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La guerra in Italia

Nel documento Quality Paperbacks • 404 (pagine 44-48)

In tutta l’esperienza di Dionisio a quella cartaginese si accompagna sem-pre un’altra prospettiva, una proiezione verso l’Italia che si delinea già nel corso del primo decennio del iv secolo, in piena guerra. I due fronti (punico e italico) raramente si saldano in maniera esplicita ma sono

for-temente connessi, determinando gli obiettivi generali del tiranno e la sua gestione delle risorse. È lo Stretto il luogo fatale, quello Stretto verso cui non casualmente si era diretto il generale Imilcone quando voleva colpire Siracusa in un punto nevralgico. E se nel rapporto con Cartagine Dionisio mantiene ampie zone di ambiguità tali da suscitare il legittimo sospetto che il nemico fosse funzionale al mantenimento della tiranni-de, nel progetto perseguito nella penisola egli è assai più diretto, e anche più grandioso (fig. 2).

Già nel 399/398 le città greche intorno allo Stretto sono in fermen-to: Reggio, consanguinea delle città calcidesi colpite e già rifugio per gli esuli siracusani, cerca di organizzare una spedizione contro il tiranno, ma l’incerto atteggiamento di Messina che offre il suo contributo sen-figura 2

Italia Meridionale e Sicilia

za il consenso dell’assemblea popolare consiglia di fare marcia indietro. Così Dionisio, già pronto in armi ai confini del territorio, si trova di fronte non soldati ma ambasciatori e incassa senza colpo ferire un’al-tra pace, in quel momento la scelta più vantaggiosa. La distruzione di Messina a opera di Imilcone rende però ancora più delicata la situazione sullo Stretto: dopo la fuga dei Cartaginesi, infatti, Dionisio resta con le mani libere e può insediare nella città di nuovo fortificata uomini di fiducia non Sicelioti (Locresi, Medmei, Messeni di madrepatria). La nuova Messina diventa così baricentro essenziale non solo per la sua ec-cezionale posizione e la favorevole topografia, ma anche in virtù della sua stratificata composizione etnica che la espone ad altalenanti e infide alleanze: nel 394 i Messeni si oppongono all’offensiva dei Reggini nemi-ci di Siracusa, che con un’azione a tenaglia riescono a stanziare Nassi e Catanesi a Milazzo (Mylae), già avamposto calcidese, ma quando

Dio-nisio attacca i Siculi di Tauromenio e viene da essi imprevedibilmente battuto, si staccano dall’alleanza con il tiranno e insieme ad Agrigento rivendicano la propria libertà cittadina.

Nel 393/392, dopo una facile vittoria sul mare contro Magone, Dio-nisio finalmente scopre le carte e fa vela verso Reggio con cento triremi. Questo primo tentativo di prendere la città non gli riesce ed egli si limita a devastare il territorio e a stipulare una tregua annuale prima di tornare nell’isola, ma il passo era ormai compiuto e i Greci d’Italia si rendono

conto «che l’avidità di Dionisio si estendeva al loro territorio» (Diodo-ro, 14, 91, 1). È proprio in questo punto che Diodoro colloca la costitu-zione della Lega Italiota, forse sulla falsariga di un’esperienza preceden-te, che riunisce le colonie greche d’Italia nel segno della comune lotta contro i Lucani e Siracusa.

Dopo la stipula della nuova pace con Cartagine Dionisio può ri-prendere il progetto che sembra essergli più caro: «volendo aggiungere al suo dominio sull’isola anche quello sui Greci di Italia [...] giudicò vantaggioso assalire per prima la città di Reggio, poiché essa era il ba-luardo di Italia» (Diodoro, 14, 100, 1). La spedizione fa spavento: Dio-nisio porta l’esercito ai confini della fedele Locride e da lì comincia a mettere a ferro e a fuoco il territorio reggino. Gli Italioti non stanno a guardare e inviano sessanta navi in soccorso a Reggio: per una serie di circostanze Dionisio non riesce a intercettarle e subisce anzi delle per-dite. Egli fa allora una mossa nel suo stile, spericolata e vincente non sul piano militare, ma su quello diplomatico: stringe alleanza con i Lucani e riconduce le truppe a Siracusa, ma il fratello Leptine, navarco, gestisce

male questa legame potenzialmente micidiale per tutti i Greci e decide di intervenire in soccorso degli Italioti cercando di mediare una pace con i Lucani: «si acquistò largo consenso presso gli Italioti, avendo po-sto fine alla guerra in maniera vantaggiosa a loro ma non per Dionisio» (Diodoro, 14, 102, 3). Il tiranno non lo perdona: Leptine viene imme-diatamente rimosso dall’incarico e sostituito col fratello Tearide che si mette in mostra e alla ripresa della guerra cattura navi ed equipaggi reggini che incrociavano nelle acque di Lipari.

La tensione sale: l’esercito siracusano varca lo Stretto e si accampa intorno alla città di Caulonia, colonia crotoniate confinante con la te-mibile Locri; proprio Crotone riceve il comando della Lega, tanto più che essa ospitava moltissimi esuli da Siracusa animati da grande odio contro il tiranno. Si profila un grande scontro, ma ancora una volta esso si decide più sul terreno dell’astuzia che su quello della forza. Dionisio, ben informato dai suoi esploratori, anticipa le mosse di Floride, fuoriu-scito siracusano al servizio degli Italioti, lo sorprende e lo isola dal grosso dell’esercito che tarda ad arrivare: dopo averlo circondato lo uccide in-sieme a quasi tutti i suoi soldati. Il resto dell’esercito italiota, pur genero-so, si sbanda e preso da sgomento cerca di fuggire: è la battaglia sul fiume Elleporo, che anticipa la fine di Reggio e sigla il predominio di Dionisio anche in Italia.

Le azioni del Siracusano continuano a essere imprevedibili: dopo aver costretto e assediato diecimila nemici su una collina priva di acqua, li libera senza condizioni; dopo aver seminato il terrore tra le città di Italia, stipula con la maggior parte di esse trattati di pace lasciando loro l’autonomia; dopo aver terrorizzato Reggio che si aspettava la peggio-re delle punizioni sembra accontentarsi di ostaggi, navi e denaro; ma dopo aver dato queste prove di moderazione e mitezza, distrugge prima Caulonia e poi, l’anno successivo, Ipponio (l’attuale Vibo Valentia). Nel 388/387 Dionisio muove di nuovo contro Reggio, ma questa volta con intenzioni più feroci dettate probabilmente dal desiderio di vendetta per un atteggiamento ostinatamente ostile: con un abile raggiro e fin-gendo amicizia dapprima chiede e ottiene dalla città aiuti alimentari, quindi intraprende l’assedio, perché vuole prenderla di forza. Reggio è stretta in un implacabile assedio lungo dieci mesi: i Reggini esauriscono le riserve di grano, poi mangiano i cavalli e le bestie da soma, e poi le loro pelli; alla fine cercano di sfamarsi raccogliendo le erbacce intorno alle mura, ma Dionisio manda le bestie a brucare eliminando ogni vegeta-zione. Alla fine sono costretti alla resa (è il 386); in città Dionisio trova

mucchi di cadaveri e vivi che sembrano morti, ma non si accontenta: vende come bottino chi non è in grado di pagare una mina d’argento, unica condizione per riavere la libertà.

Nel documento Quality Paperbacks • 404 (pagine 44-48)