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I testamenti del Novecento, le ragioni della disuguaglianza Ho esaminato a questo proposito quei documenti che

Testamenti di donne nel Novecento

2. I testamenti del Novecento, le ragioni della disuguaglianza Ho esaminato a questo proposito quei documenti che

con-tengono la decisione di trasmettere a chi resta in vita i beni di chi sa che deve morire.

12 Chiara Saraceno, “Le donne nella famiglia: una complessa costruzione

giuridica. 1750-1942”, in Storia della famiglia italiana, 1750-1950 (a cura di Marzio Barbagli, Davis I. Kertzer), Bologna, il Mulino, 1992; vedi anche Angiolina Arru, “Un credito senza capitale: il diritto delle mogli al mantenimento (Roma sec. XIX)”, in Proprietarie (a cura di A. Arru, M. Stella, L. Di Michele), cit., pp. 189-209.

13 Vedi su questo punto un bel saggio di Tiziana Avolio, “Il diritto delle

mogli al mantenimento: l’istituzionalizzazione del ruolo di consumatrici in età contemporanea”, in I consumi: una questione di genere (a cura di Angiolina Arru e Maria Stella), Roma, Carocci, 2003, pp. 75-88. Vedi ora di Tiziana Avolio, Denunciare il marito. Genere e obblighi di assistenza

fa-miliare nell’Italia fascista, Tesi di dottorato di ricerca, Università di

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Gli studi sui testamenti in questi ultimi decenni, anche da parte delle storiche, si sono limitati soprattutto all’età moderna, quando i diritti di uomini e donne sono ancora profondamente diseguali.14

Ho voluto studiare questa fonte per un periodo ancora non preso in considerazione dalla ricerca, quando le donne cioè hanno ormai la stessa capacità giuridica degli uomini, gli stessi diritti di possedere, di trafficare i beni, di ammi-nistrarli e dunque di trasmetterli, non più «in casse aperte da mani maschili».

Ho raccolto un campione di 150 atti testamentari rogati a Roma in tre uffici notarili tra il 1919 – anno in cui è stata abolita l’autorizzazione maritale – e il 1950.15 Sono in vigo-re in questi anni, come è noto, le norme del codice unitario di diritto privato del 1865 che aveva ridotto drasticamente gli spazi di manovra per chi scrive un testamento rispetto all’antico regime. Si può disporre ora a proprio piacimento solo di una metà del patrimonio, la ‘disponibile’, nell’altra

14 Per l’età moderna vedi Maria Antonietta Visceglia, Il bisogno di eternità.

I comportamenti aristocratici a Napoli in età moderna, Napoli, Guida, 1988.

Per l’Ottocento vedi Paolo Macry, Ottocento. Famiglia, élites e patrimoni a

Napoli, Torino, Einaudi, 1985. Vedi anche Manuela Martini, “Doti e

suc-cessioni a Bologna nella prima metà dell’Ottocento. Ricerche sui rapporti patrimoniali tra i coniugi del ceto nobiliare”, in Quaderni storici, 92, 1996.

15 Si tratta dei notai Urbani, Buttaoni e Fusco che hanno rogato a Roma

nella prima metà del Novecento. La natura della fonte rende particolar-mente difficile questo tipo di ricerca e ringrazio particolarparticolar-mente il per-sonale dell’Archivio distrettuale notarile di Roma che – con il necessario obbligo dell’anonimato – mi ha messo a disposizione i documenti. Per una versione più ampia della ricerca sui testamenti nel Novecento vedi di Angiolina Arru, “Eigentumsrechte und Geschlechterbeziehungen: Widersprüche und Ambivalenzen bei der Machtverteilung in Italien im zwanzigsten Jahrhundert”, in Anja Weckwert und Ulla Wischermann (Hg.),

Das Jahrhundert des Feminismus. Streifzuge durch nationale und internationale Bewegungen und Theorien, Königstein/Ts, Ulrike Helmer Verlag, 2006.

