• Non ci sono risultati.

AL “PERGOLESI” VA IN SCENA LA CRISI DEL TEATRO

Il primo anno del Teatro “Pergolesi” -1884- è fiacco: si segnalano tra gennaio e febbraio due compagnie di passaggio, forse non troppo affidabili se il Sindaco desidera dal Condominio assicurazione “che quelle compagnie vengono real-mente a dare le suddette rappresentazioni”; mentre per settembre, che pure è ormai definitivamente la stagione principale di spettacolo nel corso dell’anno, il Sindaco deve ammettere che il Comune “non ha fondi disponibili per lo spet-tacolo teatrale”, in risposta al celebre cantante concittadino Antonio Magini Coletti che proponeva per l’occasione dodici serate di Rigoletto.

Niente soldi dal Comune

Il momento, per la tradizione lirica del neonato “Pergolesi”, non è molto propi-zio; ne è chiara prova, dopotutto, il fatto che negli ultimi anni si è spesso pro-grammata la prosa, che in questo contesto non significa scelta variata di tipolo-gia rappresentativa, ma molto più concretamente carenza di fondi, visto il costo notevolmente diverso dei due tipi di spettacolo. E il fatto stesso che il Comune non contribuisca, se da un lato denota una sua ristrettezza finanziaria, dall’altro significa anche una non felice congiuntura del rapporto Teatro-Città, ove la Municipalità venga progressivamente estraniandosi dal suo sostegno economi-co: risulta, da un interessante appunto di fine secolo, che il Comune non con-tribuisce affatto dal 1884 all’‘86, così come fece dal 1879 all’‘81 e come farà dalla metà degli anni ‘90. Si interrompe quindi quell’apporto contributivo pub-blico che tra alti e bassi quantitativi durava continuativamente da una cinquan-tina d’anni, dapprima tramite precise convenzioni pluriennali in merito e negli ultimi vent’anni attraverso accordi i cui equilibri erano trovati sui singoli pro-getti annuali e di stagione, ma per risorse comunque accordate. Ventennio ul-timo per la verità molto altalenante per quanto riguarda la contribuzione del Comune: dalla somma cospicua di 15.300 lire del 1861 -eccezionalità motivata

- 120 -

probabilmente dalla combinazione temporale dell’Unità d’Italia e della riaper-tura del Teatro dopo due anni di chiusura per restauri, che vede in quell’anno entrambe le stagioni di carnevale e settembre dedicate all’opera, con La travia-ta e Linda di Chamounix nella prima, Aroldo, Ernani e balletti nella seconda- che crolla a 6.300 l’anno seguente, per tornare negli anni successivi oltre le 10.000 e dimezzarsi quindi con l’arrivo degli anni ’70 fino alle due o tre mi-gliaia di fine decennio, fatto escluso il 1875 in cui per l’evento speciale del centenario spontiniano si accordò un contributo aggiuntivo straordinario di ben 20.000 lire. Momenti critici per la pubblica amministrazione questi degli anni

’80, evidentemente, che ritrovano pochi innalzamenti di contribuzione in anna-te isolaanna-te cui corrispondono picchi di qualità della proposta -5.000 lire nel 1883 per Faust, 6.000 nell’’87 con La forza del destino e 7.500 l’anno dopo per Gli ugonotti- ma i cui indirizzi obbligati all’austerità ormai sono evidenti e tracciati, come ben si sente e si riverbera anche in estese frange dell’opinione pubblica, a volte forse frenanando la volontà contributiva stessa del Municipio:

“I gaudenti si divertono in settembre assistendo agli spettacoli in musica am-manniti col denaro di tutti”, sottolinea infatti a novembre 1888 il periodico lo-cale di visione socialista La Bilancia, rimarcando che in un contesto social-mente difficile come quello in atto “sarebbe un’enorme ingiustizia, se mentre si fa presto a trovar denaro per cose di lusso, si lesinasse per cose, più che utili, necessarie”. E a suggello di un 1890 scenicamente assai povero, senza eventi notevoli neanche nella stagione primaria del settembre, a gennaio ‘91 il giorna-le medesimo annota come ormai “il Pergogiorna-lesi tace tutto l’anno e non sempre giorna-le porte girano sugli irrugginiti cardini neanche nel mese di settembre”, perché

“ad aprire il teatro Pergolesi ci vogliono troppi bajocchi”, cosa difficile “senza il concorso della cassa comunale”, che però molto spesso non lo concede. Una contingenza teatrale complicata, come lo è quella sociale stessa, per cui stante la situazione “chi vuole i divertimenti se li paghi”, poiché “non è giusto spen-dere i denari di tutti a vantaggio, e pel divertimento di pochi”. Illuminante la conclusione di politica culturale cui arriva l’articolo, che sembra un’istantanea dei nostri tempi e delinea quello che forse è un carattere di sempre della comu-nità nazionale: “del Municipio si deve fare a meno (...) questo vezzo di atten-dersi tutto o dal Governo o dai Municipi è comune in noi italiani, e tanto più sviluppato quanto dal nord scendiamo giù giù al sud della penisola”.

