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L’adeguamento degli strumenti urbanistici in relazione al progetto del promotore.

L‟art. 14 comma 8 della legge n. 109, allo scopo di assicurare la conformità agli strumenti urbanistici dei progetti dei lavori inseriti nell‟elenco annuale, oltre all‟art. 27 della legge 142 del 1990, richiama l‟art. 1 commi 4 e 5 della legge n. 1 del 1978. La norma si riferisce agli strumenti urbanistici “vigenti o adottati”, per cui nell‟ipotesi in cui l‟Ente Locale sia sprovvisto di piano regolatore (sanzionata dalla stessa disposizione con l‟esclusione da qualsiasi contributo o agevolazione dello Stato), è sufficiente ai fini della verifica la mera adozione del piano, anche se non sia ancora stato completato l‟iter di perfezionamento ed efficacia del piano regolatore, con l‟approvazione da parte della Regione.

La conformità delle opere pubbliche rispetto allo strumento urbanistico va valutata in relazione alla destinazione di zona ed agli indici di edificabilità stabiliti nei piani. La destinazione indica la funzione dell‟area prevista nella pianificazione territoriale109, quale risultato della scelta urbanistica che a sua volta, pur nell‟ampia

108 Cfr. d.d.l. A.C. 5100, fermo all‟esame della Camera. Il Ministero dell‟Ambiente, con la

Circolare del 8 ottobre 1996, ha evidenziato la necessità di una valutazione ambientale di piani e programmi, in una fase antecedente alla singola progettazione, perché più rispondente alla funzione ed agli scopi della VIA, in quanto nel momento della progettazione “un insieme di scelte di principio appare già definito, laddove sarebbe stato più logico prevedere la sua applicazione a monte, nella fase di piano o di programma, per tenere conto preventivamente, di tutte le alternative attivabili”. La tendenza alla sottoposizione alla valutazione d‟impatto ambientale di piani e programmi di lavori pubblici o di infrastrutture di rilievo nazionale e di interesse pubblico, è un‟esigenza avvertita anche a livello di legislazione comunitaria.

109 Sotto altro profilo, che non rileva in questa sede, la destinazione può essere intesa quale

"destinazione d'uso", che indica la funzione cui è concretamente destinato l‟immobile (residenza, commercio, industria, uffici etc..). Quanto alla rilevanza urbanistica delle destinazioni d‟uso il Consiglio di Stato (Sez. V, 14 novembre 1996, n. 1368, in Riv. giur. ed., 1997, I, 305) ha sostenuto che: “In linea astratta può convenirsi che la suddivisione del territorio in zone, che è diretta essenzialmente a salvaguardare l'assetto urbanistico e la tipologia edilizia, non implica di per sé né preclude determinate destinazioni d'uso dei

discrezionalità che caratterizza l‟attività di programmazione dell‟assetto del territorio, tende a contemperare la vocazione dell‟area con le esigenze della collettività.

La scelta pianificatoria si traduce nella ripartizione del territorio comunale in zone omogenee, aggregate per destinazioni funzionali, secondo la vocazione delle aree e l‟adeguatezza rispetto alle esigenze da soddisfare.

Il metodo della zonizzazione è consacrato nel D.M. n. 1444 del 2 aprile 1968 che indica le zone di aggregazione delle aree, all‟interno delle quali sono individuate le porzioni destinate a spazi ed edifici pubblici

E‟ proprio la rigidità insita nel metodo della zonizzazione che ha indotto all‟utilizzazione del meccanismo della variante implicita nell‟approvazione del progetto per la realizzazione delle opere pubbliche, che si caratterizzano per l‟immediatezza dei bisogni da soddisfare.

