III. Gli italian
2. Aidez l'Espagne
La partecipazione italiana alla Guerra civile spagnola ha al suo stesso interno i tratti di una guerra civile fra italiani.
Da una parte abbiamo l'esercito italiano, inviato da Mussolini a supporto delle forze nazionaliste di Franco, un intervento dettato fondamentalmente da esigenze di prestigio, dopo la vittoria nella guerra d'Etiopia. Rispetto all'impresa africana, non è 107 S. Fedele, Il retaggio dell'esilio. Saggi sul fuoruscitismo antifascista, Rubbettino, Soveria
una guerra facile, non ci sono speranze di vantaggi economici e territoriali e manca la motivazione principe di tutte le guerre coloniali, cioè la possibilità di avere territori a disposizione per l'emigrazione italiana. Anzi dal punto di vista economico e delle attrezzature militari il doppio impegno etiope e spagnolo dissangua le risorse italiane, cogliendo l'Italia impreparata ad affrontare l'imminente guerra mondiale.108
Dall'altra parte i volontari antifascisti italiani, provenienti principalmente dall'esilio francese, che si recano in Spagna per combattere a favore della Repubblica, anche come occasione di riscatto, nella speranza un giorno di poter combattere il fascismo anche a casa propria. Un intervento che mette in imbarazzo il regime di Mussolini, con il ritorno alla ribalta dei fuorusciti, «avvolti da un'aureola di eroismo guerriero»: «Si frantuma l'immagine spregevole degli esiliati politici, vili, codardi e traditori della patria, costruita abilmente dal fascismo per soffocare nell'animo della gente anche il più piccolo moto di solidarietà verso gli antifascisti perseguitati e costretti ad espatriare. Questi uomini paurosi, fuggiti all'estero, privi del coraggio di battersi a viso aperto, ma instancabili nel tramare oscure congiure e perfidi attentati contro il duce, sono gli stessi che oggi, con ammirevole generosità, hanno abbracciato la causa del popolo spagnolo, pronti anche al sacrificio della vita. E non si tratta di favole: testimoni diretti delle battaglie dei fuorusciti sono proprio i fascisti italiani che, al ritorno in patria, sono prodighi di racconti»109
C'è un' occasione in particolare dove le due parti avversarie italiane si incontrano nel corso del conflitto spagnolo, ed è la battaglia di Guadalajara.
La battaglia si svolge fra l'8 e il 23 marzo 1937 e vede impegnati sul fronte nazionalista alcuni reparti del Corpo Truppe Volontarie (CTV), denominazione che ha assunto il corpo di spedizione italiano in Spagna. Sul fronte repubblicano combattono assieme all'esercito le Brigate Internazionali e fra queste anche il Battaglione “Garibaldi”, inserito all'interno della XII Brigata Internazionale.
La battaglia vede il fallimento dell'iniziale offensiva nazionalista ed è l'unica vittoria chiara delle forze lealiste di tutta la guerra, motivo per cui viene usata a fini propagandistici dalla Repubblica. Sul motivo di Faccetta nera viene composta una canzonetta che la dice lunga sulla differenza tra l'Etiopia e la Spagna:
«Guadalajara no es Abisinia!
porqué los rojos tiran las bombas de piñas los italianos se van, se van
y de recuerdo un cadaver dejaràn!»
