Testamenti di donne nel Novecento
1. Proprietà e futuro
Una tra le tematiche più interessanti del dibattito storiografico di questi ultimi decenni – soprattutto tra le storiche – ha riguardato un aspetto centrale del ciclo della vita: la tra-smissione della ricchezza, dei beni patrimoniali mobili o immobili lasciati in eredità da chi muore. I testamenti olografi oppure quelli dettati a un notaio sono diventati un punto di osservazione perspicuo per capire la relazione tra i tem-pi diversi della storia e per ricostruire le profonde differen-ze con cui uomini e donne hanno interpretato il rapporto col futuro. «Proprio qui – è stato osservato – e cioè nelle modificazioni del rapporto con i morti si rivelano le novità nei rapporti tra i viventi […] i processi di innovazione sono possibili solo facendo i conti con la volontà dei morti e con le ipoteche che essi sono riusciti a porre sul futuro».2
Nelle sue più recenti riflessioni scientifiche Maria Stella ha studiato e ricercato le ragioni profonde e le logiche della trasmissione ereditaria e ha cercato di capire attraverso quali pratiche soprattutto le donne sono riuscite a influire sulle regole rigide dei diritti di proprietà.3
2 Adriano Prosperi, “Premessa”, Quaderni storici, 50, 1982, p. 403.
3 Voglio qui ricordare sia il seminario internazionale sulla proprietà
(or-ganizzato nel 2001 presso l’Università “L’Orientale” di Napoli) sia an-che il libro Proprietarie. Avere, non avere, ereditare, industriarsi (a cura di Angiolina Arru, Laura Di Michele, Maria Stella), Napoli, Liguori, 2003.
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Un antropologo inglese ha osservato come le logiche attraverso cui viene trasferita e divisa la ricchezza tra uo-mini e donne definiscono il tipo di società, di comunità e di presente in cui si vive.4 E Maria Stella in uno dei suoi ultimi lavori ha scelto un’immagine particolarmente pregnante per descrivere il rapporto tra la circolazione dei beni e le relazioni di potere nella storia della famiglia e delle don-ne: uno scrigno intagliato da una scultrice russa del Nove-cento. Scrive Maria Stella: «Il gesto dell’apertura e della do-nazione di uno scrigno accompagna, fin dall’antichità racconta-taci dalla ceramica greca, il rito di passaggio della sposa dalla casa paterna a quella dello sposo. All’interno di questo rito, che riassume simbolicamente tutto un circuito di relazioni, valori e scambi economici, lo scrigno è rappresentazione per metonimia e sineddoche dei beni della sposa […] il corredo, la dote [...] [beni] che raramente da costei verranno posseduti fino in fondo [...] destinati piuttosto a circolarle intorno [...] risalendo e ridiscendendo in altre case e altre casse, spesso aperte da mani maschili».5
Si tratta di una sintesi molto efficace per descrivere la storia dei patrimoni femminili e per alludere ai complicati assetti normativi che l’hanno regolata. I beni dotali di una moglie sono proprietà ‘anomale’, sottolinea giustamente Maria Stella; devono infatti essere amministrati dal marito, sono inalienabili e vengono tutelati dai giudici dei tribunali ci-vili, «poiché scopo principale della dote – come afferma un
4 Jack Goody, Famiglia e matrimonio in Europa. Origini e sviluppi dei
mo-delli familiari dell’Occidente, Milano, Mondadori, 1984.
5 Maria Stella, “Premessa”, in Proprietarie (a cura di A. Arru, L. Di
Michele, M. Stella ), cit., p. 1. La scultrice dello scrigno è Luise Nevelson nata in Russia nel 1899 e vissuta in America fino alla morte nel 1984.
