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Come si governa una città

Nel documento Quality Paperbacks • 404 (pagine 125-129)

Nei decenni tormentosi di ascesa e caduta delle tirannidi, la Sicilia cono-sce infatti un processo irreversibile che nonostante i molti e brutali acuti la conduce verso un’unica direzione condivisa. Ed è, a pensarci, cosa cu-riosa: proprio mentre l’evoluzione politica allargava i propri orizzonti declinando verso la formazione di federazioni e di Stati territoriali, la “forma città” si affermava ormai senza distinzione di ethnos o di lingua,

diventando la cornice ovvia e in certa misura necessaria a successive e più complesse trasformazioni. La polis è definitivamente il grado zero della

vita comunitaria di Greci, Italici, indigeni, degli antichi abitatori come dei mercenari arrivati da poco.

La diffusione capillare di alcuni valori condivisi è resa immediata-mente visibile, come appena detto, proprio dai monumenti, anche se certo non bastano forme avulse dal contesto per confermare l’adesione definitiva a un modello. Si pensi soltanto all’infinita discussione svilup-patasi intorno all’edificio templare più famoso di Segesta, un peristilio dorico perfettamente ellenico ma privo di cella, che potrebbe testimo-niare per il v secolo sia una ritualità non greca che copia solo esterior-mente le colonie oppure, più probabilesterior-mente, il mancato completamento del progetto iniziale. La presenza di edifici di aspetto greco in comunità

indigene apre comunque la discussione sia sul versante squisitamente architettonico (maestranze, progetti, modelli) sia sui modelli interpre-tativi cui attingere quando si assista a forme di contaminazione così pro-fonda tra culture diverse, tanto più che la semplice omologia formale non assicura di per sé identità di funzione.

Ancora una volta, allora, si tratta di individuare e descrivere contesti complessi, in cui diventa fondamentale l’associazione del singolo monu-mento a spazi (quale l’agora) la cui destinazione pubblica non è ambigua

ma, anzi, depone a favore di una strutturazione tutta volta a favorire e in-crementare la socialità politica. Se la polis è luogo per abitare e luogo per

decidere, la polis si conferma luogo della condivisione e della

partecipa-zione. Ancor più delle testimonianze letterarie e archeologiche sono da tal punto di vista imprescindibili i documenti epigrafici, che nella loro apparente piattezza descrivono il perfetto funzionamento della macchi-na istituziomacchi-nale diventando specchio immediato e fedele di moltissimi elementi della vita comunitaria: assemblee e consigli, rapporti intersta-tali, onomastica, gestione degli spazi, calendario sono solo alcuni degli aspetti che le epigrafi possono illuminare, restituendo un quadro estre-mamente vivace. Il patrimonio epigrafico siceliota, come quello di tutto l’Occidente greco, è cresciuto a dismisura nell’ultimo secolo, grazie alle ricerche che incessanti si producono sul territorio e sui siti, eppure le testimonianze sono ancora troppo diverse per provenienza, cronologia e tipologia per permettere di costruire una storia delle politeiai siceliote

dell’età classica. Si può solo dire, e non è poco, che la Sicilia di questo periodo va a passo svelto e sicuro verso un’assodata koine istituzionale.

Si tratta di un processo diffuso e capillare che abbraccia l’intera isola fino alle propaggini occidentali che, pure, erano sottoposte al controllo cartaginese il quale – saggezza del potere – solo in rari casi interviene a imporre proprie magistrature (a Erice, ad esempio, sono attestati i sufe-ti, magistrati tipicamente punici, in una dedica ad Astarte oggi perduta e risalente al iii secolo a.C.: cis, i, 135) e preferisce mantenere integro

il tessuto istituzionale delle singole comunità. Ed è questa, compatta e uniforme, la Sicilia con cui Roma farà i conti al momento dell’istituzio-ne della provincia.

Pur nella lacunosità dei dati si conferma la centralità della figura di Timoleonte: non solo condottiero di battaglie vinte, egli intraprende un’azione profondamente riformatrice e destinata a lasciare il segno. Con i due Dionisii (il primo più del secondo) la Sicilia, è vero, aveva già conosciuto una tensione verso un’omogeneità politica e territoriale

focalizzata su Siracusa, ma si era trattato di un processo non del tutto indolore e sovente poco spontaneo. Timoleonte rappresenta invece il vero punto di svolta: il recupero dei valori tradizionali e fondanti di

autonomia ed eleutheria diviene la premessa più semplice, e più solida,

all’adesione quasi naturale a forme istituzionali che di quei valori sono l’evidente espressione. Le comunità, greche o non greche che siano, si strutturano secondo una norma istituzionale ampiamente rodata e resa ancor più attraente dai recenti traumi della tirannide e delle guerre. Ti-moleonte, uomo vecchio stampo, restituisce alle città dell’isola un senso di sé che passa anche attraverso il buon funzionamento delle istituzioni cittadine e che nell’identità civica cerca un antidoto efficace allo strut-turarsi di poteri sovrapoleici. Del resto, fatte salve alcune particolarità locali, è tutto il mondo greco (anzi mediterraneo) a conoscere un pro-gressivo processo di convergenza verso una koine (linguistica, culturale,

religiosa, istituzionale). È l’inizio dell’ellenismo.