108 G. Rochat, Le guerre italiane 1935-1943. Dall'impero d'Etiopia alla disfatta, Einaudi, Torino 2005, pp. 98-141
Un confronto fra italiani schierati sui fronti opposti, una guerra civile all'interno della guerra civile, la prima sconfitta del fascismo.110
Nel suo lavoro sull'intervento italiano in Spagna, John Coverdale analizza la battaglia di Guadalajara prescindendo dall'aspetto militare:
«La vera importanza di Guadalajara non deve essere tuttavia valutata in termini esclusivamente numerici. Non diversamente dall'offensiva del Tet, essa ebbe un'importanza di gran lunga superiore dal punto di vista psicologico e morale che non da quello strategico o tattico. Il regime fascista sfruttava abbondantemente il mito dell'infallibilità e dell'invincibilità del duce […]. Guadalajara fornì la materia per la creazione di un mito opposto: il fascismo aveva ammassato le sue forze contro la repubblica ed era stato costretto a fare marcia indietro. La splendida macchina propagandistica dei repubblicani entrò immediatamente in azione per proclamare al mondo intero la notizia della sconfitta italiana.»111
Non una schiacciante vittoria dal punto di vista militare quindi, ma abilmente sfruttata dalla propaganda repubblicana e che diventa presto un mito fondante dell'antifascismo italiano, se già il 23 aprile 1937 Carlo Rosselli lancia un appello
Per una Guadalajara in terra italiana:
« La Spagna è oggi per gli italiani il cielo ideale della battaglia contro il fascismo. […] In Italia tutti sanno che a Guadalajara gli antifascisti hanno sbaragliato i fascisti. […] Avanti, Spagna! Forza, antifascisti italiani in Spagna! Se vincete in Spagna, vinceremo poi anche noi in Italia. […] Bisogna che l'Italia si svegli, che la lotta si riaccenda sulla terra di Dante, di Mazzini, di Matteotti, che ai prodigi dei volontari antifascisti emigrati in quel cielo guerriero di Spagna, rispondano iniziative dei volontari della riscossa in terra italiana. Spagna e Italia debbono essere una lotta, l'epopea della libertà deve allargarsi all'Europa. […] Il compito degli italiani liberi che vivono e combattono all'estero è di ammonire i fratelli in patria contro le troppo facili illusioni ed attese; di insistere su questo tema dell'iniziativa, dell'azione in Italia, sempre, dovunque, senza stancarsi e scoraggiarsi mai; di portare in Italia, in forme adeguate, capaci di colpire la psicologia popolare, i primi semi della rivolta, precipitando stati d'animo elementari e universali.»112
Il tema della riscossa contro il fascismo è centrale nell'opera di Rosselli e del movimento “Giustizia e Libertà”, e l'auspicata ribellione sul suolo italiano avrà 110 O. Conforti, Guadalajara. La prima sconfitta del fascismo, Mursia, Milano 1967
111 J. Coverdale, I fascisti italiani alla Guerra di Spagna, Laterza, Bari 1977, p. 229 112 C. Rosselli, Oggi in Spagna, domani in Italia, cit., pp. 152-155
occasione di avverarsi nel 1943, con l'inizio del movimento resistenziale contro il nazifascismo.
Carlo Rosselli è protagonista fin dall'inizio della Guerra civile spagnola, che coglie gli antifascisti di sorpresa, ma che subito partono alla volta della Spagna per schierarsi a fianco delle forze della Repubblica. Lo slancio volontaristico pieno di entusiasmo è sicuramente lodevole, può aiutare a sopperire alle inevitabili carenze dovute al fatto che di fronte si ha un esercito di mestiere come quello di Franco. Sicuramente nello spirito i motivi per arruolarsi e andare a combattere non sono diversi da quelli del passato, ripensando ai volontari della Prima guerra mondiale: «persuasione ideologica, avventura, cameratismo, ed emancipazione dai vincoli della società», ma sono anche a loro modo diversi, «come le loro ideologie cosmopolite – il socialismo, il comunismo e l'anarchismo – erano diverse dal fervore nazionalistico del passato».113
Il tema dei volontari in guerra è ricorrente nella storia europea e il caso italiano non fa eccezione. Nel XIX secolo, ancor prima dell'unità d'Italia, troviamo episodi di volontarismo durante le Guerre d'indipendenza, tra cui la celebre partecipazione di volontari toscani e napoletani alla battaglia di Curtatone e Montanara, il 29 maggio 1848. Volontari sono i Mille di Garibaldi che partono da Quarto il 5 maggio 1860 per raggiungere il Regno delle Due Sicilie e sconfiggere l'esercito borbonico; volontari italiani sono presenti anche nella guerra civile americana.
Il volontarismo raggiunge il suo apice nella prima guerra mondiale, nella prima vera esperienza bellica che coinvolge tutta la nazione:
«Andare a combattere volontariamente, per una causa ben conosciuta e profondamente condivisa come quella nazional-patriottica, conferiva all'esperienza bellica un valore nuovo […] A partire dall'esaltazione del volontariato rivoluzionario e nazional-patriottico nacque una formazione culturale più complessa, che Mosse definisce “il mito dell'esperienza di guerra”. In questo mito hanno un ruolo chiave alcune figure ulteriori: la fratellanza e il cameratismo tra i combattenti; il combattimento come celebrazione della virilità; santificazione della guerra; l'esaltazione e il culto della morte eroica come un martirio compiuto per la propria comunità nazionale».114
Queste caratteristiche tipiche del volontarismo e più in generale del combattente possono essere adattate anche al combattente volontario della guerra di Spagna, rivedendo in chiave internazionale e più ideologizzata il suo impegno.
