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Intermezzo storiografico

Nel documento Quality Paperbacks • 404 (pagine 36-39)

Va subito detta una cosa. Ovvero, che non c’è scampo: per conoscere le vicende della Sicilia del iv secolo non possiamo che seguire pazien-temente Diodoro Siculo (di Agirio) fino al 301 (da lì in poi della sua

Biblioteca possediamo solo frammenti), fonte essenziale per conoscere

l’architettura generale degli eventi, alcuni aneddoti rivelatori, nomi di città e di protagonisti. «Narrerò partitamente, secondo l’appropriata cronologia, le sue imprese e l’espansione del suo potere [arche]»

(Dio-doro, 13, 96, 4): così egli annuncia cominciando a narrare di Dionisio di Siracusa. Promessa per fortuna mantenuta. È seguendo Diodoro nel-la metodica se pur a volte imprecisa scansione per anni (con qualche improvviso scarto e più di una compressione artificiale) che possiamo conoscere in dettaglio – pur con palesi discontinuità – azioni, decisio-ni, imprese di guerra, prospettive politiche, militari e diplomatiche. La figura di Dionisio occupa ampie sezioni dei libri xiii e xiv che permet-tono di coprire con relativa precisione gli anni compresi tra il 406/405 e il 387/386; molto più sommario, invece, il racconto del periodo suc-cessivo fino alla morte del tiranno, di cui si parla nel libro xv; il libro xvi presenta due nuclei molto ben distinti, incentrati rispettivamente su Dione e su Timoleonte, con una visibile frattura che riguarda il de-cennio compreso tra il 356 e il 346, presente in Diodoro solo per cenni di matrice probabilmente cronografica; i libri xix-xx e i frammenti del xxi permettono invece di seguire l’ascesa e la fortuna di Agatocle, anche se la pueritia rimane necessariamente compressa nell’apertura del libro

xix, quando Diodoro riprende le fila della storia in un’ottica di nuovo mediterranea e non più concentrata sul solo Alessandro.

Qui subito si impone una questione antica e quasi ovvia che anche di recente ha conosciuto una rinnovata fortuna negli studi: essa riguarda il profilo dello storico di Agirio, la sua autonomia e la sua affidabili-tà. A lungo considerato passivo raccoglitore delle tradizioni anteriori, Diodoro conosce oggi una rilettura che pur non volendone inventare complesse profondità metodologiche cerca di rintracciare all’interno

della Biblioteca quei fili che ne costituiscono struttura e impostazione

di certa originalità. Il potente lavoro di raccolta e di cucitura operato da Diodoro non ne occulta, ma in certa misura ne sottolinea inclina-zione e interessi, e se l’inquadramento nella tarda repubblica romana è elemento ovviamente importante, ma poco apprezzabile dato lo stato molto frammentario di tutta la parte finale dell’opera – quella, appun-to, dedicata all’emergere e alla crescita del potere romano in Italia e in Oriente –, l’appartenenza alla Sicilia patria e la profonda conoscenza delle sue tradizioni e di un patrimonio memoriale ben radicato dise-gnano con chiarezza un baricentro irrinunciabile. Siamo fortunati, dunque: per disponibilità di dati nonché per personale attitudine la storia della Sicilia narrata da Diodoro è particolarmente interessante, importante quando affianca il potente racconto tucidideo perché co-munque lascia traccia di tradizioni alternative o dettagli meno noti, preziosissima quando resta come unica fonte continua. Seguire Diodo-ro, pur epurato dagli elementi retorici o drammatici più evidenti o dalle palesi distorsioni, non è più un mediocre ripiego, ma può offrire più di uno spunto per ricostruire non solo gli eventi, ma anche una temperie, le idee, i progetti.

Qualcosa, però, si deve aggiungere. Anche accettando l’idea di una personalità storiografica dotata di senno e capacità di selezione, resta che – ed è problema che non si può eludere – il Siculo ha lavorato a partire dalle grandi opere per lui disponibili, ovvero su materiali già rielaborati e scritti che gli forniscono non solo dati e fatti ma anche qualche linea interpretativa. Anche volendo mantenersi alla larga dalla più classica Quellenforschung (“indagine sulle fonti”), resta comunque

arduo per il lettore uscire vivo dalla strettoia che mentre disseziona i libri della Biblioteca cercandone le fonti tenta anche di ricostruire

