III. Gli italian
1. Italiani in Francia
Gli antifascisti italiani che giungono in Spagna per combattere a favore della Repubblica provengono generalmente da anni difficili di esilio e sopravvivenza fuori dall'Italia.
La Francia rappresenta lo sbocco naturale degli oppositori del regime fascista, per una serie di motivazioni geografiche, economiche, storiche e culturali. Già nella seconda metà dell'Ottocento si assiste ad un primo grande afflusso migratorio italiano verso il paese transalpino, per motivazioni squisitamente economiche, passando dai 163.000 effettivi del 1876 ai 420.000 del 1911.96
Un afflusso accolto male, soprattutto in tempi di crisi economica, come quella che colpisce l'economia mondiale nell'ultimo quarto dell'Ottocento e che non risparmia la Francia, uscita sconfitta dalla guerra franco-prussiana e che deve affrontare le nuove economie emergenti, avendo anche un tasso di crescita demografica più basso delle altre potenze europee.
Questa diffidenza verso il lavoratore straniero culmina in vere e proprie violenze contro gli italiani, come quelle di Aigues-Mortes dell'agosto 1893, dove si scatena un vero e proprio pogrom nei confronti dei lavoratori italiani delle saline locali, con 8 morti secondo le fonti ufficiali.97
All'indomani della fine della prima guerra mondiale la Francia ha bisogno di forza- lavoro per la ricostruzione, avendo perso più di un milione di uomini sui campi di battaglia. Così si assiste ad un secondo importante afflusso di italiani, facilitato da un trattato stipulato nel 1919 che garantisce agli immigrati parità di trattamento in materia di lavoro, assistenza, scuola, pensione, mentre gli altri sbocchi sono chiusi, vista la frammentazione dell'Europa centrale e l'introduzione delle quote americane.98
All'emigrazione per motivazioni economiche dovuta alla mancanza di opportunità lavorative comincia ad affiancarsi, con il procedere degli anni Venti, anche quella di tipo politico, che si intreccia con la precedente. Con il progressivo affermarsi del 96 E. Vial, In Francia, in P. Bevilacqua, A. De Clementi, E. Franzina (a cura di), Storia
dell'emigrazione italiana, Donzelli, Roma 2002, p. 134
97 T. Vertone, Antecédents et causes des événements d'Aigues-Mortes, in J. B. Duroselle, E. Serra (a cura di), L'emigrazione italiana in Francia prima del 1914, Franco Angeli, Milano 1978, pp. 107- 138
regime di Mussolini infatti, per gli antifascisti noti è sempre più difficile resistere alle vessazioni delle camicie nere, che rendono di fatto impossibile la permanenza nell'ambiente familiare e lavorativo, vista anche la tendenza a non offrire lavoro ai nemici del regime.
Gli antifascisti possono lottare per sopravvivere nel proprio paese, con le consuete vessazioni e i vari provvedimenti giudiziari (ammonizioni, denunce, confino di polizia), oppure emigrare per cercare migliori condizioni di vita e opportunità di lavoro, in un difficile e doloroso esilio. Se all'inizio il fenomeno migratorio riguarda soprattutto i militanti di base, più esposti alla violenza fascista, con l'inasprimento dei provvedimenti autoritari del 1925-1926 prendono la via dell'esilio anche i quadri intermedi e i dirigenti dei vari movimenti e partiti politici messi fuori legge.99
A livello giudiziario il contrasto alle attività antifasciste avviene ancor prima della svolta autoritaria del biennio 1925-1926 e dell'istituzione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Fra il 1923 e il 1927 finiscono a processo i leader e militanti del Partito comunista d'Italia, Salvemini, De Gasperi, Turati, Pertini, Parri, Carlo Rosselli, per menzionare i più conosciuti, ma l'azione di contrasto avviene sulla base dei codici dell'ordinamento liberale.100
Dopo il delitto Matteotti e il discorso alla Camera dei deputati del 3 gennaio 1925, dove Mussolini si assume la responsabilità politica e morale dell'omicidio, si ha la svolta sul piano istituzionale, con l'emanazione delle “Leggi fascistissime”, che rafforzano le politiche di contrasto e repressione di qualsiasi forma di opposizione al regime.