113 G. L. Mosse, Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, Laterza, Bari 2008, pp. 209- 210
Per il volontario italiano la «comunità nazionale» non esiste più o meglio, è stato esiliato da essa:
«Strappato dalle radici della casa e dell'ambiente, vivi ancora il dolore della sconfitta e la disperazione per ciò che è stato perduto, l'esiliato è costretto a partire riuscendo a malapena a salutare familiari e amici. […] La situazione degli esiliati nel nuovo paese è complessa. Non vanno verso “qualcosa”, ma fuggono e sono scacciati “da” qualcosa, amareggiati, risentiti, frustrati. […] La mancanza di stabilità, il sentirsi come “di passaggio” (perché si spera di ritornare presto), spiega la mancanza di interesse a raggiungere il precedente livello sociale o professionale; allo stesso tempo, la degradazione sociale di molti esiliati aumenta la loro insicurezza e il senso di persecuzione. Il bisogno di svolgere, per sopravvivere, i lavori più diversi che non hanno nulla in comune con il lavoro svolto in patria – in una situazione di eccessiva dipendenza dagli altri che contrasta con la precedente indipendenza – rischia di suscitare nell'esiliato sensazioni di depersonalizzazione, dal momento che gli è difficile assumere un'identità diversa da quella di “esiliato”».115
Un'esistenza difficile per gli esiliati, ma la guerra di Spagna può rappresentare un'occasione di riscatto, la possibilità di lottare contro il fascismo e l'autoritarismo, che è già penetrato in molti Stati europei. Si profila all'orizzonte una lotta non più per la «comunità nazionale» ma per quella «internazionale», in quella che Polanyi definisce «forse il più importante e stupefacente fattore della storia attuale», cioè «l'intrecciarsi di guerra esterna e di civile».116
Dopo che le vittorie delle coalizioni di Fronte popolare nelle elezioni politiche primaverili in Francia e Spagna sembrano aver messo un argine all'espansione del fascismo e della destra in Europa, ecco che l'insurrezione dei militari viene vissuta dagli antifascisti militanti e non solo come una ripresa del processo di fascistizzazione dell'Europa, convinzione ancor più diffusa dopo l'immediato intervento a fianco dei militari spagnoli insorti della Germania nazista e dell'Italia fascista.
Interessante notare nella solidarietà internazionale quella del confinante proletariato francese, che si trova anch'esso in un paese guidato da un governo di Fronte Popolare e all'apparenza naturale alleato della Repubblica nella guerra contro Franco, salvo poi adottare da subito una linea non-interventista. Durante il conflitto spagnolo infatti, «diecimila francesi dei ceti popolari andranno a combattere per la Repubblica spagnola, e tremila di loro cadranno per essa». E ciò che colpisce e che risalta il valore del loro «internazionalismo proletario», è che si recano in Spagna «in un momento in cui hanno ottenuto, a casa loro, condizioni d'esistenza migliori; in un 115 L. Grinberg, R. Grinberg, Psicoanalisi dell'emigrazione e dell'esilio, Franco Angeli, Milano 1990,
pp. 160-163
momento in cui sembrano aprirsi grandi prospettive e sorgono molte speranze per la causa della loro liberazione in patria».117
Certo ridurre tutto ad una questione solamente ideologica sarebbe fuorviante, chi parte per la Spagna non lo fa «per un improvviso “colpo di testa”», ma è condizionato soprattutto «dalle proprie esperienze» e le decisioni «soprattutto quelle così radicali, non possono essere semplificate in un solo aggettivo»; accanto alle dovute generalizzazioni dunque, bisogna cercare di tener conto dei percorsi individuali dei singoli protagonisti della vicenda.118
Ancor più se si pensa al caso dei volontari britannici, circa 2.500 uomini e donne che lasciano le loro case e le loro famiglie per andare a combattere una guerra in un relativamente lontano paese straniero, dopo il disinteresse mostrato dal governo britannico per le sorti della Repubblica, culminato nella politica di non-intervento. Le parole del volontario Louis Hearst sono eloquenti:
«When England took the reins of “Non-intervention” I could hold back no longer. I put everything else aside and decided that I could not identify myself even passively (being a Socialist both by personal conviction and by family tradition) with this political farce; I decided to go to Spain to defend democracy with deeds».119
Altre motivazioni di natura ideologica possono essere riscontrate nei volontari ebrei che adducono alla minaccia nazista che incombe sul proprio popolo come motivo di arruolamento, o agli afroamericani che in una sorta di spirito panafricano vogliono prendersi la rivincita su Mussolini dopo la guerra d'Etiopia. E non mancano certo le motivazioni economiche, chi si arruola per sfuggire alla disoccupazione, in una società, soprattutto quella statunitense, che paga ancora le conseguenze della crisi economica del 1929. E non possono certo mancare coloro che si arruolano per spirito d'avventura o per sfuggire alla monotonia della vita quotidiana.120
