• Non ci sono risultati.

Come una rosa nel sole…

Scrivere un breve ricordo personale di Maria Stella non è stato facile, me ne rendo conto ora. Ci pensavo da giorni, ma lo rimandavo continuamente per una specie di ansia che mi prendeva e che mi faceva subito deporre la penna. Non volevo esprimere parole di circostanza, ma dare in maniera semplice e spontanea una piccola testimonianza sul nostro rapporto di amicizia, di stima reciproca e, in certi momenti, di contatto profondo, silenzioso, carico di significato.

Quando era venuta all’Orientale da Roma, Maria aveva portato subito una ventata nuova, una nuova voce, espe-rienze diverse che avevano arricchito il pur fertile e dialettico dibattito culturale del gruppo di anglistica dell’Orientale, di cui Fernando Ferrara era stato per vari, intensi e fruttuosi anni il principale ispiratore. Altri parleranno dell’attività universitaria di Maria più diffusamente di me. Qui voglio solo ricordare come sia sempre stata veramente esemplare come docente attenta e generosa, come studiosa raffinata e innovativa, come stimolatrice di dibattiti culturali e di importanti pubblicazioni soprattutto presso lo ‘storico’ “Archivio delle Donne” dell’Istituto Orientale. Maria ave-va l’abilità rara di mettere armonicamente insieme la ricer-ca individuale e quella collettiva. Da questo punto di vista

Giuliana Mariniello 60

ne ho sempre ammirato la capacità di continuare, con im-pegno e passione, la sua vita d’insegnante e ricercatrice, senza lasciarsi oltremodo abbattere dalla malattia, affron-tata sempre con coraggio, senza pesare sugli altri.

Col tempo si era andato creando fra noi anche un rap-porto di amicizia e di scambio reciproco, per me di grande significato, soprattutto quando toccavamo i temi di fondo della vita e della morte.

Ricordo un anno, verso la metà degli anni ’90, in cui abbiamo condiviso un piccolo appartamento nel centro sto-rico di Napoli; un anno che ha contributo ad approfondire la nostra amicizia attraverso uno scambio umano e cultura-le, pieno di allegria e leggerezza. E poi erano tornati i momenti bui dei test e delle terapie, in cui mi sentivo molto vicina e cercavo di trovare parole d’incoraggiamento, speranza e solidarietà. Mi era difficile accettare quella sua sofferenza che era anche quella di Marcello e dei figli, Matteo e Anna, che Maria amava profondamente.

Una delle ultime volte che l’ho vista era stato a Roma, alla Casa Internazionale delle Donne, nel corso della premiazione di un libro da lei curato. Poi c’era stato un periodo di silenzio, con pochi contatti, carico di interroga-tivi e di timori, in cui ero divisa fra il desiderio di starle vicino e il rispetto di un momento umano così delicato e personale. E dopo la fine era subentrata una sorta di rimo-zione, di difficoltà di contatto con quel dolore, con quella mancanza. Oggi, mentre scrivo queste righe, mi rendo con-to come per tancon-to tempo la malattia di Maria aveva riaper-to l’antica ferita per la perdita di mia madre, colpita molti anni prima dallo stesso male. E in questa esperienza si riproponeva ancora una volta l’interrogativo fondamenta-le, che spesso rimuoviamo, sul significato del dolore che attraversa le nostre vite e dell’impermanenza delle cose.

Come una rosa nel sole… 61

«È ben vero», come scrive Seneca «che i cari perduti ci debbono tornare alla memoria con una stretta al cuore, ma in questo stesso sentimento c’è anche una certa dolcezza». E questo mi induce a ricordare un momento particolar-mente felice e spensierato che ho condiviso con Maria e Marcello durante un fine settimana marchigiano fra Cagli e Senigallia. Ho ricercato anche una memoria di quei gior-ni in un vecchio diario e in alcune foto.

Era il 1° giugno del 1996, circa 10 anni fa, ed ero partita per una breve vacanza con Maria e Marcello nella bella casa di Cagli. Il diario racconta di una serata di luna piena, trascorsa insieme ai loro amici Leonardo e Cristiana e la loro bella bimba riccioluta. La domenica poi una gita alla casa di Senigallia a cui Maria era particolarmente legata.

Era stata una giornata insolitamente calda ma gradevo-le, preludio di una lunga estate torrida. Di pomeriggio una passeggiata in campagna e poi una festa popolare in un villaggio vicino che mi aveva ricordato quell’Italia minore dei piccoli centri, legata alla terra, alla sua cultura, al cibo e al vino.

Di quella giornata ho ancora in mente il sole accecante e il calore scoppiato all’improvviso, come di sovente avvie-ne fra maggio e giugno. Ricordo la casa di Senigallia con le ampie stanze, in parte da restaurare, una casa carica di memorie e di presenze, un po’ magica, di cui c’è traccia in alcune foto scattate allora. Tra queste ne ho scelte un paio più significative non dal punto di vista estetico, ma per il valore che per me racchiudono.

In una immagine c’è la finestra da cui ero stata assieme a Maria a osservare la campagna circostante. Essa coglie il nostro sguardo in quel momento, rivolto alle tegole del tetto e a un forte e robusto albero dalle foglie luccicanti che certamente sarà ancora lì, ben saldo e radicato nella terra.

Giuliana Mariniello 62

Come una rosa nel sole… 63

Quel giorno il sole era entrato in tutte le stanze e le aveva illuminate rivelando i tipici colori pastello delle pareti delle case di campagna, un po’ scrostate dal tempo, alcuni ritrat-ti anritrat-tichi, oggetritrat-ti d’altri tempi. Per me e soprattutto per Maria una vera casa della memoria.

Nell’altra foto appare la porta d’ingresso circondata da una splendida pianta carica di rose d’un rosso carminio intenso, quasi elettrico, che mi aveva subito colpito.

A Maria la foto era piaciuta molto e gliene avevo fatto dono per ricordarle, quando era a Roma, quella giornata spensierata nelle Marche, quella casa che l’aspettava. È così che mi piace ricordare Maria, sorridente e felice, come una rosa nel sole…

E a lei dedico questa breve poesia, Gioia, di Antonia Pozzi:

Lo splendore del sole ti abbacinava ieri dolendo

come la piaga

nelle pupille del cieco. Ma oggi

lo splendore del sole non è abbastanza lucente per la lucentezza tua: nell’infinito mondo non c’è che questo tuo splendore vero.1

1 Antonia Pozzi, Parole, a cura di A. Cenni e O. Dino, Milano, Garzanti,

2001, p. 73. La poesia, composta da una Pozzi appena ventenne, reca la

Giuliana Mariniello 64