Gran parte delle opere pubbliche sono state, infatti, realizzate facendo ricorso agli strumenti derogatori, previsti dalla legge n. 1 del 1978 o da leggi specifiche di settore (quali l‟art. 3 della legge 1 giugno 1971 n. 291 e l‟art. 10 della legge 5 agosto 1975 n. 412, che in tema rispettivamente di edilizia ospedaliera e universitaria, e di edilizia scolastica, prevedono che la deliberazione comunale di scelta delle aree costituisce variante)110, metodo che si è diffuso quale reazione per i tempi eccessivamente lunghi necessari per l‟adozione delle varianti con il procedimento ordinario, tanto da poter essere ormai considerato, nonostante l‟evidente anomalia rispetto al sistema, lo strumento ordinario per la realizzazione delle opere pubbliche111.

fabbricati. Tuttavia va considerato che le norme in materia urbanistica operano una chiara differenziazione fra insediamenti residenziali e insediamenti produttivi. Ciò emerge, oltre che dal predetto art. 2 del D.M. 7 novembre 1968, dal comma 8 del citato art. 41-quinquies, che distingue gli spazi riservati agli insediamenti residenziali e a quelli produttivi; dall'ultimo comma dell'art. 4 della legge 28 gennaio 1977 n. 10, che disciplina separatamente l'edificazione a scopo residenziale e quella diretta alla realizzazione di edifici o complessi produttivi; dal successivo art. 10 della stessa legge, che dà rilievo alla destinazione diversa da quella residenziale, ai fini della determinazione del contributo per il rilascio della concessione. Le previsioni di piano regolatore, adottate in conformità alla tipologia di cui all'art. 2 del D.M. 2 aprile 1968, non possono non riflettere siffatta differenziazione sancita dalla stessa norma e insita nel sistema normativo nel suo complesso, onde deve ritenersi che il principio che afferma l'estraneità della destinazione d'uso degli edifici dall'ambito funzionale della potestà di pianificazione urbanistica, incontri una deroga nel senso che l'utilizzazione, residenziale o industriale, degli immobili da costruire, è rilevante sia ai fini della suddivisione del territorio comunale in zone omogenee, sia, e necessariamente, giacché altrimenti verrebbero vanificate le scelte emerse in sede di pianificazione, ai fini del rilascio della concessione edilizia.”

110 Il modello di accelerazione peraltro è stato adottato anche per la realizzazione di

insediamenti per attività produttive. Dal combinato disposto tra l‟art. 25 del D.Lgs. n. 112 del 1998 e l‟art. 5 del D.P.R. 20 ottobre 1998 n. 447, che consentono la possibilità del ricorso alla conferenza di servizi quando il progetto contrasti con le previsioni di uno strumento urbanistico, risulta delineato un procedimento cui si ricollega un effetto di variante allo strumento urbanistico, configurando un‟ipotesi derogatoria analoga a quella prevista dall‟art. 81 del D.P.R. n. 616 del 1977 e dal D.P.R. 18 aprile 1994, n. 383.

111 In proposito appaiono significative le considerazioni del Consiglio di Stato (sez. V, 30

aprile 1997, n. 421, in Giur. it., 1998, 171), che, nel negare l‟applicabilità delle misure di salvaguardia previste dal secondo comma dell'articolo unico della legge 3 novembre 1952, n. 902 alle ipotesi di varianti implicite, rivolte in modo singolare all'approvazione di un progetto di opera pubblica ha osservato: “Al riguardo giova considerare che la variante implicita, anche quando nel provvedimento che la contiene non formi oggetto di una specifica manifestazione di volontà, è una qualificazione giuridica che l'atto di approvazione del progetto di opera pubblica acquista automaticamente col semplice richiamo della norma di cui all'art. 1 legge n. 1 del 1978 (come è accaduto nel caso di specie), e ciò anche quando il progetto sia in contrasto

La compatibilità urbanistica dell‟opera pubblica appare condizionata dal diverso contenuto e puntualità delle prescrizioni di piano, che possono essere più rigidi per le zone urbanizzate ed edificate rispetto a quelle di sviluppo e trasformazione, affidate alla regolazione di dettaglio dei piani attuativi112.

Quanto più scende nel dettaglio la suddivisione del territorio per zone omogenee, tanto meno risultano tollerabili insediamenti di caratteri e tipologie diverse.

Per superare le rigidità insite nel meccanismo della zonizzazione, derivanti dai contenuti sempre più penetranti della pianificazione e dai connessi tempi di elaborazione, sono state seguite diverse strade.