Analizzando il caso dei combattenti italiani, si può certo sostenere che quest'ultimi siano ben motivati ideologicamente, provenendo la stragrande maggioranza di loro dall'esilio a cui il fascismo li ha costretti; ed in Spagna si presenta loro l'occasione di combattere contro gli uomini di Mussolini stesso, radice di tutte le sventure degli antifascisti fuorusciti. Finalmente si può passare all'azione, dopo gli «anni difficili», il periodo durante il quale «i tentativi di costruirsi delle vite nuove all'estero si confrontarono con difficoltà quotidiane», ma anche il periodo che vede «il 117 G. Caredda, Il fronte popolare in Francia 1934-1938, Einaudi, Torino 1977, p. 164
118 E. Acciai, Antifascismo, volontariato e guerra civile in Spagna, cit., p. 148
119 R. Baxell, British volunteers in the Spanish Civil War. The British Battalion in the International Brigades, 1936-1939, Routledge, London 2004, p. 26
rinnovamento e la sedimentazione di forti identità di gruppo» e «la nascita dei presupposti dello slancio volontaristico».121
Un volontarismo che «si è offerto alla retorica e al mito» e che «aveva comunque in sé un dato di realtà obiettivamente eroico», uomini che si mobilitano per andare a battersi in una guerra lontana, per «motivi ideali».122
Le parole di Ranzato possono trovare un riscontro anche nel volontarismo italiano, soprattutto per quanto riguarda la «mitologia» italiana della guerra di Spagna, legata per anni alle vicende delle Brigate Internazionali e del Battaglione Garibaldi, che hanno oscurato le altre esperienze volontaristiche italiane. Contemporaneamente alla monumentalizzazione dell'esperienza resistenziale viene glorificato anche chi ha combattuto in Spagna, ma mentre gli studi sulla Resistenza e in generale sul periodo 1943-45 sono successivamente progrediti, l'esperienza italiana in Spagna ha faticato ad uscire dal suo mito.123
La partecipazione dell'antifascismo italiano agli eventi spagnoli, pur fra gli inevitabili contrasti, riesce anche a mostrare delle convergenze fra partiti di ideologie diverse, una convergenza che continuerà allo stesso modo anche nel contesto della Resistenza. Dopo gli anni dell'attendismo finalmente i partiti italiani possono entrare in azione contro un nemico comune, chi nei giorni successivi all'insurrezione nazionalista, come GL e il movimento anarchico, oppure in un secondo momento, come il PCd'I, il PSI e il PRI. La scelta del momento e del settore d'intervento può certo mettere in crisi alcuni rapporti ma al tempo stesso se ne consolidano alcuni già saldi come quello fra il PCd'I e il PSI, legati dal Patto di unità d'azione del 1934; oppure se ne creano di nuovi e inediti, come la convergenza tra il PCd'I e il PRI.124
Al di là delle appartenenze politiche, i primi italiani a prendere le armi per difendere la Repubblica sono quelli già presenti sul territorio spagnolo, soprattutto a Barcellona, forte di un movimento anarchico capace di attrarre i militanti libertari in fuga dai vari regimi autoritari europei e non solo, che possono così vivere in un ambiente socialmente e politicamente affine. Anarchici ma non solo gli italiani, secondo un rapporto di polizia del 1935 che quantifica in 16.000 gli immigrati irregolari presenti nel capoluogo catalano, sono presenti illegalmente in 1.500, 121 E. Acciai, Antifascismo, volontariato e guerra civile in Spagna, cit., p. 111
122 G. Ranzato, L'eclissi della democrazia, cit., p. 7
123 Per gli studi sulla Resistenza si veda: C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 1991; S. Peli, La Resistenza difficile, Franco Angeli, Milano 1999; S. Peli, La Resistenza in Italia. Storia e critica, Einaudi, Torino 2004. Interessante il lavoro sull'esperienza gappista, ancora poco studiata: S. Peli, Storie di GAP. Terrorismo urbano e Resistenza, Einaudi, Torino 2014
124 G. Canali, L'antifascismo italiano e la guerra civile spagnola, Manni, San Cesario di Lecce 2004, pp. 7-8
assieme a 5.000 tedeschi.125
Abbiamo già visto che a Barcellona si trovano altri stranieri che dovrebbero partecipare alle Olimpiadi dei Lavoratori, in programma dal 19 al 26 luglio 1936, con lo scopo di essere una «contromanifestazione» rispetto ai Giochi Olimpici ufficiali previsti a Berlino dall'1 al 16 agosto. Non sappiamo quantificare con precisione quanti atleti italiani abbiano aderito a questa manifestazione, né tantomeno quelli che allo scoppio del conflitto abbiano deciso di prendere le armi, mentre Antony Beevor quantifica in circa 200 il numero dei partecipanti alle Olimpiadi che decide di arruolarsi nelle milizie.126
Fra i più intraprendenti e decisi a passare all'azione vi è sicuramente Giustizia e Libertà, nella figura del suo leader Carlo Rosselli, che il 31 luglio spinge per la causa della Spagna repubblicana:
«La rivoluzione è giunta alla sua fase culminante. […] Lo Stato spagnolo, paralizzato, abbattuto nei suoi organi esecutivi, è stato salvato dalla società spagnola, dalle masse spagnole.
