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Lavorare con Maria

Quando Simonetta de Filippis propose una giornata di lavo-ro in ricordo di Maria Stella, fui subito entusiasta dell’idea, perché il lavoro, il suo e nostro lavoro, e cioè la ricerca e lo studio, sono state per Maria passione e antidoto alla lunga malattia che è stata la sua vita per una quindicina d’anni.

Voglio darne due testimonianze attraverso i miei ricordi. Nel novembre 1998 all’Istituto Universitario Orientale di Napoli Maria Stella, poco prima di essere trasferita all’uni-versità di Roma La Sapienza, mi coinvolse nell’organizza-zione del convegno “Irlanda ’98: realtà e rappresentanell’organizza-zione”. Io a mia volta ero sul punto di prendere servizio all’Univer-sità di Verona, provenendo da quella di Roma Tre.

Il convegno riuscì molto bene, innanzitutto per la rispo-sta degli studenti cui decidemmo di dedicare il volume Continente Irlanda, che ne raccoglieva in parte gli atti. La dedica «Ai nostri studenti, curiosi e appassionati» riassume il senso che tutte e due davamo alla pratica dell’insegnamen-to di cui così bene Maria dice nella sua poesia “Distanza”:

non ci sentimmo tutti indistintamente portatori almeno di un handicap, quello di amare la letteratura?1

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L’altro ricordo è di un convegno che la morte le ha impe-dito di realizzare e che è stato l’ultimo impegno, l’ultimo suo sforzo appassionato. Il convegno doveva trattare di: “Ex-centric Ladies: letteratura, costume, mutazioni del gusto in Inghilterra e Irlanda dagli anni Venti agli anni Quaranta.”

Nel 2002 Maria Stella mi aveva di nuovo coinvolto in un suo percorso di ricerca insieme all’amica e collega Bene-detta Bini. Con stupore e ammirazione entrambe la vede-vamo affrontare scogli che avrebbero fermato chiunque. Roma La Sapienza, Verona e Viterbo – altri si sarebbero spaven-tati di quello che un convegno organizzato da docenti di tre diverse università avrebbe potuto significare in termini di grane burocratico-finanziarie, ma non Maria, per lei contava la voglia di essere, di esserci. Questa qualità primaria della vita sul ‘resto’ l’aveva forse appresa proprio qui a Napoli. Ignorare i localismi, le ‘vanterie’ delle diverse scuole, i paletti della recente riforma universitaria, era anche un suo picco-lo ma significativo gesto politico di protesta.

Affrontò lei tutto l’iter burocratico per avere i sospirati finanziamenti in tempo per le date che avevamo fissate: dall’11 al 13 ottobre 2003. Ottenne dieci milioni di vecchie lire!

Ecco qualche brano della ‘descrizione del convegno’ che aveva presentato agli uffici della sua università, brani che rivelano in pieno l’originalità del taglio che lei sapeva dare alla ricerca, multidisciplinare innanzi tutto e poi attenta alle implicazioni storiche, socio-culturali e di genere del fenomeno letterario:

p. 36. Alcune poesie di Maria Stella sono state pubblicate nella rivista

Leggere Donna (n. 116, maggio-giugno 2005, pp. 33-35), con due note

introduttive di Ady Mineo e di Carla De Petris sotto il titolo comples-sivo “Ancore e vele, rigore e passione” che rimandava al Convegno di Napoli.

Lavorare con Maria 55 Il convegno concentra l’attenzione sulla scena britannica e irlandese nel periodo tra gli anni Venti e Quaranta, un periodo caratterizzato, come si sa, da profonde contraddi-zioni e trasformacontraddi-zioni sia sul piano storico-sociale (massima espansione dell’Impero, ma anche inizio della sua crisi, ridefinizione delle identità nazionali, radicalizzazione dei conflitti ideologici e di classe) sia sul piano culturale e let-terario (emersione delle problematiche di gender, ricerca di un’autonomia rispetto ai modelli del modernismo, elabora-zione di nuovi stili di vita, ibridaelabora-zione di generi e forme espressive).

Di alcune di queste mutazioni il convegno si propone una revisione critica, con gli strumenti dell’analisi lettera-ria, ma anche della stolettera-ria, degli studi culturali e della sociologia, e con una messa a fuoco specifica sulla declinazione al fem-minile della categoria dell’eccentrico, che proprio sullo sfondo di quegli anni e di quelle trasformazioni si rende percepibile con evidenza.

Figura di un differire che non arriva mai ad essere estraneità completa, l’eccentricità – profondamente connaturata alla cultura anglosassone e già sostanziatasi, a esempio, nella saggistica di Lamb, nel romanzo di Dickens o nel vissuto di un Wilde – emerge e si diffonde tra le due guerre come tratto distin-tivo di un gusto che accomuna intellettuali e viaggiatrici, artiste, designers, attrici, giornaliste: figure di spicco, a va-rio titolo, nel mondo della cultura e dei media, e che diven-ta subito orgoglio della propria individualità e della propria scrittura.