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giudice ancora agli inizi del Novecento – è conservare il patrimonio per i figli».6
Siamo di fronte a un tipo di ricchezza basata sostanzial-mente su un rapporto di credito che mette in relazione persone, generazioni e ambienti differenti. È sufficiente leggere un atto testamentario che riguarda una proprietà dotale per cogliere le peculiarità di questo patrimonio. «Possiedo Lire 38.000 – scrive un professore nel 1923, dopo venti anni di matrimonio – e sono la dote di mia moglie intatta».7 E in questi stessi anni G.B.A., un affermato avvocato di origine piemontese, dopo avere nominato sua moglie usufruttuaria di tutta l’eredità precisa anche che essa «avrà diritto di riprendere dal patrimonio [...] l’ammontare della sua dote, ivi rifondata, sempre quando non le bastasse l’usufrutto di tutto il mio patrimonio per vivere agiatamente».8
Le sostanze di una donna possono dunque essere (e lo sono state per molti secoli) sottratte al rischio, allo scambio e possono costituire una vera e propria ‘ipoteca posta sul futuro’. Lo scrigno «ridiscende in altre case», scrive Maria Stella cogliendo uno dei significati fondamentali della sto-ria dei beni delle donne e sottolineando la differenza radi-cale con i patrimoni maschili destinati alle incognite del mercato.
Certamente una delle cesure più importanti nella storia economica e politica tra Ottocento e Novecento è stata la riforma del codice civile rispetto ai diritti di proprietà.
6 Archivio distrettuale notarile di Roma (in seguito ANDR), Notaio
Evan-gelisti, 20 novembre 1919, vol. 210. Per la storia della dote in Europa rinvio, tra l’ampia letteratura esistente, al numero speciale della rivista francese di storia delle donne Clio, 7, 1998.
7 ANDR, Notaio Urbani, 12 febbraio 1923.
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L’abolizione dell’obbligo della dote nel codice unitario ita-liano del 1865 (ma non la proibizione che arriverà solo un secolo più tardi), la uguale opportunità di ereditare per le donne e per gli uomini, la capacità giuridica di scambiare beni sul mercato concessa anche alle donne sposate agli inizi del Novecento, hanno certamente mutato la storia della famiglia e dei rapporti sociali contemporanei.
E tuttavia questa uguaglianza formale non ha evidente-mente interrotto differenze profonde nel concetto di ric-chezza e di possesso. Le riforme del diritto privato non hanno infatti intaccato fino a tempi molto recenti l’intero istituto della patria potestà. Le leggi del 1865 hanno riba-dito l’obbligo per il capofamiglia di provvedere con il suo patrimonio o con il suo lavoro al mantenimento di una moglie, anche se benestante e anche senza dote,9 reintrodu-cendo in questa maniera uno dei principi normativi sui quali si era costruita tutta la storia della famiglia in antico regime.10 Come nei vecchi regolamenti, viene di nuovo pre-cisato che la madre con il suo eventuale patrimonio deve concorrere alle spese per «mantenere, educare e istruire la prole», a patto che non venga mai intaccato l’eventuale pa-trimonio dotale, di cui sono a disposizione della famiglia solo i frutti.11
Costituirsi e offrire una dote può servire dunque a ga-rantire ancora una parte delle ricchezze femminili e anche per questo – come ci dicono le fonti notarili – non poche mogli, in pieno Novecento, continuano a scegliere il
regi-9 Art. 132, Codice Civile 1865.
10 Cfr. Angiolina Arru, “Donare non è perdere. I vantaggi della
recipro-cità a Roma tra Settecento e Ottocento”, in Quaderni storici, 98, 1998, pp. 361-382.
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me dotale.12 Un patrimonio amministrato da altri e protet-to dalle leggi non garantisce una vera proprietà personale, ma è tuttavia sottratto ai possibili fallimenti del mercato ed è capace di ipotecare il futuro.
La mia ipotesi è che il diritto delle donne sposate a es-sere mantenute dai propri mariti (abolito solo dalla recente riforma delle norme sulla famiglia) continuerà non solo a incidere sulle relazioni coniugali, come alcuni studi recenti hanno dimostrato,13 ma soprattutto influenzerà profonda-mente il concetto di proprietà e di possesso di un bene, differenziando i ruoli di uomini e donne non solo all’inter-no delle relazioni familiari, ma anche nella vita pubblica. Si tratta di una ipotesi molto presente nelle ultime di-scussioni con Maria Stella, su cui è necessario ancora riflet-tere ponendo nuove domande alle fonti e intrecciando ar-chivi diversi.
2. I testamenti del Novecento, le ragioni della disuguaglianza