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Strateghi e strategie

Nel documento Quality Paperbacks • 404 (pagine 93-97)

La definizione dei poteri autocratici è delicata già per gli antichi, e lo diventa ancor di più per noi moderni che nel fare i conti con il lessico del potere dobbiamo aver sempre chiara una complessa stratificazione terminologica. L’interpretazione si fa ancor più difficile lì dove le fonti abbiano già conosciuto – e metabolizzato – le esperienze di età ellenisti-ca e siano dunque indotte a retrodatare nozioni e termini in realtà più consoni a contesti politici diversi e comunque posteriori alla dirompente esperienza di Alessandro. Ancora una volta il caso siciliano è particolar-mente attraente e complicato: nel corso del iv secolo, infatti, in Sicilia maturano esperienze importanti che hanno il proprio epicentro in Sira-cusa e in protagonisti fuori dal comune. Ciascuno a suo modo, tutti ten-tano una via istituzionale al potere che a partire da parole accettabili con-senta però un’interpretazione personale e accentratrice della arche. Dal dynastes Dionisio al basileus Agatocle, passando per l’utopia platonica e

la riesumazione di antichi modelli civici, l’isola conosce un’ampia gam-ma di varianti sul tegam-ma del potere, confergam-mando il profilo sperimentale e innovatore, peraltro acutamente percepito già dal Platone delle Epistole.

C’è un aspetto, in ogni caso, che accomuna tutte queste figure e che per tutte è sempre centrale nell’assunzione e nel mantenimento del po-tere: la guerra che, come insegna Platone, è il basso continuo di ogni esperienza ellenica di cui è costitutivo necessario. Della guerra la Sici-lia sperimenta ogni accezione, dalla guerra contro i nemici esterni, il

polemos grandioso che fa brillare onore e virtù dei soldati, al conflitto

interno, l’odiosa stasis, che più che mai nel iv secolo dilania molte

cit-tà, Siracusa su tutte. Da polemos e da stasis in egual misura scaturisce

il potere degli uomini che proprio sulla guerra costruiscono la propria fortuna politica: combattendo alla luce del sole e con ogni arma

strate-Guerra e potere

gica e ideologica il nemico cartaginese, essi conducono parallelamente una battaglia sotterranea e indicibile contro gli avversari politici; ed è proprio in questa micidiale congiuntura che riescono a stabilire e affer-mare un potere autocratico che non a caso, agli occhi degli altri, merita la condanna che spetta ai tiranni.

La riva del giudizio negativo sui Dionisii, su Agatocle e in parte an-che su Dione, an-che rapidamente si consolida in sede storiografica, rischia però di oscurare una lettura più analitica che cerchi di cogliere attraverso titolature e definizioni le pieghe che nell’isola assume il potere autocra-tico, soprattutto in funzione dei conflitti contro il nemico esterno, gli unici su cui si potesse poggiare saldamente il piede per affermare un’au-torità riconosciuta. Davvero esemplare in tal senso il caso di Dionisio, le cui scelte sin da subito appaiono lungimiranti e astute non solo dal pun-to di vista strategico, ma anche da quello squisitamente formale. Nella ricostruzione di Diodoro, la sua ascesa si compie in pochi mesi, sotto la pressione dei drammatici eventi di Gela: la dirigenza siracusana si dimo-stra inadatta a gestire l’emergenza, il collegio degli dimo-strateghi è destituito e sostituito da un altro, sulla carta più deciso e capace, di cui riesce a far parte anche il giovane Dionisio. Questo il primo passo, seguito di lì a poco da un’altra assemblea sempre più oppressa dalle cattive notizie dal fronte che compie la scelta definitiva e inappellabile, scegliendo Dioni-sio come “stratego con pieni poteri” (strategos autokrator nel racconto di

Diodoro, 13, 95, 1). Diodoro, in realtà, attribuisce all’assemblea anche la volontà esplicita di assegnare a Dionisio la stessa carica ricoperta da Gelone quando aveva affrontato i Cartaginesi nel 480: è evidente l’in-tenzione propagandistica del richiamo al vincitore di Imera, funzionale non solo a riesumare tutto l’armamentario necessario alla guerra contro il barbaro, ma soprattutto a dare fondamento, se non “costituzionale” al-meno ideologico a una designazione sul campo che, con il senno di poi, sarebbe risultata fatale. Il fatto è che, come ben dimostrato, si trattava di finzione bella e buona che Diodoro riporta come vera non sappiamo quanto consapevolmente: non v’è alcuna tradizione a lui esterna (a par-te un passo di Polieno, 1, 27 che legge la strapar-tegia autocratica di Gelone come antefatto della tirannide) che confermi infatti l’attribuzione di questa carica già al Dinomenide, il cui esempio però si rivela a più ripre-se necessario nel corso del iv ripre-secolo per dare sostanza e giustificazione al potere dei singoli. Persino Timoleonte ricorda l’esempio di Gelone arringando i soldati; poi, all’atto della presa del potere a Siracusa,

di-strugge tutti i simboli della tirannide, ma volutamente ne risparmia la sepoltura nel nome della grande vittoria contro i Punici.

