• Non ci sono risultati.

farsi carico di (“accollarsi”) persone che spesso entrano al cFP con un pesante far dello di problemi e hanno bisogno di punti di riferimento, che sappiano porsi in

modo amichevole e comprensivo. Partecipando ad uno dei FG successivi, sempre

S. (FGita2/309) ha modo di precisare il suo pensiero a questo riguardo, sottoli-

neando come la cura relazionale vada assunta non solo dai singoli, ma dall’intera

comunità dei formatori, chiamati a costruire anche tra di loro una coesione che ine-

vitabilmente incide sull’ambiente e lo rende accogliente. qui di seguito vediamo,

attraverso alcuni esempi, come si declini in concreto questa attenzione relazionale

nei nostri formatori che sentono di vestire, di volta in volta, i panni dell’amico,

confidente, maestro, rabbino

4

.

2i brani vengono riportati con un codice che consente di riferire l’estratto al tutto del “testo

unico” da cui esso è tratto (intVr, intMe, intMi, intPD, intRoma, FGita1, FGita2, FGita3, FGita4). Tutti i “testi unici” sono stati consegnati al committente e sono disponibili presso la sede del cnoS- FAP nazionale. il numero progressivo dopo le interviste indica il numero dell’intervista nel rispettivo “testo unico” (ad es.: intVr1, intVr2, FGita4 ecc.); il numero che segue la barra (/) indica il numero progressivo del turno di parola in cui è collocato il brano estratto nel testo unico (ad es., FGita4/17). Per i FG, spesso è riportato l’intervallo all’interno del quale è contenuto il brano estratto. Tutto questo consente di riandare in qualsiasi momento al testo nella sua interezza e di collocare il brano nel con- testo a cui appartiene.

3Dei docenti coinvolti, per ovvi motivi, si riporta solo l’iniziale puntata del nome. quando, negli

estratti riportati, compaiono nomi di allievi, è bene precisare fin da ora che tutti i nomi reali sono stati sostituiti con nomi di fantasia.

4qualcosa del genere afferma anche Frank Mccourt, riflettendo sulla sua esperienza di docente:

1.1.1. Agganciare gli sguardi

Una formatrice, che opera in Piemonte, racconta la sua esperienza con gli uten-

ti di un percorso di “scuola-laboratorio”, che mira, attraverso il raccordo con il cFP,

a sostenere ragazzi pluriripetenti, con grosse difficoltà scolastiche, a concludere po-

sitivamente la scuola secondaria di primo grado. nel suo racconto sono centrali gli

sguardi e le espressioni del volto che svelano i propri significati nella relazione:

la mia esperienza è maturata l’anno scorso, nei progetti di scuola laboratorio […], con i

drop-out, cioè con ragazzi che, a quasi sedici anni, sono ancora nella scuola media e non

hanno né motivazione né autostima. […] Mi rendo conto che questa motivazione non è mai nata, perché non c’è stata un’esperienza positiva a monte. non è mai nata in loro la consapevolezza di sé; si arrabattano. quando sono entrata per la prima volta in aula […], ero terrorizzata – non ho vergogna a dirlo! – perché mi sono chiesta […]: “E io, ora, che faccio?”. Sono portatrice di una serie di conoscenze, […] ma alle persone che ho da- vanti – questa è una domanda che mi faccio sempre, in qualsiasi corso, con adulti o con ragazzi – di quello che io conosco, delle mie esperienze, che cosa può essere utile? qual è il bisogno che posso soddisfare in questa azione? […] questi ragazzi, se li guardi dritti negli occhi […], tendono a sfuggire con lo sguardo […]. quando ho guardato in faccia questi ragazzi, ho visto una fragilità estrema, […] il fardello che si portano sulle spalle. […]. Sono rimasta meravigliata dal fatto che, alle sette e mezzo, erano già tutti fuori dei cancelli; io pensavo che arrivassero in ritardo, con le solite scuse, del tipo: “Mi è morto il cane…”, “c’era gelo per strada…” […], e invece no, erano già lì alle sette e mezzo; noi iniziamo alle otto, il progetto diceva alle nove […]; alla fine non volevano mai andare via: “Possiamo mangiare qui? Stiamo qui…”; “no, vai a casa, basta, è finita!”. Allora mi sono chiesta: da che cosa scappano? Perché hanno così tanta voglia di venire qua, anche se non siamo molto invitanti? Effettivamente, mi sono trovata questi ragazzi che, nel mo- mento in cui uno li guarda negli occhi, abbassano completamente lo sguardo, e poi hanno delle stazze non da poco: ragazzini di quindici anni alti un metro e ottanta […]. il primo passo è sicuramente entrare in relazione […]. come si può fare per farsi rispettare? Mi- nacciarli di giocare a calcetto con loro: “Guarda che gioco in squadra con te!”. Un ra- gazzo di questi mi ha detto: “Sarà più facile che io prenda la terza media che non che tu vinca una partita!”, ed è vero, lui la terza media l’ha presa, io tutte le volte che chiedo di giocare a calcetto mi sento consigliare di lasciar perdere. Però nei momenti informali si agganciano, senza avere paura di mettersi a nudo, […] con un po’ di ironia, perché l’i- ronia […] è una forma di intelligenza che ti salva in certe situazioni. questi ragazzi, che hanno situazioni più grandi di loro sulle spalle, se non imparano ad essere ironici con se stessi e con gli altri, non riusciranno ad uscire dai loro problemi. noi abbiamo avuto un’esperienza tutto sommato […] positiva; alla fine siamo riusciti ad organizzare anche una festa di chiusura del laboratorio: ognuno ha portato qualcosa, ci hanno lasciato il loro numero di cellulare; insomma, si è creato un buon clima. certo gli obiettivi specifici di apprendimento forse non sono stati raggiunti del tutto, ma abbiamo raggiunto cose più importanti, come fare in modo che non venissero più a scuola armati, che non sentissero la necessità di tirare un pugno ogni volta che c’era tensione con qualcuno. […] il consi-

tore, un rabbino, una spalla su cui piangere, un cerbero, un cantante, uno studioso di second’ordine, un impiegato, un arbitro, un pagliaccio, un consulente, un censore dell’abbigliamento, una guida, un apologeta, un filosofo, un collaboratore, un ballerino di tip tap, un politico, un medico, un fesso, un vigile urbano, un prete, un padre-madre-fratello-sorella-zio-zia, un ragioniere, un critico, uno psico- logo, l’ultima goccia che fa traboccare il vaso...» (Mccourt, 2006, p. 35; cfr. anche Tacconi, 2008a).

glio che mi sento di dare è […] di tornare […] ad una relazione basata sul confronto e mai sulla superiorità, il che non vuol dire negare l’autorità, ma diventare più che un’auto- rità, un punto di riferimento per loro (FGita4/15).

Di fronte a ragazzi che si ritraggono davanti a formatori, che invece tendono

Outline

Documenti correlati