Nel campo delle opere pubbliche il problema è particolarmente sentito, in quanto esse, per loro natura, specie se destinate all‟erogazione di servizi, introducono spesso una netta cesura rispetto ad un tessuto urbano che ha ricevuto una destinazione precisa, caratterizzata dalla concentrazione di aree qualificate da particolari aspetti apprezzati dall'amministrazione in sede di pianificazione urbanistica.

La giurisprudenza in alcuni casi ha ritenuto compatibili con la destinazione di determinate zone la costruzione di opere appartenenti a diverse tipologie, sul presupposto dell‟esistenza di una connessione rilevante tra l'opera e le finalità sottese alla particolare zonizzazione dell'area113.

con le previsioni del piano urbanistico, e senza neppure l'obbligo di una previa verifica della sua compatibilità. La legge ha una sua precisa collocazione temporale e trova una sua giustificazione politica nella necessità, all'epoca avvertita, di accelerare i tempi di realizzazione dei progetti dei lavori pubblici, in una congiuntura nella quale si rendeva manifesta la necessità di un volano efficace che servisse ad imprimere una spinta produttiva all'economia del paese.

Tuttavia, così disponendosi, non si può non rilevare come si sia messo in crisi il principio di legalità dell'azione amministrativa, atteso che le Amministrazioni pubbliche sono rimaste praticamente svincolate, per tutta la durata della deroga, dall'osservanza delle previsioni urbanistiche per la realizzazione delle opere pubbliche di loro competenza. Questione certamente avvertita dal legislatore del 1978, il quale significativamente limitò a tre anni l'efficacia nel tempo della disposizione eccezionale.

In effetti quel che è avvenuto ha comportato il capovolgimento della gerarchia dei valori giuridici, in quanto l'atto approvativo del progetto, degradando la forza precettiva della norma primaria dello strumento urbanistico, dalla posizione di oggetto conformato è passato a diventare atto conformativo dell'ordinamento, dando luogo ad una grave anomalia giuridica. Ma con le superiori considerazioni sull'automatismo dell'effetto variante diventa più chiaro che lo scopo esclusivo, si vorrebbe dire la causa tipica del provvedimento approvativo del progetto, non è l'atto di programmazione urbanistica, bensì la realizzazione dell'opera pubblica. Rispetto a quest'ultimo, l'effetto variante, attribuito dalla legge indipendentemente da una specifica manifestazione di volontà dell'organo deliberante, ha carattere meramente formale e strumentale, e precisamente quello di conferire a posteriori veste legale ad un intervento che altrimenti sarebbe trasgressivo dell'ordinamento giuridico.”

112 Sulle problematiche urbanistiche connesse alla realizzazione delle opere pubbliche cfr. S.

AMOROSINO, La competenza ad accertare la conformità delle opere statali alla pianificazione

urbanistica locale, in Regioni 1981, 349; N. ASSINI, Urbanistica, opere pubbliche,

espropriazioni, Università degli studi di Firenze, Padova, 1987; G. CASTIGLIONE, La

concessione edilizia e la conformità della normativa urbanistica nelle opere pubbliche e di pubblico interesse, in Cons. Stato 1982, II, 281; P. DE LISE, Disciplina urbanistica e opere

pubbliche, in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, Roma, 1981; R.DELLI

SANTI, Le opere degli enti pubblici nell'attuazione della pianificazione territoriale, in Urb. e

Ter. n. 2/1983, 123.

113 Le norme dello strumento urbanistico generale sulla zonizzazione infatti non devono

essere interpretate in modo rigido, con esclusivo riferimento alle attività espressamente considerate nelle norme urbanistiche, ma devono consentire la collocazione di attività che non risultano espressamente contemplate in alcuna zona omogenea, che altrimenti verrebbero virtualmente precluse, con evidente compressione dei diritti costituzionalmente garantiti

La compatibilità di usi non coincidenti con quelli principali della zona è stata tuttavia riconosciuta in quanto non alterino la destinazione della stessa, anche se in sé prevederebbero standards diversi, o potrebbero essere oggetto di specifica zonizzazione, valorizzando il concetto di zonizzazione negativa, quale criterio di conformazione delle zone promiscue, in cui l‟indicazione delle attività vietate assume rilevanza maggiore rispetto a quelle permesse114.