Al potere dell’uomo nuovo, insomma, era assolutamente necessaria la connotazione squisitamente militare, recuperata in maniera fittizia dall’esempio illustre e prontamente adattata all’astro nascente della politica siracusana. Un’operazione geniale il cui regista probabilmente fu Filisto, l’amico fraterno, che, stando ancora a Diodoro, avrebbe gio-cato un ruolo essenziale all’interno dell’assemblea pilotando ad arte la decisione di optare per la strategia autocratica a favore di Dionisio: si inaugurava in quell’occasione il formidabile abbraccio tra il tiranno e il “suo” storico, cementato non solo dall’imponente figura dell’oligarca Ermocrate, all’ombra del quale entrambi erano cresciuti, ma anche da un’esperienza militare condivisa. Prima che uomo di lettere, infatti, Fili-sto fu fino alla fine uomo d’armi.

La necessità di questa investitura tanto perorata da Filisto – che la storia la conosceva bene – denuncia quanto delicata e instabile rischiasse di essere la posizione di Dionisio: la sua indubbia capacità militare giu-stificava nell’immediato la scelta dell’assemblea, che però presto si rese conto che egli avrebbe usato gli indefiniti contorni di quella carica per lambire e forzare i confini della libertà. La posizione formalmente cor-retta assunta con tanta facilità gli apriva rapidamente la strada a risolu-zioni impreviste e poco rassicuranti. Nella riflessione storiografica antica e moderna Dionisio è definito “tiranno” e, un po’ più di rado, “dinasta”, ma l’unica carica da lui formalmente assunta e legittimamente conferi-tagli è proprio quella di strategos autokrator, carica che egli non depose

mai fino alla morte. Con la metis che gli è propria egli non stravolge né

snatura la politeia siracusana, ma la piega e orienta a proprio beneficio:

si trattava, del resto, di una politeia pigramente assestata in una forma

moderata del tutto consona allo spirito del tempo, abbastanza duttile per valorizzare ora la componente popolare ora quella oligarchica, abba-stanza spregiudicata da allontanare con ogni forma più o meno lecita gli uomini ritenuti minacciosi per un’aurea mediocritas politica. Quanto

infido potesse essere il ventre molle di una città che, pur uscita vittorio-sa dal conflitto con Atene, si era rapidamente ripiegata sui meandri dei propri contrasti interni, l’aveva dimostrato l’ingrato destino di Ermo-crate, che nel 415 aveva inutilmente tentato di farsi conferire proprio la carica di strategos autokrator sotto la pressione ateniese (Tucidide, 6, 77,

4), che aveva prima di Dionisio recuperato il modello geloniano e che, soprattutto, era stato esiliato in contumacia proprio mentre tentava di

aprire a Siracusa una prospettiva autenticamente mediterranea combat-tendo a fianco di Sparta nelle ultime fasi della guerra del Peloponneso. I tempi, evidentemente, non erano ancora maturi; non lo erano né per un sostanziale allargamento degli orizzonti politici di Siracusa, né per l’emergere di singole personalità politiche. Ci voleva il nemico alle por-te e la paura del barbaro per far accettare di nuovo alla polis siracusana

quello che si presentava ancora come spauracchio, soprattutto dopo che l’arroganza ateniese aveva mostrato l’inedita e terrificante possibilità di una polis intera che si fa tiranna. Ciò che non era riuscito a Ermocrate

riesce a Dionisio, ed egli riveste i panni lucenti e gloriosi dello strategos

destinato a meravigliose vittorie.

Sul piano fattuale, dunque, è la guerra a forgiare la politeia; su quello

strettamente istituzionale, ben poco viene toccato. Dionisio è e continua a essere “solo” stratego di pieni poteri: egli non rinnega né snatura questa carica, nonostante l’istituzione di una guardia del corpo personale e la durata illimitata (del tutto al di fuori l’una e l’altra della pratica istituzio-nale di questa e di qualsiasi altra polis), e cerca anzi di rinnovarne di

con-tinuo senso e legittimità. Lo fa tenendo sempre insieme, reciprocamente necessari, i due versanti, interno ed esterno, e costruendo il consenso politico sulla guerra contro Cartagine, l’unica necessità che poteva giu-stificare e consolidare l’investitura militare e politica ricevuta all’inizio. Questo è il progetto su cui Dionisio costruisce la propria fortuna, un piano in cui la guerra contro i barbari è funzionale al mantenimento del potere sui Greci.

Sarebbe tutto, se non fosse che dietro la carica legittima subito si annidano altre prospettive e altri fantasmi, e se la funzione assunta da Dionisio nel 406 non si rivelasse di per sé ricca di risonanze e foriera di novità. Essa non solo contiene l’eco pur fittizia del passato geloniano, ma indica la più sicura strada verso il potere a tutti i personaggi chiave nella storia dell’isola: Dionisio ii, che alla morte del padre l’assume quasi fosse carica ereditaria e non frutto di elezione in assemblea; Dio-ne, che sembra declinarla in senso non più cittadino, ma “federale”, per una compagine antitirannica composta da diverse comunità siceliote; Agatocle, che riesce a farsi eleggere strategos autokrator già alle prime

battute della sua ascesa. A proposito di Agatocle, lo ricordiamo, Dio-doro chiosa mettendo in diretta relazione la strategia autocratica e la volontà di potere assoluto: la storia dell’isola aveva ben mostrato ora-mai come l’unica titolatura ufficiale compatibile con la politeia fosse

che nulla avevano a che vedere con le contingenze di una guerra né con collaudate procedure istituzionali.

Questa storia ribolliva di esperienze e di uomini che cercavano nuove forme e nuove parole per un potere destinato a cambiare rapidamente.

Nel documento Quality Paperbacks • 404 (pagine 93-97)