All'esercito passato in gran parte alla controrivoluzione fa già fronte un esercito nuovo, autenticamente di popolo. […]
Dall'esito – secondo noi indubbio – della lotta tra Spagna moderna e proletaria e Spagna feudale e borghese dipenderà probabilmente per molti anni l'esito della lotta sociale in Europa. Se la rivoluzione vince, è, per la nostra causa, un trionfo importantissimo, […] Se invece la controrivoluzione dovesse avere il sopravvento, è la campana a morto per le ultime democrazie europee. Il Fronte popolare francese potrebbe contemplare nell'altrui agonia la propria, e la fascistizzazione d'Europa non sarebbe allora che una questione di tempo e di modo.»
E propone un'azione unitaria dell'antifascismo, soprattutto quello italiano:
«Per questo noi diciamo, non nell'esaltazione febbrile di un'ora, ma nella calma delle decisioni maturate,
che la rivoluzione spagnola è la nostra rivoluzione;
che la guerra civile del proletariato di Spagna è guerra di tutto l'antifascismo;
che il posto per i rivoluzionari capaci di apportare ai compagni spagnoli un contributo effettivo tecnico – ché di tecnici soprattutto si abbisogna – è in Spagna. […]
In queste condizioni, plaudiamo a tutti coloro che hanno obbedito al generoso impulso di portare immediatamente e comunque, a prezzo, spesso, di sacrifici non indifferenti, l'aiuto del proprio braccio alla causa spagnola, ma raccomandiamo una pronta intesa tra tutte le 125 E. Acciai, Antifascismo, volontariato e guerra civile in Spagna, cit., p. 33
forze antifasciste, affinché il loro contributo riesca il più efficace.
Mentre Mussolini minaccia un intervento navale e manda aeroplani da bombardamento ai sediziosi, è doveroso che il popolo italiano, attraverso i suoi elementi migliori, offra una prova concreta di solidarietà ai rivoluzionari.
Viva il popolo spagnolo che indica al popolo italiano le vie della riscossa!»127
Il dinamismo di Rosselli trova un interlocutore nell'anarchico Camillo Berneri, che nei giorni dell'insurrezione si trova in Francia e parte per Barcellona. Berneri era già stato probabilmente in Spagna nel marzo 1936 ed aveva conosciuto i maggiori esponenti dell'anarchismo catalano; ecco che si presenta davanti a lui l'occasione di organizzare gli anarchici italiani in maniera omogenea e partecipare alla rivoluzione spagnola.128 La convergenza tra i giellisti e gli anarchici ha dalla sua parte la volontà
di passare all'azione e di organizzare questa azione in una Colonna italiana unitaria. A Barcellona del resto, «il predominio esercitato dagli anarchici» è notevole e anche i militanti italiani di altre tendenze, se intendono partecipare alla guerra, «devono sottostare alle direttive di massima della CNT». Berneri «conosce il valore dei militanti di GL presenti a Barcellona, da Garosci a Rosselli, e comprende tutta l'utilità e l'importanza di una collaborazione».129
La Colonna italiana, o per meglio dire la Sezione italiana della Colonna Ascaso (che prende il nome dall'anarchico Francisco Ascaso, che come abbiamo visto era morto il 20 luglio negli scontri di Barcellona), vede la sua nascita ufficiale il 17 agosto,