giuridico le polizze di trasporti e le procure e i mandati non scritti in carta bollata e, dopo un mese dalla loro sottoscrizione, le polizze di carico” (ibidem, p. 14).

che evidentemente qui era ritenuto consistere in una tassa, diveniva la controprestazione che il cittadino doveva allo Stato perché esso “mette a

servigio […] l’autorità dei magistrati e tutta la propria autorità per far valere i loro diritti verso i terzi, per dare efficacia e stabilità ai contratti e alle loro conseguenze”109; quanto premesso conduceva a concludere che la nullità dell’atto si configurava come sanzione di inadempimento del “contratto” Stato - cittadino, come un giusto e morale meccanismo protettivo che lo Stato poteva legittimamente spiegare a protezione dei propri interessi.

Completava l’esposizione del pensiero di Minghetti la citazione di alcuni precedenti nell’ordinamento italiano e riguardanti casi di nullità per mancato pagamento del bollo. Da un lato, ricordava il regime delle cambiali riformato nel 1868110 nel senso che la mancata bollatura del titolo lo rendeva nullo agli effetti commerciali privilegiati, mentre l’assolvimento tardivo dell’imposta e della multa gli restituiva il rango di obbligazione, sottoponendolo tuttavia alla disciplina generale dettata per gli atti civili e quindi non restituendogli la validità cambiaria definitivamente perduta; dall’altro rievocava la breve esperienza111 delle polizze di carico emesse dalla Camera di commercio di Genova, anch’esse colpite da nullità ove non bollate: nel primo anno di vigenza della comminatoria il gettito del bollo si era quintuplicato.

Non si trattava pertanto di introdurre nell’ordinamento un principio nuovo, ma piuttosto di estendere al diritto civile una proficua esperienza sperimentata dal ’68 in campo commerciale, e specialmente nel diritto cambiario. 108 Ibidem, p. 15. 109 Ibidem. 110

Art. 27, l. 19 luglio 1868, n. 4480: “Le lettere di cambio, i biglietti d’ordine e gli altri recapiti di commercio non regolarmente ed originariamente, o nel tempo prescritto dalla legge bollati, non potranno produrre alcuno degli effetti cambiari previsti dalle leggi dalle leggi civili e commerciali. Tale inefficacia, quando non sia stata eccepita dalle parti in corso di causa, dovrà essere rilevata e pronunciata di uffizio dai giudici sotto la pena stabilita dall’art. 108 della legge sul registro”

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Le norme generali sulle polizze di assicurazione erano contenute nella legge 21 aprile 1862, n. 588, e prescrivevano in particolare agli articoli 25, 26, 27 e 29 che il mancato pagamento dell’imposta nei termini comportava tanto per le persone fisiche come per le

Queste considerazioni, sommate ai preveduti e benefici effetti che l’obbligo di registrare avrebbe dovuto avere sull’accertamento della ricchezza mobile e delle successioni, inducevano il Presidente del Consiglio e Ministro delle Finanze ad esporre il suo progetto di legge all’Assemblea, articolato in sette articoli; nel primo si elencavano i contratti che devono registrarsi nel termine di venti giorni, pena il divieto di uso in giudizio, di presentazione davanti a qualsivoglia autorità e di menzione in atti112; il secondo vietava qualunque prova suppletiva dell’atto non bollato o registrato; il terzo vietava ai cancellieri di ricevere tali atti e ai giudici di pronunziare provvedimenti che li involgessero, provvedimenti comunque colpiti da nullità, e stabiliva una multa per i contravventori; il quarto escludeva dalla comminatoria della nullità gli atti contraddistinti dalla partecipazione di notaio od altro pubblico ufficiale; il quinto estendeva la sanzione agli atti non bollati; il sesto abrogava le sanzioni pecuniarie per gli atti colpiti da nullità; il settimo recava infine una norma transitoria che assegnava un congruo termine per regolarizzare gli atti in contravvenzione d’imposta.

3. La risposta della dottrina: gli studi comparatistici ed il tentativo

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