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La divisione degli oggetti

Testamenti di donne nel Novecento

4. La divisione degli oggetti

Sono le stesse preoccupazioni a caratterizzare anche i te-stamenti femminili novecenteschi nei quali appaiono però soluzioni ancora più radicali.

Le donne che si recano dal notaio per consegnare le ultime volontà sono ormai molto numerose nel Novecento: il 43% rispetto ai maschi, un numero molto cospicuo paragonato sia ai testamenti settecenteschi, sia ancora a quelli ottocenteschi

29 ANDR, Notaio Urbani, vol. 178, f. 19. Mi sembra importante osservare

che le logiche con cui vengono divisi i beni e ne viene consigliata l’uti-lizzazione non dipendono da un giudizio sulla capacità imprenditoriale delle donne, che anzi spesso vengono elogiate per la loro dedizione e intelligenza sul lavoro. «E per la verità ripeto a tutti – scrive B. N., un negoziante, subito dopo aver deciso di dividere la sua parte disponibile solo tra i figli maschi – che lo sviluppo che ha preso in questi ultimi anni il negozio di oggetti sacri si debba a Cecilia la quale oltre la sua non comune capacità se ne occupa con grande interesse con assiduo instancabile lavoro». Notaio Urbani, a. 1930, p. 1066.

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presenti negli archivi notarili.30 E alcune parti delle loro scritture testamentarie si differenziano nettamente dagli atti notarili maschili. Nessuna donna del campione da me rac-colto aggiunge alle sue ultime volontà sentimenti partico-lari riguardanti debiti di riconoscenza o di gratitudine per aiuti ricevuti dal proprio consorte nel passato. «Tutti i beni ereditati [...] dai miei genitori o acquistati per mia indu-stria – scrive una vedova nel 1953 – siano divisi in parti uguali tra i miei cinque figli [...] a sorte [...] e anche il mio denaro [...] e se dovessi a lungo essere malata allora tutti i figli ci penseranno».31 Cura e assistenza fanno parte di uno scambio per il futuro piuttosto che di un debito da pagare per il tempo della vita precedente.32 E nemmeno vengono imposte condizioni sulla vita futura dei mariti. «Se io do-vessi morire presto – scrive una giovane signora ai primi del Novecento – e il mio amato Alfredo trovasse una com-pagna che potesse veramente amarlo e renderlo felice passi pure a seconde nozze senza paura di offendere la mia memoria».33

Ma ciò che caratterizza i testamenti femminili, e soprat-tutto quelli delle donne sposate, è una logica di

disugua-30 Sono circa il 23% rispetto ai maschi le donne che sottoscrivono un

testamento negli ultimi decenni del Settecento a Roma. Vedi A. Arru, “Donare non è perdere”, cit., p. 380.

31 ANDR, Notaio Urbani, a. 1953, vol. 180, p. 357.

32 Uno scambio come garanzia per il futuro, piuttosto che come

ricono-scenza per cure o assistenza ricevute in passato, è tipico di altri atti di liberalità sottoscritti dalle donne. Gli atti di donazione inter vivos rogati durante il Settecento, a esempio, hanno la stessa caratteristica. E cioè mentre gli uomini tendenzialmente donano per gratitudine verso un passato di aiuti e assistenza, le donne invece donano per un futuro di alimenti ed eventuale assistenza. Vedi A. Arru, “Donare non è perdere”, cit., p. 367.

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glianza più radicale e coerente rispetto a quella dei maschi. Sono infatti meno di un terzo (e dunque una percentuale molto inferiore in relazione a quella degli uomini sposati) le mogli che assegnano al proprio marito quote di beni più ampie di quelle previste dalle norme e in quasi tutte le scritture testamentarie femminili vi è una scelta netta a favore dei figli maschi. A loro viene trasmessa principalmente tutta la quota disponibile (quasi la metà delle donne sceglie questa strada) o in ogni caso viene destinata una parte maggiore dell’intero asse ereditario dopo aver rispettato naturalmente le quote legittime. «Nomino i miei due figli […] eredi uni-versali – scrive una vedova a metà del Novecento – pre-gando di completare in denaro quanto a Giovanna può spettare della mia eredità tenuto conto del corredo fornitole».34

Ma sarà il testamento scritto da una signora nel 1938 «nella sua camera nuziale» a rendere esplicite le ragioni di una trasmissione ereditaria diseguale. «Lascio a mia figlia del mio disponibile tutti gli oggetti mobili e l’usufrutto della mia casa precedentemente legata a mio figlio, ma vita natural durante e a condizione che dovendosi unire in matrimonio legalmente tale diritto cesserà dal giorno delle nozze».35

Vengono così riaffermati esplicitamente anche dalle madri, come dai padri, i ruoli stabiliti dalle norme del diritto di famiglia per gli uomini e per le donne, differenziandone le ricchezze. Se le leggi prevedono che siano i mariti a man-tenere e garantire le mogli allora è necessario accettare un’idea differente del concetto di proprietà e trasmettere la mag-gior parte dei beni a chi, ancora nel Novecento, ha

maggio-34 ANDR, Notaio Urbani, a. 1948, vol. 185, p. 137.

