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La modernizzazione ha eliminato molte disuguaglianze e ne ha ridotto altre; ma le società modernizzate sono ancora fortemente disugualitarie. La “questione sociale” continua, quindi, ad essere al centro del dibattito pubblico e politico. Nell’agenda politica di (quasi) tutti i governi uno degli obiettivi prioritari è costituito dall’implementazione di interventi capaci di ridurre le disuguaglianze sistematiche e favorire una maggiore uguaglianza sociale.

«Per uguaglianza sociale si intende l’idea che le persone dovrebbero essere trattate come uguali in tutte le sfere istituzionali che hanno influenza sulle loro prospettive di vita: nell’istruzione, nel lavoro, nelle opportunità di consumo, nell’accesso ai servizi sociali, nelle relazioni familiari, e così via».78

La natura degli interventi differisce secondo le epoche storiche e gli orientamenti politici e riflette la concezione di giustizia sociale che ispira l’azione di policy-making.

Per un liberista la distribuzione delle risorse determinata dal mercato è equa, in virtù del principio del “merito”: i migliori devono ottenere di più. In altre parole la distribuzione dei beni deve essere conforme al contributo dato da ciascuno alla costruzione del bene collettivo, inteso come il complesso dei beni prodotti, ed implica il riconoscimento del diritto degli individui ad appropriarsi del risultato economico ottenuto con le proprie capacità e con l’utilizzo dei fattori produttivi di cui siano titolari. Chi è dotato di maggiore talento e abilità si aggiudica, quindi, più privilegi e risorse. Tutti formalmente possono partecipare alla competizione sociale per aggiudicarsi le posizioni migliori (uguaglianza formale delle opportunità) ma l’esito finale dipende dalla distribuzione iniziale delle risorse.

Nell’ambito di questa visione, non si riconosce allo Stato nessun potere di interferire con l’operare del mercato non solo nell’allocazione ma neppure nella distribuzione delle risorse. Allo Stato vengono demandati solo quei compiti minimi che permettono il funzionamento del mercato, vale a dire garantire la difesa dei diritti di proprietà e la concorrenza tra gli operatori, e di produrre alcuni beni pubblici.79

Per la posizione socialista la distribuzione della ricchezza determinata dal mercato è iniqua ed inaccettabile, per cui lo Stato deve “correggere” il risultato del mercato. Il criterio di giustizia distributiva che ispira l’azione dello Stato è quello del bisogno: gli individui devono essere compensati in base ai loro bisogni sociali e alle loro

78Jedlowski P., (a cura di ), op. cit. p.790.

responsabilità familiari. Nella tradizione socialista l’obiettivo da perseguire è l’uguaglianza degli esiti, nella misura di ridurre, ma non di eliminare completamente, l’iniquità della distribuzione dei redditi e delle ricchezze. L’idea di una eguaglianza assoluta (tutti devono avere parti uguali) è parte, invece, integrante dell’ideologia comunista, ma nella forma pienamente dispiegata le idee comuniste sono state praticate nel XX secolo solo in poche comunità80 e mai a livello di stati-nazione.81

La disuguaglianza sociale, dunque, assume forme diversificate in base ai principi differenti di giustizia sociale, vale a dire secondo ciò che si considera giusto o ingiusto in una società. «Le disuguaglianze hanno quindi un aspetto oggettivo, una popolazione oggetto presso al quale è ineguale la distribuzione di una risorsa carica di valutazione sociale positiva, e un aspetto soggettivo, una popolazione soggetto che formula un giudizio di iniquità, cioè di non conformità di questa distribuzione a qualche criterio di giustizia sociale, che un ricercatore coglie in atteggiamenti e comportamenti concreti»82

Ad esempio se riteniamo giusto che un dottore abbia uno compenso maggiore di un operaio, allora non troveremo disuguaglianze ma differenze: chi sta al vertice della società ha di più, chi sta alla base ha di meno, ma ciò apparirebbe nella natura delle cose. Viceversa se pensiamo che tutti debbano ricevere lo stesso reddito, allora tale disparità di trattamento tra dottore e operaio ci apparirebbe iniqua e costituirebbe una disuguaglianza.

Nel «riconsiderare l’idea di disuguaglianza» Amartya Sen sottolinea come la domanda fondamentale nell’analizzare e giudicare la disuguaglianza sia «eguaglianza di che cosa?»83. Esiste, infatti, una molteplicità di variabili in base alle quali l’eguaglianza può essere valutata. Libertà, opportunità,redditi, diritti, risorse, beni primari, appagamento dei bisogni etc., sono tutti modi diversi di vedere la singola vita delle varie persone, e ciascuna delle prospettive conduce ad una differente visione dell’eguaglianza. La pluralità degli «spazi» rilevanti in cui l’eguaglianza può essere valutata pone, dunque, un problema di ordine metodologico: la scelta dell’approccio da utilizzare.

Le principali teorie della giustizia distributiva hanno in comune una caratteristica, quella di postulare la necessità dell’eguaglianza di qualcosa. Ciò accade sia per le teorie orientate al risultato (in termini di reddito, ricchezza, benessere, etc.) ma anche per

80 E’ il caso dei Kibbutz israeliani, la cui organizzazione è fortemente egualitaria, con il reddito distribuito

in maniera paritetica e gli appartenenti possono disporre di beni e servizi in comune.

81 Ibidem p. 791

82 Gallino L., (a cura di), Manuale di Sociologia, Utet, Torino, 1997, p.312 83 Sen, A., La diseguaglianza, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 7

quelle cosiddette procedurali, il cui contenuto di equità è espresso in termini di diritti, di proprietà, di libertà, di opportunità, e così via. L’operazione di contrapporre le teorie “a favore" a quelle “contro” la disuguaglianza, per Sen, risulta fuorviante: il confronto tra le diverse teorie non deve ruotare intorno al quesito “perché l’uguaglianza?”, quanto piuttosto sulla domanda “uguaglianza di che cosa?”.