Una delibera consiliare del 13.9.1923 ci conferma che “il Comune ha contri-buito nella scorta per le rappresentazioni del Teatro fino a circa 26 anni or so-no, mentre in seguito si ebbe a verificare una sosta”. Cosicché, seppure il nuo-vo “Statuto per la Società del Teatro G.B. Pergolesi già Concordia”, del 1884, sia categorico in merito al controllo da esercitarsi sull’operato dell’impresario e sul livello artistico che ne viene proposto, le ristrettezze dei mezzi messi a

- 121 -

disposizione mal si adattano a tale fermezza e a volte non si può non chiudere un occhio. Pertanto, se il deputato d’ispezione “potrà impedire l’andata in sce-na dello spettacolo quando lo troverà non corrispondente alle condizioni ed ai patti convenuti” e “dovrà l’impresario dipendere in tutto e per tutto dalla Depu-tazione suddetta e riportarne l’approvazione per l’orchestra, vestiario e decora-zioni”, di fatto, al dunque si deve a volte essere almeno un po’ elastici.

“Ma il pubblico paga e merita di meglio!”

Prendiamo ad esempio il cartellone del 1885. La Lucia di Lammermoor -che vede l’esibizione dell’astro nascente jesino Magini Coletti, del tenore Baron-celli e dell’acclamata Lena Bordato- e La Favorita in cui canta un’altra stella come Palmira Rambelli, sono un chiaro esempio dell’aria che tira. Nonostante le ridotte possibilità generali, si riesce a dare spettacoli che ottenengono suc-cesso e anche grande soddisfazione di pubblico, grazie alla buona prova di can-tanti di spicco: le “difficoltà” affiorano invece da altre componenti produttive, evidentemente a risparmio. “I cori alquanto incerti”, nota il cronista del quoti-diano di Ancona Ordine-Corriere delle Marche, che appunta così anche l’orchestra: “si sente in essa la mancanza di qualche istrumento”. Parimenti ac-cade l’anno seguente, con La Traviata: se la “Violetta” di Frances Prevost “fa-talizza”, tanto che “dopo l’Amami Alfredo fu chiamata al proscenio per ben sei volte”; se il Teatro affollatissimo decreta un grande successo di pubblico, pure si riscontra “una orchestra scarsa di numero”, coristi “quasi tutti orecchianti, in poche prove”, oltre che “in poco numero” e caratterizzati, come gli artisti pri-mari stessi, dalla “semplicità nel vestire”… Conclude il cronista locale, un po’

amareggiato e un po’ arrabbiato, che se in sala si chiude un occhio sussurrando

“con una scorta tanto meschina che cosa pretendere di più”, tuttavia si convie-ne che ciò non sia giusto per il pubblico, “il quale pagando l’ingresso una lira aveva tutto il diritto di pretendere che lo spettacolo fosse in piena regola”;

mentre, per contro, qualche palchettista “con la vendita della chiave per una sera soltanto, poté rimborsarsi della quota pagata di scorta, lucrarci e divertir-si”. È un’usanza, questa di “vendere la chiave” del proprio palchetto da parte dei condòmini, che comincia sempre più a prendere piede: da un lato aprendo così alla “richiesta del mercato” gli spazi privilegiati dei palchetti privati, un tempo rigoroso privilegio dei proprietari; dall’altro iniziando a sgravare dalle tasche della proprietà i costi della scorta di competenza dei palchettisti. Ricor-diamo infatti che i condòmini sono i proprietari del Teatro e i palchetti di pro-pria competenza -assegnati con il metodo casuale dell’estrazione- sono l’indice percentuale di contribuzione alla scorta, cioè alla dotazione privata del Con-dominio assegnata all’impresa appaltatrice degli spettacoli: percentuale che considera nel computo il numero di palchetti posseduti nell’ambito societario,