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metà – la ‘legittima’ – devono essere inclusi a pari diritto figli e figlie e, a titolo di usufrutto secondo quote stabilite, anche il coniuge.16 Lo slittamento della storia della fami-glia verso l’asse coniugale diventa ancora più marcato durante il Novecento e, nelle riforme del codice del 1942, alcune norme prevedono ormai un ampliamento della quota legit-tima spettante al coniuge.17

Gli studi sulla famiglia dell’Ottocento hanno dimostrato come, dopo l’introduzione del nuovo Codice, ancora per molti decenni la quota disponibile sia servita a privilegiare i figli maschi sia nei testamenti maschili sia anche in quelli femminili, continuando in questo modo a differenziare per consistenza e valore i patrimoni di donne e uomini.18 E indubbiamente la lunga permanenza dell’istituto dell’au-torizzazione maritale per le attività patrimoniali delle don-ne sposate non ha contribuito – come è stato giustamente scritto19 – a una concezione più egualitaria dei diritti di proprietà.

Ma proprio per questo è interessante osservare che cosa cambia quando il diritto ad amministrare le ricchezze di-venta totalmente egualitario, quando cioè a partire dal 1919 anche le mogli possono sovrintendere ai propri beni senza tutela e senza un consenso maschile.

16 Codice Civile 1865, artt. 753, 805, 812.

17 Al coniuge verrà riservato, sempre in usufrutto e in presenza di un

solo figlio, non più solo il quarto della legittima (come era previsto nel Codice del 1865), ma il terzo. E in assenza di figli i due terzi della quota legittima. Vedi artt. 540 e 542 del Codice civile del 1942.

18 Cfr. Macry, op. cit., p. 10.

19 Ute Gerhard, “Grenzziehungen und Ueberschreitungen. Die Rechte

der Frauen auf dem Weg in die politische Oeffentlichkeit”, in Ute Gerhard (Hrg), Frauen in der Geschichte des Rechts. Von der Fruehen Neuzeit bis zur

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Una prima analisi quantitativa dei testamenti novecenteschi suggerisce che sia gli uomini sia le donne seguono ormai logiche successorie più egualitarie rispetto al secolo prece-dente nei confronti di tutti gli eredi e che sono molto più numerosi ormai i mariti che decidono di lasciare alla mo-glie una quota ereditaria maggiore di quella imposta dalle nuove leggi. Sono oltre la metà – nel mio campione – gli uomini sposati che decidono che le proprie mogli godano di quote ereditarie più ampie di quelle puramente legali.

Ma è necessario analizzare tutte le parti di un testamen-to, osservare i diversi significati attribuiti a ciò che si lascia in eredità e vedere soprattutto attraverso quali condizioni vengono ampliate le quote assegnate alle donne. «Compare C. M. – scrive un notaio di Roma nel 1928 – moglie del signor G. Z. col testamento del marito possidente», che lascia al figlio maschio la disponibile, divide la legittima in parti uguali tra figlie e figlio, e nomina la moglie usufruttuaria di tutto «purché non si rimariti».20 Se la legge obbliga ad assegnare in usufrutto alle mogli un quarto della legittima è evidente che questo testamento contiene un atto di gran-de liberalità. E tuttavia la condizione di non passare a se-conde nozze – spesso ripetuta nei testamenti novecenteschi – rimanda a una vecchia formula molto diffusa nelle dispo-sizioni testamentarie maschili di antico regime. «Se mia moglie passa a seconde nozze – scrive un avvocato morto nel 1935 – io non ho da obbiettare; ma mi parrebbe cosa commendevole che, entrando in una nuova famiglia, a condividere la sorte del nuovo coniuge, ella rinunciasse per intiero al godimen-to del reddigodimen-to di quel capitale che appartiene ai nostri figli dai quali essa si estrania […] in ogni caso dispongo che passando essa a seconde nozze i diritti di mia moglie verso

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la mia eredità […] siano ridotti a quel minimo che il Codi-ce Civile le assegna».21