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Un patrimonio provvisorio

Testamenti di donne nel Novecento

3. Un patrimonio provvisorio

Ma le limitazioni rispetto a eventuali magnanimità verso le donne non riguardano principalmente il veto di eventuali secondi matrimoni. I requisiti richiesti nei testamenti ma-schili per concedere disposizioni più magnanime verso le donne vertono anche su altri principi. «In considerazione che essa vivrà nella comune casa di nostra abitazione» è il precetto imposto da un pensionato commendatore nel 1935 affinché sua moglie abbia diritto a un rendita annua che «insieme alla pensione le daranno modo di vivere dignito-samente».22 In questo caso vengono dettagliatamente de-scritti i criteri economici con cui deve essere amministrata la parte dei beni a lei generosamente assegnati: quanto deve essere usato per il suo proprio mantenimento e quanto invece deve essere investito per l’educazione dei figli.

Non si tratta di semplici consigli o di preoccupazioni affettuose sull’avvenire di chi resterà ancora in vita, ma piuttosto di un’interpretazione attenta e rigorosa dei com-piti e delle responsabilità assegnate per legge a un marito: quello del mantenimento della propria moglie. Alcuni te-stamenti sono molto espliciti e rigorosi a questo riguardo: «A mia moglie – è scritto in un testamento agli inizi del secolo – secondo le leggi la quota di usufrutto, visto anche che penso che questa quota con la dote basti al sostenta-mento, secondo il codice civile».23

21 ANDR, Notaio Buttaoni, vol. 9, a. 1935, p. 335.

22 ANDR, Notaio Urbani, vol. 98, n. 6869, a. 1935.

Il futuro di chi muore. Testamenti di donne nel Novecento 87

Viene qui sottolineato con molta chiarezza il ruolo asse-gnato alle sostanze possedute da una moglie, che non deve percepire la propria ricchezza come titolo di proprietà, ma come uso per le necessità della vita.

L’assenza di figli rende spesso ancora più dettagliate le disposizioni testamentarie e più attente alla futura destina-zione dei beni. «Dopo la mia morte mia moglie deve gode-re il frutto delli tgode-re pezzi di tergode-reni con la casa – scrive G.D.M. un vecchio muratore nel 1952 – non deve vendere niente. Siccome noi non possiamo pagare una persona che ci aiuta alle nostre bisogne».24

Anche per questo un lascito ereditario è spesso dichiara-tamente limitato a un tempo provvisorio, quello della vita naturale e disposizioni ulteriori ne definiscono la giusta allocazione definitiva. Nomina sua moglie erede ‘assoluta’ un fotografo che muore nel 1930, ma «questa mia proprietà o tutto quello che mia moglie potrà avere deve essere tra-smesso ai due figli di mio fratello e con questo credo di interpretare anche la volontà di mia moglie».25 È evidente che un bene ereditato in questa maniera non diventerà mai un vero diritto di proprietà. E alcune espressioni di grati-tudine o di debiti di riconoscenza, molto comuni nei testa-menti maschili, riducono ulteriormente il senso di un dirit-to vero e proprio delle mogli a diventare proprietarie. «Dichiaro erede universale mia moglie per le assidue e affettuosissi-me cure usatemi durante la lunga e grave mia malattia – scrive un senatore del Regno nei primi anni del secolo – ed in segno di viva riconoscenza lascio ad essa tutti i miei diritti ipotecari».26

24 ANDR, Notaio Urbani, a. 1952.

25 ANDR, Notaio Buttaoni, a. 1930, p. 195.

Angiolina Arru 88

Ma sono soprattutto le spartizioni successorie verso figli e figlie a chiarire ancora meglio tutta la logica con cui vie-ne trasmessa una ricchezza. Oltre la metà dei testamenti maschili includono nella quota disponibile solo i figli ma-schi. «Voglio che all’unico mio maschio Luigi spetti la par-te disponibile del mio patrimonio – scrive nel 1929 un padre di 65 anni – cioè la metà. Dell’altra metà si facciano quattro parti uguali da segnarsi ciascuna alle mie figlie e figlio».27 E nel 1954 ritroviamo lo stesso meccanismo distributivo nelle ultime volontà di un imprenditore, che assegna tutta la quota legittima ai suoi dieci figli, compresi i quattro maschi tra i quali aveva però diviso anche la disponibile. Spesso si tenta di giustificare una divisione ineguale, e un avvocato che scrive con tanta meticolosità il suo testamento stenta a spiegare alle figlie le ragioni della preferenza verso il loro fratello. «Unica, vera e sensibile preferenza, è il villino la-sciato al solo Alberto [...] di sua natura indivisibile salvo a volerlo svalutare» è la giustificazione di questo padre, che alla fine però confessa apertamente: «Alberto è l’unico maschio e l’erede del nome».28

Ma saranno le motivazioni minuziose incluse nel testa-mento di un ricco barbiere alla metà del Novecento a darci conto delle ragioni del permanere della disuguaglianza nell’assegnazione dei patrimoni. «Alla figlia Alfonsina ho già provveduto – scrive questo artigiano nel 1953 – […] rimangono gli altri cinque. I tre maschi seguendo le mie orme di onestà e lavoro potranno vivere senza soverchie preoccupazioni ed esercitare la mia arte che attualmente si svolge in due botteghe […]. La mia preoccupazione si re-stringe alle mie due figlie. Che ora a mio carico sarebbero

27 ANDR, Notaio Urbani, 5 novembre 1929, p. 63.

Il futuro di chi muore. Testamenti di donne nel Novecento 89

alla mia morte a trovarsi senza sostegno. I miei figli do-vranno solidalmente provvedere alle loro sorelle di vitto vestiario e alloggio ripartendo i proventi del negozio con i due quinti dei proventi stessi. Altrimenti imputabile nella loro quota tutto quanto ebbero di vitto». E in un allegato viene precisata ancora meglio tutta la contabilità. «Riassu-mendo: Alfonsina nulla. I due negozi ai figli maschi con l’obbligo di dividerne i proventi mese per mese con le loro sorelle nubili. Ovvero a richiesta fornire […] quanto neces-sario per la vita. Ma se qualcuna si sposasse, deve essere disinteressata con una annualità del quinto dei proventi dei due negozi». Saranno dunque i futuri mariti i veri garanti della vita di queste donne che per ora dal padre avranno come eredità personale «tutti i mobili della casa».29