Il convegno si giustifica come volontà di recupero e di studio di alcune di queste personalità, a tutt’oggi non anco-ra pienamente integanco-rate nel canone, poco note in Italia e a rischio di tornare invisibili […]

Le “ex-centric ladies” di cui il Convegno intende occu-parsi sono tali innanzitutto nell’accezione geografico-spaziale del termine. Fuori dal centro o dotate di un altro centro, potranno provenire da o dirigersi verso il cuore dell’Impero […] o si troveranno a oscillare tra le due isole e il continen-te, come è tipico di quelle che uno studio recente di A. Morrow

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identifica come “the eccentric lives of the Anglo-Irish” […] o ancora, restando al centro delle proprie isole, le eccentri-che potranno costituirne la coscienza critica, in una sorta di volontaria marginalizzazione marcata da puntigliosi tratti di disobbedienza civile […] In altri casi [infine] la bizzarria delle signore, accentuata ad arte e abilmente giocata nelle relazioni sociali, riuscirà non solo ad essere accettata dall’establishment, ma addirittura a promuoverlo […]

Il mio rimpianto è per quello che Maria non ha potuto portare a termine. L’ultima volta che l’ho vista, un anno fa, era in ospedale e, secondo un tacito rituale che avevamo stabilito tra noi, la malattia era stata liquidata con pochi dati di fatto, le parlavo di ‘altro’, della vita, di frivolezze – e di lavoro naturalmente: un libro intitolato Le eccentriche scrittrici del Novecento, uscito proprio alla fine del 2003, quando aveva già dovuto sospendere il progetto del convegno.2 Quel libro mi era sembrato in parziale sintonia con la linea di ricerca indicata da Maria. Lei mi salutò, dicendo: «Com-pralo, che poi lo leggo e ne parliamo». Quel ‘poi’ che non c’è mai stato mi addolora ogni volta che penso a lei.

Mi piace concludere ricordando la grande passione di Maria per la traduzione e la sua maestria, in specie nel tradurre poesia. Tradurre in italiano poesia inglese era parte del suo essere intellettuale e docente. Tradurre riassumeva quel generoso dare che per lei era il suo lavoro, quel voler condividere con gli altri, amici e studenti, la gioia della scoperta di quanto la poesia riesce a dire.

Quando stavamo riorganizzando per la pubblicazione i contributi al convegno di Napoli, cui avevano partecipato due illustri poeti irlandesi, Desmond O’Grady e Eiléan Ní

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Chuilleanáin, Maria suggerì di inserire come epigrafe a ciascuna sezione del libro una poesia di uno dei due artisti tradotta di volta in volta da una di noi due. Una sorta di omaggio ‘indiretto’ alla letteratura d’Irlanda. Naturalmente ciascu-na partecipò al lavoro dell’altra, intente ambedue a coglie-re ogni coglie-reciproco suggerimento.

Ho scelto di riproporre di seguito la traduzione della poesia di O’Grady intitolata “Laura di Petrarca”, pubblica-ta nel volume Continente Irlanda.3 Il gioco di specchi tra cultura irlandese e italiana che aveva dettato la scelta di questa poesia da parte di Maria, ora si carica quasi di un senso premonitore.

Petrarch’s Laura

di Desmond O’Grady

She was born of good name and came from that Hill country twenty miles outside the city In which she settled; secure after they got A well made marriage for her. She was wealthy, Fair of skin with golden hair and lived nobly Named. She enjoyed outdoor life with many Lady friends; boating, bathing and fashionably Dressed her part. That blue border, purple dress Sported pink spots, like phoenix feathers, gaily. She wore gloves. A sensitive neighbour seeing her pass Could lose his soul to love for life in silence.

One did. He sang his life’s love from a distance.

3 Continente Irlanda. Storia e scritture contemporanee, a cura di Carla De

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She mothered children, but painfully died of fever; Wrinkled, withered. Her name lives on forever.

Laura di Petrarca

Era nata di buona stirpe e veniva da quel paese In collina a venti miglia dalla città

Dove si stabilì; protetta poi che le procurarono Un buon matrimonio. Era ricca,

Chiara di pelle, capelli biondi e visse

Sotto nobile nome. Godette la vita all’aperto Con molte signore amiche; barche, bagni, vestiti

Alla moda per il ruolo. Quell’abito porpora bordato d’azzurro, Sfoggiava macchie rosa, come penne di fenice, gaiamente. Indossava guanti. Un vicino sensibile vedendola passare Poteva smarrire l’anima in un amore per la vita in silenzio. Uno lo fece. Cantò l’amore della sua vita a distanza. Ebbe figli, ma morì penosamente di febbre,

Raggrinzita, avvizzita. Il suo nome vive per sempre. [traduzione di Maria Stella]