Gli indicatori di questo processo sono molto chiari: tutte le città (quelle almeno per cui si abbia documentazione) hanno boula e halia,

consiglio e assemblea, a volte affiancate da un terzo consesso ristretto, ad Agrigento, ad esempio, detto synkletos. Che il processo decisionale

conosca un doppio passaggio, con un consiglio con funzioni probuleu-matiche e programprobuleu-matiche e un’assemblea sovrana cui spetta la sanzione definitiva, appartiene a una pratica ormai ben consolidata; il vero discri-mine, come insegna Aristotele, sta nella definizione del corpo civico, dei requisiti per l’accesso alle magistrature o del peso reciproco da assegnare all’assemblea plenaria o ai consigli ristretti; tutti elementi che purtroppo conosciamo molto di rado per le città antiche, quelle siceliote comprese.

Le istituzioni cittadine hanno comunque un solo modo per esprimer-si: il decreto (ciò che è stato votato dagli organi istituzionali), sempre reso pubblico e spesso eternato su materiale durevole (pietra o metallo). Per la sua indubbia eccezionalità va allora citato il notissimo corpus delle

sette tavolette bronzee da Entella (comunità della Sicilia occidentale in-terna), che riportano i decreti emessi dalla città probabilmente nella fase iniziale della prima guerra punica. Si comprende che la comunità ha vis-suto anni difficili, che ha dovuto lasciare la città e che in essa ha potuto poi far ritorno; si ricostruisce soprattutto la rete di aiuti e protezione su cui gli Entellini hanno potuto contare da parte di città dell’intera Sicilia e che per questo sono onorate pubblicamente. Scansione cronologica interna dei documenti, tratti istituzionali, menzione in uno di essi di un Tiberio Claudio Anziate, specificità onomastiche e indicazioni

to-pografiche (i luoghi deputati all’esposizione dei documenti) fanno ca-pire che la città ha conosciuto cambiamenti importanti da collegare alla pressione militare punica e all’arrivo dei Romani, ma in qualche modo connessi anche alla rete di rapporti stabiliti da tempo dai mercenari ita-lici che avevano occupato Entella nel 404 e all’originaria componente indigena. È un esempio straordinario di mistione culturale, specchio fedele della complessità intrinseca della vicenda isolana tra iv e iii se-colo, in cui però la componente greca sembrerebbe rimanere marginale. Bene: questa comunità si esprime in lingua greca, si organizza secondo modelli istituzionali greci, utilizza modalità di esposizione e diffusione delle proprie decisioni del tutto conformi a un’inveterata pratica elle-nica. Quella che con espressione un po’ trita è detta “ellenizzazione” si-gnifica qui, come probabilmente in tanti altri casi nell’isola, senso di sé e costruzione di un’identità civica che non può non avere nel modello greco il riferimento più forte. Anche gli Entellini esprimono un proces-so decisionale che passa per consiglio e assemblea, detti nei decreti boula

e halia. Questa traccia lessicale è per noi preziosa anche perché dichiara

in maniera inequivocabile che la direzione di questa koine va qui – come

in tutta la Sicilia – verso la variante dorico-siracusana che a partire dalla tirannide dinomenide si è infiltrata in tutto il tessuto dell’isola. L’im-portanza del modello dorico nelle istituzioni siceliote è confermata dalla diffusa tripartizione del corpo civico; alle tre tribù canoniche si affian-cano però gruppi minori il cui panorama è molto vario e documentato in maniera troppo frammentaria perché si possano ricostruire isoglosse istituzionali affidabili. Importa osservare che anche in Sicilia, in tutta la Sicilia, quando menzionato in sede istituzionale (politica, amministra-tiva o militare) il cittadino è sovente riconosciuto tramite nome, patro-nimico e il cosiddetto “terzo nome”: fosse esso numerale o definizione di diversa matrice (da un toponimo o da un etnico), esso testimonia che ciascun cittadino “apparteneva” alla comunità attraverso l’iscrizione a gruppi di natura anagrafica, civica, militare o rituale che ne regolavano fasi e momenti più importanti della vita adulta. Anche l’esistenza di una complessa articolazione cittadina è nel solco della migliore tradizione dell’Hellenikon.

Solo due esempi ancora, ai due estremi geografici dell’isola. A Sira-cusa l’eponimia, ovvero la carica che scandisce l’anno amministrativo e istituzionale, viene affidata a un magistrato di competenza sacerdotale, l’amphipolos, sacerdote di Zeus. Che si tratti di uno svuotamento delle

pro-fondamente, di una riscrittura degli equilibri interni alla comunità con uno sbilanciamento in favore delle cariche religiose, sono importanti due dati: l’allineamento della città siceliota a un processo ampiamente docu-mentato in tutto il mondo greco con la ampia diffusione di eponimi sa-cerdoti e, soprattutto, la paternità timoleontea di questa innovazione che anche in questo aspetto si ispira con tutta evidenza all’universo corinzio. Che l’amphipolia sia testimoniata pur ormai nell’età repubblicana

anche a Solunto, città di origini puniche a est di Panormo, ribadisce la forza del modello greco nella periferia in cui si iscrive l’altro esempio. Questa volta siamo a Nakona, città di cui conosciamo quasi nulla, sal-vo una generica localizzazione in Sicilia occidentale nell’area del Belice e alcune monete con etnico della prima età del iv secolo. Da Nakona, però, viene un decreto bronzeo in cui, oltre a essere squadernato il solito apparato istituzionale, è descritta in maniera puntuale una procedura chiamata adelphothetia (“affratellamento”) volta a recuperare l’armonia

nella città e il superamento delle contese civili. Anche qui niente di più greco: l’ossessione della stasis, il richiamo agli Antenati (Ghenetores), il

lessico parentale utilizzato per forme di aggregazioni artificiali nel segno della Concordia.

Nel documento Quality Paperbacks • 404 (pagine 125-129)