• Non ci sono risultati.

Affioramenti dell’iceberg - È sempre bella Maria?

- Sì, è ancora molto, molto carina.

Così rispondo a F., pisano (che malignamente correggo sull’uso un po’ vernacolare dell’avverbio), un ragazzone un po’ più giovane di me, che so essere stato compagno di Maria durante le vacanze. Se la ricorda coi capelli lunghi: forse si sbaglia, io non lo so; davanti a me ho solo un’immagine di lei piccola, vestita da zingara, gli occhi interrogativi.

Dell’infanzia di Maria so quello che di lei si legge, e quello che posso immaginare, integrando la sua figuretta in certi luoghi che io conosco o ricordo, pisana come lei non è mai stata, ma ancora pisana, anche se da tanti anni ormai separata da questa nostra comune lontana radice. Ma non è da poco che a lei, come a me, sua madre desse la puppa, e non la tetta o la nenna, o freddamente il seno… - Voglio farti conoscere mia madre.

Ho paura, non voglio incontrare altre pisane emigrate. Ma l’incontro avviene nel più ovvio e naturale dei luoghi, lo spazio che ho più frequentato in tutti questi anni, il cor-ridoio del quarto piano (non quello di Maria, che è dall’al-tra parte del cortile, di fronte). La voce conserva l’intona-zione spontanea, come, forse, la mia (io non mi sento); ma

Cristina Vallini 72

è un’intonazione pisana di anni fa, quella della zia Luisa; forse anche il viso mi ricorda qualcosa. L’incontro breve resta sporadico: ci vuole tempo perché la nebbia del so-spetto svanisca e ci possiamo riconoscere, e possiamo con-dividere questo nostro così diverso amore per lei, e il suo ricordo.

Di nuovo posso solo immaginare quello che non cono-sco: Maria non può aver partecipato alle feste della mia adolescenza, è troppo piccola, porta ancora i calzini; e poi, quando si trucca gli occhi (guardo la foto) e vince la sua timidezza, io sono già un’universitaria, e alle feste, chi sa perché, non ci vado più (comunque, non abitiamo nella stessa città). Eppure le feste di Maria mi fanno entrare in casa sua, mi svelano le sue trovate (il letto per l’ospite dietro le piante, geniale), mi permettono di visitare, il gior-no dopo, il gior-nostro luogo prediletto, il mercato, e di com-prare insieme cose colorate, estive, che ancora mi metto, per qualche festa.

- Perché non hai finanziato Maria Stella? è una brava ricerca-trice!

- Cosa dici? Perché non dovrei averla finanziata?

L’università e i suoi effimeri poteri (coordinare la ‘com-missione del 60%’, figurati!), e i sospetti, e le categorie: perché chi viene da fuori è comunque un estraneo, è fuori per chi è dentro, lo si difende d’ufficio, anche senza moti-vo, da chi dovrebbe averlo discriminato. È la prima volta che sento parlare di lei, e la domanda inopportuna mi in-curiosisce. La incontro, allieva di Lombardo, la marca di riconoscimento. Che vuol dire? Fingo di sapere, anche se mi fa rabbia che ‘loro di inglese’ non si rendano conto di non conoscere il mio maestro, i suoi amici e i suoi alleati, e semplicemente ignorino chi sono io, oltre a non essere

Affioramenti dell’iceberg 73

anglista e napoletana, che cosa mi sta a cuore. La stanza di Maria mi diventa familiare perché c’è lei: non parliamo di lavoro, perché per fortuna non abbiamo in comune la ma-trice accademica (la madre forse sì, invece, e la lingua, forse, e le feste con gli occhi truccati, e il saper riconoscere, a naso, l’imbecillità). Nella stanza mal arredata la incontro: lei non viene nella mia, ha sempre da fare, ma riesco qual-che volta a distrarla e a portarla nello spazio della nostra comune adolescenza, immaginata, non vissuta, ma non per questo non condivisa nel profondo: la induco al pettego-lezzo, al giudizio libero su chi non ci piace (ma lei è troppo educata per farselo scappare di bocca).

- Vengo per le tesi. Andiamo a mangiare insieme?

Le ho facilitato il distacco: ho usato il mio effimero peso perché non aspetti un ‘bando di Roma’, ho accelerato la sua partenza dalla città che non è né sua né mia (natural-mente), ma che ci ha fatto incontrare e riconoscere. Odio i ristorantini del dopo tesi, che non ci permettono di condi-videre qualcosa di cucinato per noi; però poi possiamo parlare (non saprete di cosa), finché non arriva il momento di se-pararci. Ora è sempre lei che ritorna, che guarda con stra-ordinario affetto quel suo passato e mio presente: il futuro, per noi, è altrove, in una vacanza al mare, così facile da progettare, ma difficile da rendere reale. Il tempo si fa sem-pre più stretto: non per lei, che ha il dono di dilatarlo, gonfiando eroicamente il suo palloncino che contiene sem-pre più cose, ma per me, che soffro cronicamente di nostal-gia (i toscani sono patetici e inclinano alla disperazione cosmica). Da bambina piangevo tutti i giorni, e più volte: lei no, il nonno siciliano non lo permetteva. E anche ora non piange, e mi obbliga a frenarmi, a fingere di credere nelle cose in cui crede lei perché siamo uguali.

Cristina Vallini 74

La nostra amicizia affiora di poco sul mare della nostra esperienza. Siamo uguali e diverse, non come tutti, ma nel modo speciale che ciascuna di noi sente dentro di sé. Ba-sterebbe questo per continuare a vivere, con naturalezza, il ricordo comune e la base larga e profonda delle comuni passate esperienze.