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Agatocle basileus

Nel documento Quality Paperbacks • 404 (pagine 86-89)

Era, infatti, per il complicarsi delle cose in Sicilia che Agatocle era stato costretto a far costruire nuove navi e a lasciare la Libia: ed è proprio in questo torno d’anni, mentre in Africa le cose volgono al peggio, che intervengono fatti nuovi. Uno, su tutti: l’Agatocle di nuovo in patria fa

sentire sin da subito il peso concreto, quasi fisico, di un’autorità che si riempie rapidamente di nuovi simboli e contenuti. Ed è così che si oppo-ne al “movimento di liberaziooppo-ne” messo in moto da Xenodoco, stratego di Agrigento. Una volta sbarcato a Selinunte, egli intraprende un viaggio forsennato volto a recuperare città, territori, credibilità: tra la primavera e la fine estate del 307 riesce a riprendere il controllo di tutta l’isola, par-te occidentale compresa, arrivando allo scontro diretto con Dinocrapar-te, capo dei fuoriusciti siracusani. È a questo punto che il figlio lo manda a chiamare, disperato, ma Agatocle non può rispondere, impegnato a combattere per terra e per mare. La vittoria gli arride su più fronti: grazie all’aiuto dei Tirreni diventa “signore del mare”, mentre provoca la defini-tiva rovina politica di Xenodoco facendo saccheggiare la chora delle

cit-tà ribelli. Solo dopo aver spazzato via l’opposizione e opportunamente festeggiato con sacrifici e banchetti, è pronto per tornare in Libia, dove le cose attendono di essere sistemate una volta per tutte (è l’autunno del 307). Lì, infatti, la situazione si è fatta molto difficile per fame, logora-mento di nervi e infedeltà dei mercenari, e alla fine sembra che siano gli dei a sciogliere un quadro palesemente in stallo. Equivoci, alleati scam-biati per nemici, incendi appiccati per sbaglio: «Così, dunque, ambe-due gli eserciti subirono tali rovesci della fortuna, ingannati, come dice il proverbio, dai casi della guerra» (Diodoro, 20, 67, 4). Ad Agatocle non resta che lasciare l’Africa dopo quattro anni di inutile guerra: nel tardo autunno del 307 lo strategos parte con poche navi e abbandona al

loro destino la maggior parte degli uomini e i propri figli che vengono subito trucidati per vendetta. I soldati «fecero pace con i Cartaginesi, stabilirono di consegnare le città che avevano preso, di ricevere trenta ta-lenti; si decise inoltre che coloro che sceglievano di combattere a fianco dei Cartaginesi ricevessero sempre il compenso dovuto, mentre gli altri, una volta ritornati in Sicilia, avessero come sede da abitare Solunto» (Diodoro, 20, 69, 3).

Con l’abbandono della Libia, la parabola di Agatocle sembra arrivare al suo punto più basso. L’incertezza lo porta a menar colpi crudeli e in-consulti (esemplare in tal senso la punizione inflitta a Segesta, accusata di tradimento) ed egli giunge a concepire persino una sorta di resa con la consegna di Siracusa ai cittadini e il mantenimento del controllo di due sole fortezze, Terme e Cefaledio. Ma ancora una volta lo soccorre la fortuna nella persona del capo dei fuoriusciti, Dinocrate, che invece di cogliere il momento favorevole sacrifica alle proprie ambizioni persona-li l’aspirazione greca alla persona-libertà, permettendo così il ritorno sulla scena

del Siracusano. Un ritorno in grande stile. È proprio Agatocle, infatti, a concludere nel 306/305 una nuova pace con Cartagine, che se pure nulla cambia sul piano strettamente territoriale ribadisce e rinsalda l’egemonia di Siracusa sulla Sicilia greca e, in essa, il potere militarmente formidabile del generale. Non solo: chiusa la folle parentesi degli anni africani, egli gioca di nuovo la carta diplomatica, arrivando a piegare le resistenze degli avversari politici (esuli che «provando nostalgia per i genitori, gli amici, la patria e tutte le sue bellezze, trattarono con Agatocle»: Diodoro, 20, 89, 4) e a proclamarsi basileus (“re”) senza incontrare alcuna vera

opposi-zione. La tradizionale egemonia siracusana si avviava a prendere le fattez-ze di un “regno” di stampo ellenistico, ricco e forte, alla pari di quelli che si stavano formando nel frattempo in altre aree del Mediterraneo (fig. 5).

Che Agatocle sia ben consapevole di questa prospettiva compiuta-mente mediterranea è dimostrato da alcune mosse ben riuscite: il ma-trimonio (tra il 304 e il 295) con Teossena, figlia di Tolomeo i e sorella di Magas, nuovo governatore di Cirene per conto del basileus egiziano,

e la ripresa della politica in Italia e in Adriatico, più chiaramente volta, però, a trovare canali promettenti in una Grecia settentrionale non più periferica. “Territorio conquistato con la lancia”: così suona il fonda-mento del potere regale di età ellenistica e Agatocle punta a controllare militarmente ampie porzioni della Magna Grecia in funzione antibruzia e antipunica, in previsione di una talassocrazia da estendere sulle coste d’Italía (in questo senso parla l’imposizione nel 295 di un controllo

di-retto su Crotone) e del basso Adriatico, in chiara anticipazione di pro-spettive future. I Sicelioti, commenta Diodoro (21, 2, 2), «desideravano non solo avere la gloria d’aver vinto i Cartaginesi e i barbari d’Italia, ma anche essere considerati in Grecia i migliori dei Macedoni, le cui lance avevano conquistato l’Asia e l’Europa». Luogo chiave di questa politica globale diviene Corcira, “liberata” dal potere di Cassandro il Macedone e data in dote alla figlia Lanassa, sposa di Pirro; anche quando l’isola passa sotto il controllo del secondo marito di lei, Demetrio Poliorcete (291/290), essa continua a conservare un’importante base navale siracu-sana, grazie a un trattato di amicizia e di alleanza militare che Agatocle stipula per proteggere commercialmente la Sicilia e assicurare a Siracusa un’apertura verso la Grecia propria.

Di questi ultimi anni non sappiamo molto di più: il basileus ormai

vecchio accarezza ancora grandi progetti, tra cui la ripresa della guerra contro Cartagine e una nuova spedizione in Africa per impedire i rifor-nimenti di grano dalla Sardegna e dalla Sicilia, ma prospettive

occiden-tali tanto ampie sono destinate a passare ad altre mani, prime tra tutte quelle di Pirro. Le fonti antiche non sono unanimi nemmeno sulla sua fine: Diodoro si dilunga sul re che fatica a gestire la successione contesa tra figlio e nipote e poi muore tra atroci sofferenze per colpa di un ve-leno; Giustino, più sobriamente, dice che depose il potere nelle mani dell’assemblea, si ritirò e morì (di malattia). Come che sia, dopo ven-totto anni di potere Agatocle spegnendosi chiude un periodo lungo ed entusiasmante, strano da raccontare e forse difficile da capire. Alla sua morte i Siracusani riconquistano la democrazia, ne confiscano le pro-prietà e abbattono simbolicamente le statue da lui erette, come da che mondo è mondo si fa alla caduta del tiranno.

Nel documento Quality Paperbacks • 404 (pagine 86-89)