Per cui soltanto l‟incompatibilità dell‟uso dovrebbe impedire l‟ammissione di una nuova destinazione funzionale non principale, mentre anche le funzioni non espressamente contemplate potrebbero essere ritenute compatibili. L‟elemento da valutare, che può costituire un ostacolo all‟estensione del metodo, può essere dato dalla diversità degli standards prescritti per l‟uso da introdurre, ove questa comporti lo scendere al di sotto del limite minimo dettato per l‟attività prevalente e caratteristica della zona.

In dottrina è stato proposto un ripensamento delle funzioni del piano in termini di flessibilità, intendendo il piano quale strumento destinato ad indirizzare le linee generali di sviluppo territoriale, tramite prescrizioni limitate alle destinazioni urbanistiche prevalenti ed ai pesi insediativi sostenibili115.

In realtà già ai sensi della legislazione vigente (art. 7 della legge urbanistica fondamentale del 17 agosto 1942 n. 1150) le prescrizioni del P.R.G. dovrebbero essere di carattere programmatico, essendo rimessa ai piani attuativi la pianificazione di dettaglio ed esecutiva rispetto alle previsioni del P.R.G.116

La giurisprudenza117 ha tuttavia ritenuto ammissibile, perché rientrante nella sfera di discrezionalità amministrativa, l‟assunzione da parte del P.R.G. di contenuti di dettaglio tipici dei piani attuativi, con il solo limite della motivazione che tuttavia, trattandosi di attività pianificatoria, appare di rilievo limitato118.

La legge n. 415 del 1998 affronta il problema dell‟impatto dell‟opera pubblica sul territorio, in un‟ottica di maggiore sensibilità verso la salvaguardia dell‟equilibrio scaturente dall‟assetto di piano, in relazione all‟incidenza dell‟opera sugli standards. Gli standards urbanistici sono stati introdotti dalla legge 6 agosto 1967 n. 765, ed i relativi parametri di attuazione vennero approvati con il D.M. 2 aprile 1968, che

(T.A.R. Veneto, sez. II, 19 novembre 1986, n. 147, in Foro amm., 1987, 1844).

114 Il concetto di zonizzazione negativa si trova espresso anche in giurisprudenza che ha

ritenuto rilevante la non incompatibilità delle costruzioni con l'esercizio di attività principali della zona, per cui sono state considerate non incompatibili con la destinazione a verde agricolo di una determinata zona le attrezzature di interesse pubblico, definite tali in quanto pur non essendo destinate a scopi di diretta cura della pubblica amministrazione nelle sue molteplici espressioni, sono idonee a soddisfare i bisogni della collettività, e dunque la relativa ubicazione nell'ambito di tale zona, conforme alla finalità di un razionale assetto urbanistico dell'area (Cons. Stato, sez. V, 11 luglio 1975, n. 1000).

115 Cfr. G.PERICU, Problematiche recenti nei rapporti pubblico-privati nella pianificazione

territoriale, in Quaderni Regionali, 1986, 45 e ss. Su questa linea si colloca il disegno di legge

quadro in materia urbanistica riportato in P. STELLA RICHTER, Ripensare la disciplina

urbanistica, Torino, 1997, 111 e ss.

116 G.C.MENGOLI, Manuale di diritto urbanistico, IV ed., Milano, 1997, 89.

117 Cons. Stato, sez. IV, 19 febbraio 1988, n. 79, in Riv. giur. ed., 1988, I, 341; Cons. Stato,

sez. V, 19 febbraio 1982, n. 122, in Cons. Stato, 1982, I, 125; Cons. Stato, sez. V, 20 aprile 1979, n. 185, ibidem, 1979, I, 553.