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ri responsabilità e doveri. Le raccomandazioni sul valore dei beni e sul loro uso nel futuro vengono rivolte infatti principalmente ai figli maschi, a meno che un patrimonio non venga consegnato a figlie uniche senza fratelli.36

Ma nei testamenti novecenteschi appaiono alcune inno-vazioni che rendono questa fonte particolarmente impor-tante per capire le fratture del secolo appena trascorso. Si tratta di cambiamenti che non riguardano la divisione del-la proprietà in senso stretto, anche se hanno a che fare ugualmente con le distinzioni tra eredi e con la costruzione di gerarchie.

Se le leggi limitano ormai le scelte di chi testa (nono-stante la presenza della disponibile renda ancora possibili sperequazioni tra gli eredi), allora si cercano altri strumen-ti per ristabilire la propria scala delle preferenze. Non è certo un caso che durante il Novecento acquisti sempre più spazio la divisione degli oggetti personali spesso privi di valore economico, ma evidentemente ricchi di altri signifi-cati.

«Con atto di donazione [...] ho diviso tutto tra i miei adorati Domenico e Giuseppina – scrive E.R., una vedova a metà del Novecento – mi resta solo qualche mobile, qual-che quadro, qualqual-che altro gioiello e un po’ di argenteria che spero ancora io stessa di poter distribuire a mio piacimento durante la mia vita».37

Gli oggetti rappresentano certamente uno spazio sottrat-to alla volontà delle norme e offrono la possibilità di con-trollare l’equilibrio degli affetti e di stabilirne le differenze.

36 Una vedova nel 1935 raccomanda alla sua unica figlia che la proprietà

sia conservata «come sacro deposito, comprendendone tutta la respon-sabilità». ADNR, Notaio Buttaoni, vol. 9, a. 1935.

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38 ANDR, Notaio Urbani, a. 1953, vol. 181, p. 21.

39 ANDR, Notaio Urbani, 29 novembre 1952.

40 Cfr. Visceglia, op. cit.

41 ANDR, Notaio Urbani, a. 1953, vol. 182, p. 241.

42 ANDR, Notaio Urbani, a. 1929, p. 511.

«A mio figlio la radio Telefunken»,38 scrive un commer-ciante dopo aver diviso equamente tutto il patrimonio tra il figlio e la figlia, ma tentando evidentemente di ristabilire con un regalo una forma di gerarchia tra gli eredi. E nel testamento di una pittrice nubile morta nel 1952 la distri-buzione di gioielli, quadri e libri occupa quasi l’intera scrittura di un documento lungo circa 70 pagine. Ogni gioiello la-sciato ai parenti e alle amiche viene accompagnato da un disegno meticoloso che deve evidentemente contribuire a evitare errori di assegnazione, ma anche a sottolineare il senso delle scelte.39

Anche negli atti testamentari di antico regime la parte dedicata ai legati occupava uno spazio importante e segui-va una logica attenta alle differenze e alle graduatorie.40 Ma negli atti di ultima volontà scritti durante il Novecento la distribuzione di mobili, di preziosi e libri contiene un significato più complesso, il tentativo cioè di inserire un contrappeso alle imposizioni delle leggi, un correttivo alle norme, una ricerca di spazio per se stessi. «Tutto in parti uguali ai figli, a mia moglie l’arredamento, ma esclusa l’ar-genteria»41 scrive un signore, dopo avere assegnato la quo-ta esatquo-ta imposquo-ta dalle norme per il coniuge. E in un tesquo-ta- testa-mento in cui una madre intende privilegiare il figlio ma-schio attraverso la disponibile, rispettando naturalmente la legittima per le figlie, vengono tuttavia sottratti alla divi-sione «libri statuette e argenteria che intendo donare per mio ricordo».42

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43 Vedi Cristina Vallini, “Maria”, in Maria Stella, Accompagnarti, cit., p. 62.

44 Ringrazio moltissimo la famiglia di Maria Stella per avermi permesso

la lettura delle lettere, che non cito testualmente.

45 ANDR, Notaio Urbani, 1 giugno 1953, p. 217.