fi-gure di storici certamente più antichi e probabilmente più grandi, ma a noi arrivati solo in frammenti, per lo più per tradizione indiretta e, a chiusura del cerchio, proprio grazie al decisivo lavoro di raccolta dio-doreo. Micidiale e paralizzante, così, rischia di essere una lettura tesa soprattutto a ricostruire la miscela tra i diversi nomi possibili, nel ten-tativo di individuare di volta in volta (di libro in libro) quale la fonte principale, quali le secondarie, quali, persino, la matrice e la filiazione di un giudizio o di un’inclinazione. La critica, al di là dei nomi sug-geriti, si divide anche in merito alle modalità che Diodoro avrebbe utilizzato nell’usare gli autori per lui disponibili, oscillando tra l’idea di una fonte principale qua e là “contaminata” da fonti secondarie e

una commistione di fonti molteplici senza che via sia prevalenza di una sulle altre. Se da un lato è necessario collocare Diodoro in una linea storiografica che ne sappia riconoscere letture e materiali, dall’altro è proprio l’accanimento della critica moderna su questo punto a dimo-strare la difficoltà di cogliere nel vero, lì dove ciascuna proposta trova subito la sua confutazione. I nomi e le tracce che qui di seguito faremo hanno dunque un doppio scopo: quello di dare spessore storiografico a un racconto lungo e discontinuo e quello complementare di rintrac-ciare nomi e linee della storiografia dell’Occidente (e sull’Occidente), una storiografia per molti versi peculiare, sospesa e irrisolta tra racconti locali e prospettive universali.

Nelle pagine su Dionisio ricorrono i soli nomi di Eforo e Timeo, spesso messi a confronto a proposito degli eserciti in campo (ad esempio in 13, 109 sui fanti di Dionisio nella marcia verso Gela e in 14, 54, 5 sulle forze portate da Cartagine in Sicilia), ma ad essi vanno evidentemente affiancate altre fonti, alcune anonime e plurali e una senz’altro decisiva, Filisto. È probabilmente lui, tra l’altro, il responsabile dell’andamento poco lineare nella narrazione su Dionisio in Diodoro: mentre la prima parte della tirannide dionigiana, come detto, è narrata con dovizia di particolari, nel libro xv l’attenzione per la Sicilia sembra diradarsi, tan-to che sugli ultimi anni del vecchio tiranno siamo informati in maniera molto meno dettagliata. Può darsi che ciò si debba a motivi soggettivi, ovvero alla scelta autonoma e tutta diodorea di dare meno rilievo alle cose di Sicilia lì dove gli eventi della Grecia propria imponevano altre figure e altri fatti. Ma più probabilmente questa dissonanza si deve an-che al venir meno dell’opera di Filisto (noto a Diodoro forse attraverso Eforo) che, mandato in esilio dal tiranno negli anni ottanta, non poteva – o non voleva – più offrire uno sguardo dall’interno sulle dinamiche di quel potere.

Su Filisto avremo occasione di tornare; di Eforo non sappiamo molto: la nascita a Cuma, il trasferimento ad Atene, il discepolato presso Isocrate. La tirannide dionigiana era narrata nell’ultimo dei 29 libri delle sue monumentali Storie, dal ritorno degli Eraclidi fino

all’inizio del regno di Filippo, cui va aggiunto un trentesimo libro che comprendeva il periodo tra il 357 e il 346 scritto dal figlio Demofilo. Siamo un po’ meglio informati su Timeo, nativo di Tauromenio, che aveva avuto a che fare direttamente con alcuni protagonisti di questa storia siciliana: il padre Andromaco era stato amico fraterno di Ti-moleonte, di cui condivideva spirito e intenti antitirannici; forse per

questo il figlio era stato costretto da Agatocle a un lungo esilio ad Ate-ne. Qui Timeo si dedicò tutto e solo agli studi, un’attitudine che gli costò le feroci critiche di Polibio che lo disprezzava in quanto storico da tavolino che sapeva solo rovistare tra archivi oscuri e polverosi senza alcuna esperienza (politica e militare) del mondo e della storia. Timeo è autore di una monumentale ed eruditissima Storia della Sicilia: il

titolo originario potrebbe essere stato Italika kai Sikelika, o Sikelika,

oppure Historiai, il che conferirebbe all’opera un respiro più ampio e

alla Sicilia una piena collocazione mediterranea. I38 libri coprivano lo spazio dal re Kokalos alla morte di Agatocle con l’ulteriore aggiunta di una sezione specificatamente dedicata a Pirro, a partire dalla cui morte comincia l’opera storica di Polibio, secondo il ben noto principio di “catena storiografica” che comporta che ciascuno – come già Tucidide rispetto a Erodoto – riprenda lì dove chi lo precede ha terminato, in una concezione continua e omogenea dello spazio storico. Al di là del giudizio negativo di Polibio che peraltro molto ha pesato, a Timeo sono state giustamente riconosciute originalità e profondità di pen-siero nonché acutezza nel cogliere i fermenti che proprio l’Occidente portava al mondo abitato.

Nel documento Quality Paperbacks • 404 (pagine 36-39)