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Abbiamo già visto sopra (3.5.6.) il ricorso all’accostamento tra messaggio pub blicitario e poesia qui vediamo alcune esperienze in cui il percorso di apprendi-

mento viene orientato alla creazione di un messaggio pubblicitario come compito

autentico:

quest’anno, con un primo anno, quando facciamo “comunicazione”, abbiamo studiato i messaggi semplici, abbiamo cercato di distinguere messaggi semplici e messaggi com- plessi e abbiamo cercato di analizzare il linguaggio pubblicitario. [...] Dopo avere spiega- to a grandi linee come un messaggio pubblicitario può essere creato, mi è venuta l’idea di dividere in gruppi i ragazzi [...] e di far creare loro un cartellone, un prodotto, uno slogan e comunque tutto ciò che poteva essere corredato al messaggio pubblicitario. la cosa che esigevo dai gruppi era che, all’interno del gruppo, fossero divisi i ruoli: chi disegnava, chi pensava al messaggio insieme ad altri, chi era il responsabile. [...] nella valutazione fina- le del cartellone e quindi del prodotto, c’era non solo la valutazione sul prodotto, sul mes- saggio pubblicitario proposto, ma anche sul lavoro di gruppo effettuato. cioè, se all’inter- no del gruppo tre persone lavoravano e altre tre no, questo veniva valutato negativamente e quindi il gruppo ne risentiva, perché il voto finale sarebbe stato dato al gruppo. quindi, se prendevano 7, il 7 era poi di ciascun membro del gruppo […] e, se c’erano persone che

lavoravano meno, queste penalizzavano il gruppo; stava al capogruppo motivare tutti af- finché non ci fossero defezioni o penalità, perché naturalmente io giravo continuamente tra i gruppi [...]. Allora, c’erano questi gruppi che lavoravano con i banchi uniti, per avere il cartellone più o meno disteso; passando tra i gruppi io controllavo se i compiti assegna- ti dal capogruppo venivano poi recepiti. c’era il rischio [...] (FGita1/47) [...] che il capo- gruppo potesse prendersi libertà eccessive sugli altri; questo veniva sempre mediato da me; alla fine, se non si raggiungevano delle soluzioni, decidevo io (FGita1/49). [...] c’e- rano due valutazioni diverse: quella tecnica, sul compito – qui, per esempio, facevo inter- venire anche altri colleghi; ad esempio, il collega di disegno tecnico interveniva, perché valutavo anche la pulizia del lavoro, se avevano utilizzato bene o male la china o la mati- ta; potevano scegliere qualunque tipo di materiale avessero in mente, anche il collage, tut- to ciò che ritenevano opportuno, però poi io facevo intervenire anche altri colleghi, per rendere la cosa, dico io, “teatrale”, nel senso che, se invito altri colleghi a venire, e valu- tiamo davanti alla classe, il gruppo stesso veniva caricato di responsabilità, di aspettative rispetto a quella cosa –. quindi c’era una valutazione tecnica, sul lavoro: pulizia, contenu- ti e come venivano espressi i contenuti ecc., che naturalmente era [...] un modo per verifi- care che i contenuti dell’Uda sul messaggio pubblicitario fossero stati appresi. Dall’altra parte, c’era anche una valutazione del gruppo; […] quando alla fine comunicavo i voti, li comunicavo separati, cioè [...]: “...dal punto di vista tecnico, questo cartellone funziona..., non funziona... ecc.”; poi guardavo il gruppo: “Tu hai lavorato. Tu che compito avevi?” – perché ogni gruppo doveva darmi la scaletta dei compiti: c’era chi doveva occuparsi del disegno, chi di portare l’attrezzatura, chi di pensare al messaggio pubblicitario, [...] in- somma, tutti avevano dei compiti –; in base a quello, poi, io avevo preso appunti durante il lavoro, quindi sapevo e dicevo: “Avete lavorato..., come avete lavorato?”; alla fine uni- vo queste due valutazioni e ne usciva fuori una valutazione finale, che era quella del grup- po. Ho notato che questo, fatto più volte nel corso dell’anno, per altri argomenti, cambian- do i capigruppo (FGita1/55), i ruoli, cambiando i gruppi, mescolando tutti – [...] alcuni al- lievi, che magari erano più timidi o non riuscivano ad imporsi per certe cose, all’interno della classe, me li trovavo attivi come capigruppo o attivi come disegnatori –, tutto questo sconvolgeva un po’ positivamente (FGita1/57);

per esempio, per comunicazione ho utilizzato pure le riviste, soprattutto per il linguaggio della pubblicità; li ho fatti lavorare a casa, a cercare gli slogan pubblicitari, che colpi- scono il lettore o l’ipotetico cliente (intPd3/36): loro devono riconoscere il messaggio, quindi [...], se la pubblicità è la pubblicità [...], ipotizziamo, di un orologio da uomo, al- lora: “chi sono i destinatari? Sono [...] uomini di tutte le età? Sono ragazzi? Sono magari uomini in carriera? chi sono?”; un altro elemento da individuare è il messaggio che viene dato, lo slogan, se si usano parole in inglese, rime, assonanze; [...] i colori che ven- gono utilizzati... cerco proprio di fare in modo che una cosa che magari loro danno per scontata, perché la vedono ogni giorno alla televisione o sui giornali, [...] la possano leg- gere anche come in effetti è, ad esempio una pubblicità che utilizza un dato colore e date parole, perché deve in primo luogo colpire (intPd3/38) ...la mia mente, per fare in modo che io mi convinca ad acquistare quel prodotto (intPd3/40); [...] Di solito [...], per questa attività, faccio proprio mostrare i loro lavori ad uno ad uno, perché poi sono sempre molto contenti di vedere la diversità: “Anch’io ho ritagliato questo...” (intPd3/42). […] loro ritagliavano la pubblicità, la incollavano sul quaderno e a fianco scrivevano: il de- stinatario della pubblicità [...], il prodotto reclamizzato, lo slogan ecc., e poi in classe si faceva la condivisione (intPd3/58). […] Poi, finalmente, […] si sono cimentati anche loro nell’inventare una pubblicità (intPd3/68) [...] dato che la pubblicità è una cosa molto più concreta delle regole di grammatica, una cosa che... (intPd3/70) trovano anche diver- tente (intPd3/72). […] Posso intuire perché viene usato un colore invece di un altro, al-

lora cerco di far loro riflettere anche su questo elemento, che può essere scontato, ma che in realtà non lo è (intPd3/74). Se ho una pagina tutta nera, in cui si vede solo la luce del brillante di un anello, dico: “Perché?”. “Ah, non ci avevo mai pensato!”. Ecco, allora, è importante anche abituarli anche a questo. (intPd3/76). Anziché [...] segnalare un ele- mento sbagliato, si tratta di cercare che arrivino loro anche a capire, non so, se hanno in- terpretato male una cosa invece di un’altra (intPd3/78).

A. (FGita1/47-49) costruisce un percorso di lavoro di gruppo orientato alla

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