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Il mercato del lavoro della città nel 2001

3.5 Il mercato del lavoro della città negli ottanta

3.5.1 Il mercato del lavoro della città nel 2001

La nuova definizione di disoccupato adottata dall’Istat, recependo le direttive dell’Eurostat, nel questionario del Censimento della popolazione e della abitazioni del 2001e l’innalzamento dell’età minima per far parte della forza lavoro, che passa da 14 ai 15 anni, non rende confrontabili i dati sul mercato del lavoro della città relativi al 2001 con quelli dei precedenti censimenti. Ciò, comunque, non impedisce, al di là dei mutamenti intervenuti nelle rilevazioni statistiche, di cogliere le principali trasformazioni registrate dal mercato del lavoro della città e di individuare le tendenze di lungo periodo dei principali indicatori.

I dati sulla forza lavoro complessiva di Crotone nel 2001 indicano una sostanziale stabilità della popolazione attiva rispetto a dieci anni prima, a differenza della popolazione inattiva che registra una crescita del 10%, passando da 23934 inattivi a 26643. La conseguenza è una riduzione del tasso di attività della città, pari a 45,2% della popolazione in età lavorativa, inferiore anche a quello registrato nel 1981, pari al 46,6%. È ragionevole supporre che gran parte della responsabilità della crescita degli inattivi presenti a Crotone sia da attribuire alla nuova definizione più ristretta di disoccupato, per cui dalle persone in cerca di occupazione viene escluso chi non dichiara di una ricerca attiva nel corso delle quattro settimane antecedenti la rilevazione censuaria. Nei censimenti precedenti l’adozione di una definizione «allargata» di disoccupato richiedeva semplicemente per essere classificato come soggetto in cerca di occupazione l’autocollocazione dell’intervistato nel gruppo dei senza lavoro. La conferma dell’inclusione tra gli inattivi di molti soggetti, considerati disoccupati secondo la precedente definizione, emerge chiaramente dalle variazioni che ha subito nel tempo la composizione strutturale della popolazione inattiva della città, come emerge (graf. 3.15).

La sostanziale crescita della categoria dei soggetti “in altra condizione” che rispetto al 1991 si triplica è da attribuire in gran parte alla collocazione al suo interno di persone che hanno dichiarato al censimento di aver effettuato l’ultima azione di ricerca di lavoro al di fuori dei termini per essere considerati disoccupati o di persone che hanno dichiarato che sarebbero disponibili a lavorare ma che non cercano attivamente lavoro. Nel 1991 questi soggetti sarebbero stati inseriti nella forza lavoro disoccupata della città. Esisterebbe quindi una fascia di forza lavoro potenziale che si nasconde nella popolazione non attiva in uno stato di «inoccupazione», poiché non ricerca attivamente

un lavoro. Si tratta della componente secondaria dell’offerta di lavoro, composta prevalentemente da giovani e donne, che soprattutto nei momenti di depressione congiunturale possono non cercare attivamente un’occupazione per l’azione di un “effetto scoraggiamento”. D’altra parte i giovani sono in grado di reggere una lunga attesa del lavoro, continuando a vivere con i genitori, così come le donne sposate possono contare sul sostegno del loro partner. Al contrario i maschi adulti, la fascia primaria dell’offerta di lavoro, sono sempre presenti sul mercato del lavoro perché non possano trovare sostegno nella famiglia e, anzi, hanno la responsabilità, da capifamiglia, di mantenere figli e moglie.

0 2000 4000 6000 8000 10000 12000 14000

Graf. 3.15 Composizone popolazione inattiva di Crotone (periodo 1981-2001) (val.ass.)

1981 5085 13328 2954 1006

1991 5884 12083 3898 2069

2001 5017 10468 4912 6246

studenti casalinghe ritirati dal lavoro in altra condizione

Fonte: Nostra elaborazione su dati Istat

Occorre anche dire che la sostanziale stabilità della popolazione attiva di Crotone nel 2001, al di là delle variazioni che hanno interessato le rilevazioni della forza lavoro, è da attribuire anche a fattori di natura demografica, come l’uscita dall’attività dei sempre più numerosi anziani e il calo delle coorti giovanili, che avevano a lungo alimentato in maniera rilevante il mercato del lavoro.204

204 I giovani residenti a Crotone nel 2001di età compresa tra i 15 ed i 29 anni sono 13778. Nel 1991 la

fascia giovanile della popolazione è pari a 17478 soggetti. Il decremento registrato è pari al 21,2% rispetto a dieci anni prima. È anche vero, comunque, che parte del decremento è da attribuire al fatto che nel 2001 sono stati esclusi dalla popolazione attiva i quattordicenni, a causa dell’innalzamento dell’età

La popolazione attiva giovanile, infatti, diminuisce di quasi un terzo, rappresentando nel 2001 soltanto il 27,6% della popolazione attiva della città, rispetto a dieci anni prima quando l’incidenza è del 39%.