118 E.FOLLIERI, Rigidità e elasticità degli strumenti di pianificazione generale, in Urb. e

App., n. 11/1999, 22, sottolinea l‟evoluzione delle legislazioni regionali nel senso del

contemperamento del contenuto strutturale del P.R.G. con il possibile contenuto attuativo, dando vita ad un modello pianificatorio misto, la cui flessibilità consente una diversa caratterizzazione del piano a seconda delle esigenze.

individua le zone territoriali omogenee, per ognuna delle quali sono previsti determinati standards, salve le diverse determinazioni della legislazione regionale, in seguito al passaggio alle Regioni delle attribuzioni in materia urbanistica.

Essi si configurano, negli strumenti urbanistici generali, come concreta individuazione di aree sottratte all'edificazione privata e riservate all'utilizzazione per scopi pubblici e sociali, sulla base dei rapporti massimi tra spazi edificabili e spazi destinati ad attività collettive, verde pubblico e parcheggi, nonché al rapporto tra popolazione ed attrezzature sanitarie, ospedaliere, universitarie, parchi urbani e territoriali, previsti dal D.M. 1444 del 1968 e dalla legislazione regionale.

Nella grande maggioranza delle ipotesi gli standards si attuano tramite l‟apposizione di vincoli sulle aree interessate, preordinati alla successiva espropriazione da parte della pubblica amministrazione e la realizzazione degli interventi per mano pubblica119.

Il ricorso all‟accordo di programma per l‟adeguamento dello strumento urbanistico con effetto di variante ai sensi dell‟art. 27 comma 5 della legge n. 142 del 1990, è contemplato dall‟art. 37-quater comma 1, in virtù del richiamo all‟art. 14 comma 8, ultimo periodo.

Il nuovo testo dell‟art. 14, comma 8, dispone che i progetti degli interventi debbano essere conformi agli strumenti urbanistici vigenti o adottati, prevede inoltre che per motivate ragioni di pubblico interesse si possa far ricorso alla procedura di cui all'art. 1, commi 4 e 5 della legge 3 gennaio 1978 n. 1, modificati dall'art. 4 comma 3 della legge 415 del 1998, e dell‟art. 27 comma 5 della legge n. 142 del 1990.

In seguito all'entrata in vigore del t.u. n. 327 del 2001 , in base all'art. 58, l'intero art. 1 della legge 1 del 1978 risulta abrogato, anche se le relative disposizione risultano in gran parte riprodotte negli artt. 9, 10, 12, 17 del t.u. ed in particolare nell'art. 19 che disciplina l'ipotesi in cui l'opera da realizzare non risulti conforme alle previsioni urbanistiche.

L'art. 37-quater comma 1 dispone che dopo la fase di individuazione delle proposte di pubblico interesse e prima dell‟indizione della gara, quando cioè vi è la disponibilità di un progetto preliminare, le amministrazioni aggiudicatrici, “applicano ove necessario le disposizioni di cui all‟art. 14 comma 8, ultimo periodo” e quindi provvedono all'adeguamento degli strumenti urbanistici.

Pertanto, in base al combinato disposto dell'art. 14 comma 8 con l‟art. 37-quater, le proposte di opere pubbliche con finanziamento privato devono, come tutti i progetti per la realizzazione di opere pubbliche, essere conformi allo strumento urbanistico, salva la possibilità di applicare, prima dell'entrata in vigore del t.u. n. 327 del 2001, le disposizioni di cui all'art. 1, commi 4 e 5 della legge 3 gennaio 1978 n. 1, ove sussistano specifiche e motivate ragioni di pubblico interesse, ed ora l'art. 19 del t.u. cit., ovvero l‟art. 34 del t.u. n. 267 del 2000.

L'ipotesi di variante accelerata disciplinata all'art. 1 della legge n. 1/1978, viene sostanzialmente ripresa dall'art. 19, ed in parte dall'art. 9 comma 5 del t.u., per cui il richiamo operato dall'art. 14 comma 8 della legge n. 109/1994 alle disposizioni cui all'art. 1 della legge n. 1/1978 deve intendersi sostituito da un rinvio, implicito nel sistema, all'analogo procedimento disciplinato dal t.u. n. 327 del 2001.