Nel novembre del 1926 vengono dichiarati decaduti 124 deputati delle opposizioni e la Camera fascista approva gli otto articoli della legge n. 2008, “Provvedimenti per la difesa dello Stato” con l'istituzione di un nuovo organo:
«Con questa normativa veniva istituito il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, composto da ufficiali dell'Esercito e della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale. La Corte doveva applicare la procedura penale per il tempo di guerra e le sue sentenze non erano soggette a ulteriori gravami. […] La legge reintrodusse in Italia la pena di morte per alcuni reati politici; il semplice tentativo veniva equiparato al delitto consumato per colpire ad ampio raggio ogni forma di dissenso. La pena capitale doveva avere finalità intimidatorie ma anche rivestire un'importante funzione simbolica. Al contrario del “debole” Stato liberale del codice Zanardelli, il fascismo voleva riaffermare l' “autorità” dello Stato.»101
99 M. Franzinelli, I tentacoli dell'Ovra. Agenti, collaboratori e vittime della polizia politica fascista, Bollati Boringhieri, Torino 1999, p. 125
100 L. Lacchè, Tra giustizia e repressione: i volti del regime fascista, in L. Lacchè (a cura di), Il diritto del Duce. Giustizia e repressione nell'Italia fascista, Donzelli, Roma 2015, p. XIV 101 Ibid., p. XIX
Per gli antifascisti rimasti in Italia dunque, un'esistenza difficile con l'unica possibilità di professare le proprie idee in clandestinità, con l'alto rischio di essere scoperti e fatti oggetto di alcune delle possibili modalità di punizione, dalla semplice ammonizione al famigerato confino di polizia, cioè il sistema di allontanamento coatto degli avversari politici dal luogo abituale di residenza, con l'imposizione di restare in località remote e isolate, una pratica che il fascismo perfeziona ed estende, ma che appare già agli albori dello Stato liberale, come misura per contrastare il brigantaggio.102
Per chi invece prende la via dell'esilio, si prospetta una vita piena di difficoltà. La maggior parte di loro è ridotta in miseria, si guadagnano da vivere con lavori saltuari, scrivendo articoli o insegnando l'italiano, non hanno mezzi di comunicazione sicuri per comunicare con chi è rimasto in patria, le loro attività di propaganda antifascista sono spesso infiltrate da agenti provocatori del regime di Mussolini.103
A definire la geografia degli insediamenti degli antifascisti italiani sono certamente le vie già percorse da qualche familiare, amico o conoscente o comunque i luoghi dove è più facile riuscire a trovare un'occupazione.
Analizzando i dati dei censimenti della popolazione francese del 1921, 1926, 1931, 1936 si può ricostruire la presenza italiana nei vari dipartimenti francesi:
« En 1921, la situation est à peu de chose près celle de l'avant-guerre: présence italienne le long de la côte provençale, en Savoie, dans la région lyonnaise et, à un moindre degré, dans la région parisienne et la région industrielle lorraine, pour un effectif limité (moins de 20.000) à Bordeaux.
Le recensement de 1926 enregistre la forte migration de l'après-guerre dans les régions industrielles du nord et de l'est de la France, dans la région parisienne et dans les campagnes du Midi aquitain.
Celui de 1931 confirme la tendance révélée par le précédent: le peuplement italien de l'actuelle région Rhône-Alpes s'élargit. La présence italienne s'étend dans le Midi aquitain et dans l'Est. Elle s'atténue par naturalisation en Provence.
En 1936, les effets de la crise réduisent sensiblement la présence italienne dans led régions industrielles du Nord et de l'Est. Le noyau aquitain se modifie peu, sinon par élargissement sur les bords. Les vieilles régions d'immigration se “francisent” par vieillissement de la génération d'immigrés d'avant 1914 et accession de ses descendants à la nationalité française. Lègère augmentation de la présence italienne en Corse.»104
102 C. Ghini, A. Dal Pont, Gli antifascisti al confino 1926-1943, Editori Riuniti, Roma 1971, p. 43 103 C. F. Delzell, I nemici di Mussolini, Einaudi, Torino 1966, p. 43
104 P. George, L'immigration italienne en France de 1920 à 1939: aspects démographiques et sociaux, in P. Milza (sous la direction de), Les Italiens en France de 1914 à 1940, École française
La capitale dell'antifascismo in esilio è sicuramente Parigi, qui ritroviamo molti dei principali esponenti italiani che saranno protagonisti nella Guerra civile spagnola e anche nella Resistenza italiana.