Al contrario continua la crescita della presenza delle donne al mercato del lavoro, probabilmente sottodimensionata a causa della definizione ristretta di disoccupato, il cui peso sulla forza lavoro complessiva raggiunge nel 2001 il 37,2% (nel 1991 la quota rosa della forza lavoro è pari al 31,2%). Se il tasso di attività maschile e quello complessivo diminuiscono, il trend positivo della partecipazione delle donne al mercato del lavoro, invece, continua a crescere ed il loro tasso di attività raggiunge il 32,6%. L’aumento progressivo del tasso di attività femminile è il sintomo che tende a diffondersi un nuovo modello culturale femminile e familiare, per cui il tradizionale rapporto tra famiglia e mercato fondato sulla figura del malebredawinner comincia gradualmente ad essere messo in discussione. La partecipazione femminile al lavoro aumenta, infatti, non solo tra le giovani donne, ma anche tra e donne adulte, come emerge nel grafico (3.18) rappresentando una rottura evidente rispetto al modello tradizionale di partecipazione al lavoro femminile presente nei paesi dell’Europa meridionale sino ai primi anni settanta, nel quale la presenza femminile risultava di breve durata, limitata all’età più giovane e l’uscita, quasi sempre definitiva, dal mercato del lavoro avveniva in coincidenza col matrimonio o la nascita dei figli. «Ora entrano molto più tardi, dopo una lunga permanenza a scuola, e con una prospettiva non più transitoria, poiché aspirano a restare al lavoro sino ad età avanzata».205

La crescita della presenza femminile nel mercato del lavoro, oltre che determinata da fattori culturali, è da porre in relazione anche alla diminuita capacità del sistema sociale di garantire un’occupazione permanente al capofamiglia ed allo stress economico a cui sono sottoposte le famiglie a partire dagli anni ottanta, in seguito alla progressiva riduzione del loro potere di acquisto determinata in prima istanza dalla contrazione delle retribuzioni medie.206

Ciò ha portato alla necessità di aumentare l’offerta di lavoro delle componenti secondarie e di innalzare il numero di redditi familiari. Il tradizionale modello familiare mono-reddito tende sempre più ad essere sostituito da un modello di famiglia con redditi plurimi.

minima per poter lavorare a 15 anni. Una loro eventuale inclusione non avrebbe, tra l’altro, modificato la tendenza in atto, visto la loro scarsa consistenza numerica ( nel 2001 i quattordicenni sono appena 427).

205 Reyneri E., Sociologia del mercato del lavoro, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 93 206 Ranci C., Le nuove disuguaglianze sociali, Il Mulino, Bologna, 2002, p.56

13,6 10,0 9,4 48,4 38,0 28,0 37,6 37,8 27,0 14/15-29 anni . 30-49 anni

50 anni e oltre anni

Graf. 3.16 Tasso di attività femminile per fascia di età di Crotone (periodo 1981-2001)

2001 1991 1981

Fonte: Nostra elaborazione su dati Istat

I dati sulla disoccupazione evidenziano come siano sempre donne e giovani a costituire la fasce sociodemografiche più colpite dalla disoccupazione.. La crescita della presenza femminile nel mercato del lavoro ha come conseguenza che quasi metà ( il 47%) dei disoccupati nel 2001 sono donne mentre l’incidenza dei giovani sull’intera fascia di disoccupati della città è in netto calo, costituendone soltanto il 52% a fronte di una percentuale del 71% della precedente rilevazione. Il tasso di disoccupazione femminile raggiunge il 38% mentre più di metà della forza lavoro giovanile ( 56,8%) è senza lavoro, secondo i dati censuari del 2001.

Quando la domanda di lavoro è debole ed è oggettivamente più difficile l’ottenimento di un’occupazione, i giovani spesso optano verso un prolungamento delle fase formativa e comunque verso un prolungamento della permanenza in famiglia. In presenza di una elevata disoccupazione giovanile diventa, così, fondamentale il ruolo della famiglia nell’attenuare gli effetti negativi della mancanza di un lavoro. Quando sono assenti estesi programmi pubblici di integrazione del reddito minimo, la strategia migliore per sfuggire alle difficoltà economiche indotte dalla disoccupazione consiste nel restare a casa con i genitori. Il ruolo di sostegno della famiglia nella disoccupazione giovanile spazia dal contributo che i genitori e i parenti prossimi forniscono nei percorsi di ricerca di lavoro dei figli alla condivisione dell’abitazione, oltre che al trasferimento di reddito. «La familizzazione dei rischi sociali correlati alla disoccupazione ha costituito la risposta tradizionale che il nostro paese ha dato al problema,

particolarmente acuto nel Mezzogiorno, della mancanza di lavoro».207 In Italia, così, come in generale in tutti i paesi europei, i capifamiglia sono le figure meno esposte alla condizione di disoccupazione. Se una percentuale bassa di capifamiglia è disoccupata, quasi tutte le famiglie possono contare su almeno un reddito. In una situazione in cui gran parte del reddito familiare deriva dalla posizione lavorativa «protetta» del capofamiglia la mancata occupazione degli altri componenti non costituisce un elemento così drammatico da compromettere la situazione economica della famiglia.

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