Tutte le teorie etiche degli assetti sociali che abbiano un minimo di difendibilità condividono l’idea dell’eguaglianza fondamentale tra gli esseri umani, ma differiscono perché «….basate su interpretazioni diverse dell’idea fondamentale dell’eguaglianza morale degli esseri umani. Ognuna delle teorie dà un eguale peso morale a una qualche caratteristica necessariamente posseduta da ogni persona.»84 Ogni approccio, quindi, tende a richiedere l’eguaglianza in qualche spazio, imponendo un trattamento egualitario per tutti gli individui lungo una qualche dimensione che occupa un posto di rilievo nella particolare teoria presa in esame. Ad esempio i «libertari» richiedono l’uguaglianza di libertà mentre gli «egualitaristi economici» sono interessati all’eguaglianza di reddito o di ricchezza. Se tutte le persone fossero identiche, l’eguaglianza in uno spazio sarebbe tendenzialmente coerente con eguaglianza in altri, per cui sarebbe meno importante rispondere con chiarezza alla domanda : eguaglianza di che cosa? Le diverse istanze di eguaglianza, invece, devono confrontarsi col dato empiricamente inconfutabile della diversità umana. Gli esseri umani sono completamente diversi per caratteristiche personali (età, sesso, capacità etc.) e per caratteristiche esteriori (quali la ricchezza, la provenienze sociale, le condiziono ambientali etc.). Una delle conseguenze della diversità umana è che l’eguaglianza in uno spazio tende a coesistere di fatto con la disuguaglianza in un altro. Dato lo stesso insieme di opportunità, un portatore di handicap, per esempio, ha minore libertà di perseguire i propri obiettivi di quanta ne potrebbe godere una persona normalmente dotata. La relazione tra opportunità da una parte e il benessere dall’altra può, quindi, variare in dipendenza di variazioni interpersonali di certe caratteristiche specifiche.

A causa della fondamentale presenza della diversità umana è particolarmente importante la risposta a “eguaglianza di che cosa?” per la scelta dello spazio in cui promuovere l’uguaglianza, ma anche per le conseguenze sulle configurazioni distributive negli altri spazi. Se l’obiettivo è promuovere l’uguaglianza delle opportunità, non è possibile insistere anche per ottenere eguaglianza di reddito o ricchezza. Allo stesso modo richiedere l’uguaglianza dei redditi ha come conseguenza che qualsiasi argomentazione per l’uguaglianza di libertà viene a cadere.

L’esigenza di assicurare «l’eguaglianza di base», cioè l’eguaglianza di uno specifico aspetto che è ritenuto basilare per ogni concezione della giustizia sociale, impone, dunque, di tollerare la disuguaglianza in altri spazi che vengono ritenuti di fatto «periferici».85

Per un libertario dei diritti, ad esempio come Nozick, la tollerabilità di qualsiasi disuguaglianza di reddito o ricchezza discende direttamente dall’aver postulato a monte la necessità di rispettare i diritti assoluti di proprietà dei singoli: tutti gli individui devono essere lasciati liberi di decidere come disporre delle loro proprietà (eguale rispetto per i diritti negativi).86

Nelle società ad economia di mercato e a sistema politico pluralista l’uguaglianza sostanziale delle opportunità rappresenta, probabilmente, il principio di equità più comunemente accettato, attraverso il quale, in via principale, vengono legittimate e considerate eque le disuguaglianze in esse presenti.87

L’uguaglianza delle opportunità difende l’idea che ogni individuo disponga di una possibilità uguale agli altri di raggiungere i benefici e le ricompense che una società offre, e che non debbano esistere barriere artificiali che respingono alcuni, né privilegi speciali che favoriscono altri.88 Tutti possono competere per la conquista delle posizioni più privilegiate, ma la competizione per le risorse fondamentali deve essere aperta in modo sostanziale e non solo in senso formale .

Data «….una certa distribuzione delle dotazioni naturali iniziali, quelli che hanno la stesso livello di talento e capacità e la stessa volontà di usare queste doti dovrebbero avere anche le stesse prospettive di successo indipendentemente dalla classe sociale di origine (..). In tutte le parti della società devono esserci prospettive di formazione e di riuscita grosso modo uguali per quelli che hanno capacità e motivazioni simili.»89

Una volta garantita «l’equa eguaglianza delle opportunità»90 il risultato della competizione viene legittimato, qualunque esso sia. Se tutti hanno le stesse opportunità un conseguimento disuguale di risultati deve essere considerato come giustificato ed

85 Sen A.,op. cit., 2000, p.40.

86 Carter, I., ( a cura di), op.cit. 2001, p. 15

87 In altre parole le società in questione non hanno mai preteso di essere società egualitarie nel senso di

assicurare pari condizioni di vita a tutti i loro membri. La realizzazione di una piena e totale eguaglianza tra i membri di un sistema sociale si configura, del resto, come un obiettivo irraggiungibile, e addirittura scarsamente auspicabile perché in contrasto con l’esigenza di efficienza che la complessità della società impone e perché restrittiva delle libertà personali.

88 Jedlowski P., (a cura di ), op. cit. p.790.

89 Rawls J., Giustizia come equità, Feltrinelli, Milano, p. 50. 90 Ibidem. p. 50

equo, determinato dalle disuguaglianze “naturali” che caratterizzano la distribuzione dei talenti individuali, e non come il risultato di processi sociali strutturati.