A Parigi e dintorni troviamo per esempio Camillo Berneri, professore di filosofia a Camerino, che espatria in Francia nell'aprile 1926 e che sarà una delle figure di punta dell'anarchismo italiano in terra di Spagna.
Sempre a Parigi viene fondato il movimento “Giustizia e Libertà”, tra i cui componenti principali possiamo annoverare Carlo Rosselli, Emilio Lussu, Francesco Fausto Nitti, Alberto Tarchiani; un insieme di personalità socialiste, repubblicane, liberali, che si fondono in un movimento unico, che professa fin dall'inizio la pregiudiziale repubblicana.
La presentazione ufficiale di GL avviene col primo numero di un foglio clandestino recante l'intestazione “Giustizia e Libertà”, con l'indicazione fittizia del luogo di stampa (Roma) e la data “novembre 1929”. L'appello contenutovi recita così:
«Provenienti da diverse correnti politiche, archiviamo per ora le tessere dei partiti e creiamo una unità d'azione. Movimento rivoluzionario, non partito, “Giustizia e Libertà” è il nome e il simbolo. Repubblicani, socialisti e democratici, ci battiamo per la libertà, per la repubblica, per la giustizia sociale. Non siamo più tre espressioni differenti, ma un trinomio inscindibile...»105
Non possono certo mancare rappresentanti del Partito Comunista d'Italia, il più ideologizzato dei partiti italiani, ma anche quello che può ottenere più sovvenzionamenti grazie al legame con l'Unione Sovietica. Nel PCd'I vi è un costante sforzo di adesione e comprensione alla realtà dell'Italia attraverso anche la rivista mensile di cultura politica “Lo Stato Operaio”, pubblicata tra il 1927 e il 1939: «Se dovessimo definire l'essenziale di Stato operaio non avremmo esitazioni: l'essenziale è la “scoperta dell'Italia” che essa compie negli anni del fascismo, come ricerca delle condizioni reali nelle quali inserire, o dalle quali partire per sviluppare la azione dei comunisti, il lavoro dei comunisti tra le masse operaie, come sforzo costante per avere una visione precisa e adeguata dei problemi politici da affrontare e delle lotte da condurre. Una ricerca ostinata e minuta delle condizioni degli operai e dei contadini [...]»106
de Rome, Rome 1986, p. 61
105 L. Salvatorelli, G. Mira, Storia d'Italia nel periodo fascista, Einaudi, Torino 1964, p. 629 106 F. Ferri (a cura di), Lo Stato operaio 1927-1939, Editori Riuniti, Roma 1964, p. XII
Sempre in terra di Francia nell'aprile 1927 si costituisce la “Concentrazione d'azione antifascista”, un cartello di organizzazioni e partiti antifascisti, comprendente il Partito Socialista Italiano (PSI), il Partito Socialista Unitario dei Lavoratori Italiani (PSULI), il Partito repubblicano, l'Ufficio estero della CGIL e la Lega Italiana dei Diritti dell'Uomo (LIDU). Un insieme di partiti che mantiene per intero la propria autonomia e che fino a qualche anno prima in patria è stato diviso da contrasti ideologici e politici, basti pensare alle differenze interne al socialismo tra il PSI massimalista di Pietro Nenni e il PSULI riformista di Giuseppe Saragat.
La divisione all'interno della componente socialista viene ripianata al congresso dell'unità socialista, che si svolge a Parigi (19-20 luglio 1930), alla presenza di decine di delegati provenienti dai vari centri d'emigrazione e che riunisce tutte le anime del socialismo in un unico partito, rimanendo escluso solo un gruppetto di massimalisti irriducibili.107
Nel 1934 viene sancito anche un patto di unità d'azione fra il Partito socialista e il Partito comunista, fermo restando il persistere di divergenze ideologiche e il mantenimento della piena autonomia delle due formazioni politiche. Un deciso passo avanti del PCd'I, dopo la svolta del 1930 del movimento comunista internazionale, che ha portato alla definizione di “socialfascismo”, per indicare spregiativamente tutti i partiti riformisti e socialdemocratici.
Il patto d'unità fra i due partiti italiani precede di un anno la svolta del Comintern, che al VII congresso del luglio-agosto 1935 adotta la strategia del Fronte Popolare, cioè l'alleanza dei partiti comunisti europei con gli altri partiti della sinistra; questa strategia viene adottata nella primavera del 1936 alle elezioni politiche francesi e spagnole, mentre per i partiti italiani l'occasione si presenterà nel 1948.