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Il passaggio dalla società pre-industriale alla moderna società industriale è stato accompagnato da una netta espansione delle opportunità di mobilità. Il processo di modernizzazione economica ha determinato una serie di profondi e continui cambiamenti nella divisione sociale del lavoro e, quindi, nella struttura occupazionale. La transizione da una società agricola ad una società urbana ed industriale ha avuto come conseguenza una drastica riduzione della quantità di forza lavoro impiegata nell’agricoltura ed un’espansione dell’occupazione nell’industria e nei servizi. All’abbandono progressivo delle campagne ha corrisposto la crescita delle città e delle numerose professioni ad esse legate. Il processo di mutamento costante della struttura dello spazio sociale innescato dalla rivoluzione industriale, dunque, ha generato inevitabilmente una crescita delle possibilità di movimento tra posizioni sociali diverse.

L’aumento della fluidità sociale che ha seguito l’avvento della società industriale, tuttavia, non è stato soltanto di natura «forzata» ma è stato anche favorito, con la rivoluzione americana e francese, dall’affermazione del principio di uguaglianza tra gli uomini e dal graduale diffondersi di principi di selezione sociale di tipo universalistico e meritocratico, che hanno modificato i tradizionali meccanismi di riproduzione delle disuguaglianze sociali. L’idea che inizia progressivamente a farsi strada è che l’accesso alle diverse posizioni sociali disponibili debba dipendere non tanto dalle condizioni di origine, quanto dal possesso di un competenze pubblicamente certificate e riconosciute, in primo luogo attraverso i titoli di studio, acquisite mediante l’applicazione dei propri talenti e dei propri sforzi personali. Questa visione universalistica e meritocratica ha

100 Pisati M., La mobilità sociale, Il Mulino, Bologna, 2000, p.43 101 Cobalti A., op. cit., p. 13

raggiunto la massima diffusione nel secondo dopoguerra e in tutte le società occidentali avanzate.

La società virtuosa non è quella in cui le risorse disponibili sono distribuite in modo uguale tra le diverse posizioni sociali, bensì quella che garantisce ad ogni individuo uguali possibilità di accesso a ciascuna di queste posizioni. Le possibilità di successo dipenderanno esclusivamente dal talento e dalle capacità che ognuno impiegherà nella competizione.

L’ipotesi fondamentale che ispira la ricerca sulla mobilità nel dopoguerra era che, effettivamente, la modernizzazione conduce ad un ampliamento della mobilità individuale e pertanto genera una società meno dominata da divisioni di classe. Si supponeva, invece di dimostrarlo, che gli Stati Uniti, in quanto avanguardia dello sviluppo economico, vantassero una fluidità sociale notevolmente superiore a quella di qualsiasi altro paese. Inoltre si riteneva che l’Europa e persino le nazioni del Terzo Mondo, avrebbero manifestato col tempo tassi di mobilità parimenti elevati, una volta che le distanze economiche si fossero ridotte102. Questa conclusione rifletteva una posizione molto in voga fra i sociologi americani negli anni cinquanta, nota come funzionalismo tecnologico, per cui tutti i paesi che si trovavano nelle fasi più progredite del processo di industrializzazione tendevano a divenire sempre più simili sul piano istituzionale, nonché a sviluppare sistemi sociali analoghi e regimi di mobilità altrettanto simili103.

I fattori che portano ad un aumento nel tempo della mobilità e dell’apertura della società, per i sostenitori della teoria liberale della società industriale o del cosiddetto funzionalismo tecnico, si possono sintetizzare in tre categorie104. Quelli di ordine strutturale che sono legati all’espansione delle posizioni medio-alte nelle società industriali, che rende possibile la crescita della mobilità ascendente, quelli processuali relativi alle procedure più razionali di allocazione alle posizioni occupazionali che richiedono un passaggio dall’ascription all’achievement, in modo da ridurre l’influenza delle origini sociali su destini scolastici e sociali, infine quelli cosiddetti composizionali che operano nel senso che la quota dei settori dell’economia in cui questi principi sono

102 Esping-Andersen G., Mestes J., Ineguaglianza delle opportunità ed eredità sociale, in Stato e Mercato,

n.67, aprile 2003. pp.123-151, p. 128.

103 Pisati M., La mobilità sociale, Il Mulino, Bologna, 2000, p.59.

104 Sono Erikson e Goldthorpe gli studiosi che propongono di chiamare “teoria liberale della società

industriale” un insieme di proposizioni riconducibili al lavoro di vari studiosi come Kerr e dell’ultimo Parsons.

maggiormente affermati si espande, portando così ad una crescita della loro importanza nell’intera società105.

