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Agatocle o “Della tragedia”

Nel documento Quality Paperbacks • 404 (pagine 89-93)

Così come per Timoleonte, anche per Agatocle si può recuperare una sorta di “dittico storiografico”. Come già accennato, dopo i libri domina-ti da Alessandro il Macedone, Diodoro si dispone a raccontare di nuovo il mondo nei suoi diversi teatri e protagonisti e tra essi, naturalmente, la Sicilia di Agatocle gode di un posto speciale che la distingue dagli altri scenari dell’amplissima storia ellenistica per intensità di toni e ricchezza di aneddoti. Attraverso Diodoro parlano Timeo e Duride, storici di tale figura 5

Moneta di Siracusa dell’età di Agatocle

grandezza da inghiottire la storiografia più vicina al tiranno rappresen-tata dal fratello Antandro e da Callia, ma il reciproco dosaggio tra i due costituisce materia di ampia discussione tra gli studiosi.

La mano di Timeo è ben visibile in Diodoro già a partire dal racconto della giovinezza del tiranno/re in pagine giustamente oggetto di grande attenzione, perché scritte per rivelare sin da subito indole e intenti di Agatocle, quasi una sorta di predestinazione. Non solo: lì dove il para-digma di Dionisio i funge da palese modello narrativo su cui esempla-re progetti e tratti del nuovo tiranno, più forte è il sospetto della pesempla-re- pre-ponderante incidenza timaica che fa pesare egualmente su entrambi un inappellabile giudizio negativo: è il caso del racconto dell’ascesa militare descritta come inarrestabile, del dettaglio di alcuni fatti d’armi e soprat-tutto della crudeltà di alcune scelte.

È lo stesso Diodoro, però, a rimproverare Timeo per la parzialità del suo sguardo: «nei fatti che riguardano Agatocle dice contro il dinasta un sacco di menzogne, spinto dalla personale inimicizia che nutriva contro di lui» (Diodoro, 21, 17, 1). Nella Biblioteca, dunque, la critica

moderna ha giustamente voluto cogliere l’eco di un’altra voce, che con Timeo condivide alcuni tratti drammatici ma che da lui si distanzia per un’attitudine non sempre pregiudizialmente sfavorevole. È la voce di Duride, voce di tiranno anch’essa (dell’isola di Samo, nel iii secolo a.C.), ma soprattutto di un uomo colto e versatile, a giudicare almeno dalla varietà di titoli che la tradizione gli attribuisce. Di lui emergono soprattutto educazione raffinata, interessi letterari e competenze arti-stiche, tali da caratterizzare anche la sua opera di storico: di Duride si conoscono, frammentarie, un’opera generale (Historiai dal 370 al 281),

una monografia sulla patria Samo e una, in 4 libri, dedicata ad Agatocle, sempre che – come di recente ipotizzato – essa non sia una costola dei libri “occidentali” delle Storie artificiosamente staccata in età imperiale

e di lì in poi circolata in forma autonoma. I pochi passi superstiti sono illuminanti per vedere tono e colori del ritratto di Agatocle, figura par-ticolarmente congeniale al pennello “mimetico” di Duride, cui potreb-bero essere ascritti tutti gli aspetti più fascinosi, meravigliosi e sorpren-denti del personaggio diodoreo: l’infanzia e la miracolosa giovinezza (sogni premonitori del genitore, l’oracolo della Pizia, l’esposizione cui il piccolo si salva, la crescita fiorente, l’agnizione del padre), le peripezie, i bagliori teatrali, l’indulgenza all’aneddoto e al meraviglioso. Sono pa-gine in cui sentiamo le dissonanze di chi nella storia ama la tragedia, il tono empatico e il sapore forte, di chi per questo sceglie un modo

narra-tivo brillante e teatrale, che del generale lascia trasparire il tratto geniale e audace.

Anche nel caso di Agatocle, dunque, l’intarsio storiografico della pa-gina diodorea è sapiente e vede annodarsi molti fili che pur nella matrice non concorde tratteggiano una figura tutto sommato coerente, destinata sin da subito a una vita straordinaria. Bellezza e forza, spregiudicatezza e audacia, perfetta conoscenza di uomini e circostanze, tutto converge a farne un soldato perfetto: armato di una panoplia inusitata, sin da giovane egli si distingue nelle azioni militari (ad Agrigento, Crotone, Taranto, Reggio). È coraggioso, eroico nel sopportare le ferite, astuto nell’ingannare il nemico, sempre pronto allo scontro; non solo: egli ha la virtù rara e necessaria del carisma, grazie al quale riesce a gestire l’emergenza anche psicologica dopo l’arrivo in Libia e l’incendio della flotta o in prossimità di battaglie che si preannunciano impari. Agatocle, infine, è un bravo attore che con gran colpi di teatro e facendo un po’ l’istrione riesce sempre a legare a sé la massa, nel contempo schiacciando in modo spietato ogni traccia di opposizione.

In un siparietto moralistico si spiega come fu a causa della sua ini-quità (crudeltà verso le persone ed empietà verso gli dei) che la sorte tanto benevola a un certo punto gli divenne contraria; al di là degli aspetti squisitamente aneddotici, lo storico fa in tal modo risaltare le contraddizioni inevitabili del potere autocratico in mano a una perso-nalità dominante. È vero che nel modo in cui tratta i nemici c’è spesso un di più quasi sadico e subdolo (come nel caso dell’uccisione di Ofella o della presa di Crotone), ma una storia talmente punteggiata di stragi e crudeltà sembra coerente con la durezza dei tempi (Diodoro, 19, 1, 8: «in realtà nessuno dei tiranni prima di lui aveva fatto niente di simile, né si era comportato con tanta crudeltà verso i sudditi»). Le immagini dei Siracusani massacrati dai soldatacci di Agatocle, degli Uticensi legati sulle catapulte per cercare salvezza, dei Segestani sottoposti a torture de-gne di un contemporaneo film a basso costo costituiscono una ben triste galleria, alla fine della quale cogliamo soprattutto la drammaticità delle guerre di quella fine secolo.

In qualche modo anche la regalità finisce per essere degno corona-mento di questi tempi e di questo carattere: non a caso è bardato da re che Agatocle procede all’incendio delle navi una volta arrivato in Africa, un episodio in cui già gli storici antichi avvertono la forza del modello di Alessandro, come di nuovo al Macedone rimanda la violenta reazione che egli riserva durante un banchetto a un comandante che a suo dire

aveva insultato il padre. Anche così, cioè, il tiranno e lo strategos

diventa-no compiutamente basileus.

Alla morte di Agatocle altre cose attendono Siracusa e la Sicilia, piccoli e poi grandi fatti che si agganciano direttamente alla vicenda di Roma e alla chiusura definitiva del conflitto con Cartagine a partire dalla prima delle guerre puniche. Essi qui non ci riguardano, ma qualco-sa alla fine va osservato. Qualcoqualco-sa per sottolineare due distorsioni non poco potenti ma forse inevitabili, geografica l’una e biografica l’altra. La storia che abbiamo raccontato, infatti, procede con un doppio bari-centro, Siracusa da un lato e i suoi strateghi (tiranni, re) dall’altro, il che imprime alla narrazione un movimento centripeto che ha in quella città e in quegli uomini il nodo inevitabile. Questa prospettiva è certamente limitativa, soprattutto all’occhio contemporaneo incline a valorizzare periferie e marginalità; essa, però, era ed è oggettivamente necessaria, lì dove assume e possiede un modo di raccontare, e interpretare, in certa misura dettato dalle cose.

Nel documento Quality Paperbacks • 404 (pagine 89-93)