In sostanza, la proposta deve essere conforme alla pianificazione urbanistica, pur

119 In dottrina cfr. G. MENGOLI, Manuale di urbanistica, Milano, 1982; F. PAGANO,

Riflessioni relative a possibili ipotesi di revisione della disciplina degli standard, in Riv. giur. ed. 1988, IV, 146; F.PAGANO, Gli standard urbanistici: strumento della politica dei servizi, in

potendo i privati promotori sollecitare l‟adozione delle varianti necessarie per la realizzazione dell‟intervento, presentando un progetto non conforme ma suscettibile di adeguamento ai sensi delle richiamate disposizioni, e fermo restando che è comunque riservata all‟amministrazione la determinazione finale sull‟opportunità della variante agli strumenti urbanistici.

La giurisprudenza120formatasi nel vigore dell‟art. 1 della legge n. 1 del 1978, riteneva che le disposizioni di cui ai commi 4 e 5, quali norme eccezionali e dunque di stretta interpretazione, fossero applicabili solo alle opere pubbliche di competenza del Comune.

Poiché l‟art. 14 comma 8 si riferisce ai progetti dei lavori “degli Enti Locali”, deve ritenersi che con il richiamo alle predette disposizioni, il legislatore abbia inteso estendere il particolare meccanismo ivi previsto a tutte le ipotesi di approvazione dei progetti anche da parte degli Enti Locali diversi dai Comuni, purché ricorrano specifiche ragioni di pubblico interesse.

L'art. 19 comma 3 del t.u. n. 327 del 2001 chiarisce che se l'opera non è di competenza comunale, il progetto preliminare o definitivo è approvato dall'autorità competente che può dare impulso al procedimento di variante, trasmettendo il progetto approvato al consiglio comunale, che resta competente per l'adozione della conseguente variante allo strumento urbanistico.

In proposito è stato rilevato che l'opera non di competenza comunale non potrebbe identificarsi né con un'opera statale né con un'opera regionale. Per la prima categoria di opere ai fini dell'accertamento della conformità urbanistica vale infatti la disciplina di cui all'art. 81 del D.P.R. 616 del 1977 ed in particolare al D.P.R. 18 aprile 1994 n. 383. Per le regioni invece l'inapplicabilità deriverebbe da un'interpretazione sistematica con il successivo comma 4 dell'art. 19, e segnatamente dall'inconciliabilità logica con la parte della disposizione che subordina alla mancata espressione del dissenso entro novanta giorni l'acquisizione di efficacia della delibera comunale che dispone la variante121.

Le disposizioni dell‟art. 1 della legge n. 1 del 1978, vigenti prima della modifica operata dalla legge n. 415 del 1998, prevedevano al comma 4 che l'approvazione di progetti di opere pubbliche da parte del Comune su aree già destinate a servizi pubblici, anche se gli stessi non erano conformi alle previsioni del piano, non comportava necessità di seguire le procedure per la variante, in quanto la modifica al piano si configurava automaticamente in caso di approvazione del progetto da parte del Comune.

La norma disciplinava le ipotesi in cui l'area era comunque destinata a pubblici servizi, seppure non coincidenti con quelli riferiti all'opera da realizzare.

Se per esempio l'area era stata destinata a verde pubblico, era possibile la

120 Cons. Stato, sez. IV, 13 febbraio 1988 n. 60, in Foro it., 1988, III, 373. Il criterio della

legge n. 1 del 1978, che assegna alla delibera consiliare di approvazione di un progetto di opera pubblica, l'efficacia di variazione agli strumenti urbanistici vigenti (senza necessità di preventiva autorizzazione regionale) si è poi diffuso anche con riferimento ad opere diverse da quelle comunali, in materia di impianti di smaltimento rifiuti (legge n. 441/1987), di localizzazione di impianti industriali (D.P.R. 203/1988), di costruzione o esercizio di centrali elettriche, (D.P.C.M.. 27 dicembre 1988), di bacini idrografici (legge n. 183/1989), determinando l'effetto giuridico di conformazione urbanistica "a cascata " e di sovrapposizione

alle competenze comunali in materia di controllo edilizio. Cfr. N. ASSINI - P. MANTINI,

Manuale di diritto urbanistico, Milano, 1997, 853 che sottolineano come" (...) gli strumenti