La società industriale per i funzionalisti è caratterizzata dal progressivo allentamento dei vincoli dell’ereditarietà sociale, vale a dire della graduale diminuzione dell’influenza dell’origine sociale sui destini sociali degli individui. Per la sua stabilità è necessario assegnare maggiore importanza a ciò che un individuo riesce a conseguire e meno rilievo alla sue caratteristiche ascritte. In una società certe competenze sono funzionalmente più importanti di altre per il mantenimento dell’ordine sociale e non sono trasmissibili per via ereditaria, ma vanno acquisite attraverso la partecipazione a lunghi processi formativi, che richiedono elevate doti intellettuali e comportano dei costi. Il processo di allocazione dei singoli nelle varie posizioni sociali deve avvenire, quindi, secondo criteri meritocratici, in base alle abilità e ai meriti individuali e «..non perché le loro famiglie abbiano brigato per trovare loro occupazione»106.

Come scrivono Blau e Duncan: «lo status che un uomo riesce ad acquisire, le cose che è riuscito a realizzare, valutate sulla base di criteri oggettivi, divengono molto più importanti del suo status ascritto, cioè di chi egli è grazie alla famiglia da cui proviene. Questo non significa che il contesto familiare non influenzi più le carriere, ma implica che lo status elevato non può essere più ereditato direttamente, ma deve essere legittimato da realizzazioni individuali socialmente riconosciute». 107

La razionalità, l’esigenza di efficienza ed il progresso tecnologico che contraddistinguono l’ordine sociale moderno richiedono per gran parte della forza lavoro conoscenze e capacità elevate, che si acquisiscono con la formazione e con l’addestramento.

La transizione da un sistema produttivo soprattutto agricolo ad un‘economia industriale e terziaria ha comportato processi produttivi ed organizzativi più complessi, che richiedono sempre maggiori e nuove competenze. Le agenzie di socializzazione tradizionali come la famiglia, la chiesa, la comunità locale faticano a produrre nei lavoratori le competenze, tecniche e relazionali, richieste dall’economia moderna. Esse possono essere acquisite soltanto attraverso l’istruzione formalizzata, impartita da grandi strutture burocratiche, chiamate scuole. Per i teorici dell’industrialismo liberale la stessa nascita delle istituzioni scolastiche e la successiva scolarizzazione di massa sono le riposte funzionali alle esigenze della sfera economica e alle sue trasformazioni

105 Cobalti A., Lo studio della mobilità, La nuova Italia scientifica, Roma, 1995, p.187. 106 Crouch C., Sociologia dell’Europa occidentale, Il Mulino, Bologna, 2001, p. 298.

107 Blau P., Duncan O. D., The American occupational structure, Wiley, New York, 1967, p. 430. cit. in

di lungo periodo. I giovani formati a scuola sono più produttivi, perché più abili tecnicamente è più adattabili nei comportamenti e nelle relazioni. L’economia pertanto diventa più efficiente ed il processo di modernizzazione continua su un livello più elevato. Il successo nell’istruzione diventa, quindi, un importante criterio universalistico e meritocratico per valutare il livello di competenze raggiunto e che può essere applicato a tutti e verificato empiricamente. L’accesso alle diverse posizioni sociali diventa indipendente dalla condizione sociale ereditata alla nascita e determinata unicamente da meriti pubblicamente dimostrabili.

Ne consegue, secondo questa visione, che le società contemporanee sono fluide, rispettose del principio di uguaglianza delle opportunità e caratterizzate da una continua riduzione delle disuguaglianze sociali108. Il progresso tecnico e la terziarizzazione dell’economia hanno provocato una espansione e differenziazione interna delle occupazioni ad alta qualificazione, di carattere tecnico ed amministrativo. Se nella società preindustriale l’immobilità sociale non costituiva un problema, dato che le posizioni sociali erano poche e non richiedevano grandi conoscenze e capacità, l’interesse collettivo, nelle società industriali, richiede che non vi sia spreco di risorse umane e che sia garantita anche agli individui di origine sociale inferiore di raggiungere elevati livelli del sistema formativo e la possibilità di occupare i vertici della stratificazione professionale. La disuguaglianze di istruzione per la teoria liberale non solo non costituisce un grave problema, ma rappresenta una risorsa sociale fondamentale, nella misura in cui il differenziale di reddito che ne deriva serve come incentivo agli individui nell’investimento in istruzione e quindi aumenta in aggregato istruzione e produttività. Queste idee sono alla base della grande fiducia nell’investimento in istruzione che caratterizza le politiche pubbliche, in modo particolare quelle americane, degli anni sessanta, il cui obiettivo è quello di ridurre la disuguaglianza sociale attraverso la crescita della scolarizzazione media.