- 122 -

ma anche la loro dislocazione negli ordini, considerati di diverso valore se nei primi due o di piano più alto. Senza dimenticare che l’essere condòmini dava diritto di proprietà e di decisione, ma non di accesso allo spettacolo: per il qua-le i palchettisti dovevano pagare regolare biglietto d’ingresso come chiunque, come i comuni cittadini non proprietari (distinzione di costo -acquisto del pal-co e ingressi al palpal-co- che si tramanda, pur senza più la proprietà esclusiva del palco stesso come ai tempi condominiali- che è restata come pratica fino ai primi decenni della seconda metà del Novecento). C’è da dire che, vista la si-tuazione di doppia contribuzione dei condòmini (percentuale della scorta e pa-gamento del biglietto d’ingresso), già negli anni ’20 dell’Ottocento si verificò una “prima volta” dell’uso di “vendere la chiave”, con cui i condòmini si libe-ravano dal dovere di contribuire alla scorta, per poi ricomprare l’ingresso ai palchi dall’impresa stessa a cui essi erano dati in beneficio: usufruendo ugual-mente dello spettacolo, ma risparmiando così notevolugual-mente sui propri costi; un uso attuato allora anche quale protesta e pressione nei confronti della pubblica amministrazione per ottenerne il riconoscimento della compartecipazione al bilancio, come in effetti avvenne poi nel giro di alcuni anni. La “vendita della chiave” di fine Ottocento assume invece un altro aspetto, figlio di tempi e mo-tivazioni differenti che -non più considerato atto dissociativo e di protesta, ben-sì pratica riconosciuta e istituzionalizzata- porteranno a risultati altri: un’usanza comoda e conveniente, che si apre alle nuove richieste del mercato, ma insidio-sa, perché nel corso degli anni porterà i condòmini a disinteressarsi progressi-vamente della fortuna del Teatro e -in un progressivo circolo vizioso- ad affie-volirne l’identità istituzionale derivante dall’antico orgoglio di appartenenza esclusiva, disgregazione che a sua volta incrementa il disinteresse di cui sopra.

Negli anni seguenti, per fortuna, con il sostegno di un pubblico numeroso ma anche, questa volta, del contributo comunale, la programmazione ha come un sussulto. A marzo del 1887 è il sentimento patriottico che connota il successo di un Trovatore allestito dalla locale Società “Il Popolo”, con fini di benefi-cienza per le famiglie delle vittime di Dogali e anche in sostegno dei danneg-giati del terremoto in Liguria: “La platea un fitto campo di teste, le pareti un mosaico di svariate e simpatiche figure, il loggione un vero formicolio di esseri viventi”, riporta il cronista di La Bilancia. A settembre, dopo un esordio pro-blematico del tenore, poi sostituito, il trionfo è autentico e incontrastato, segna-lato anche da un giornale specialistico e prestigioso a livello nazionale come Il Teatro Illustrato, che dichiara: “Un successo completo e clamoroso”, per Er-nani e La forza del destino, con Leopoldo Mugnone sul podio e l’ugola rino-mata di Palmira Rambelli. Il giornale milanese si ripete nei complimenti anche l’anno dopo, riconoscendo Gli Ugonotti di Meyerbeer “uno spettacolo di prima importanza”, mentre il quotidiano di Ancona Il Corriere delle Marche

- 123 -

(l’odierno Corriere Adriatico), pur facendo qualche appunto essenzialmente di ordine organizzativo, conclude la recensione in toni soddisfatti e lusinghieri

“augurando che anche alle nostre Muse si possano avere pel futuro spettacoli annuali come questo d’Jesi. Altrimenti sarà il nostro pubblico che farà il muso e diverrà ugonotto, cioè protestante”.

Jesi impazzì per Carmen

Buona annata anche il 1889, con un corso di opere buffe e operette a carnevale (gennaio-marzo) e un riuscito Faust nella stagione principale del settembre; ma il culmine si ha con la Carmen del settembre ‘91 –la sua prima esecuzione a Jesi– che “ogni sera più entra nelle simpatie dell’uditorio”. “Successo ottimo”, scrive il quotidiano anconetano, con “la Del Torre, la Del Bruno, l’orchestra ed il Maestro Seppilli applauditissimi. Baritono Pozzi trovato eccellente”.

Una prima locale la cui musica “nuova” elettrizza il pubblico, da cui sarà “fe-steggiatissimo anche il tenore Mozzi”, che sostituisce nel ruolo di “Don Jose”

il titolare Giuseppe Russitano, infortunatosi in scena. “Russitano canta con sen-timento vero e profondo”, aveva già scritto Il Teatro Illustrato di Milano, men-tre “la signorina Alice Del Bruno fu una Carmen perfetta”, e l’intero spettacolo un “grandissimo successo, con un complesso di valorosi artisti”.

- 124 -

Ugualmente felici gli esiti di Guarany dell’anno dopo, “opera grandiosa” di Gomes che “ogni sera ridesta affetti nuovi, ogni sera rivela nuove bellezze”. Lo spettacolo proposto è di alto livello, ma l’entusiasmo del pubblico è accresciu-to dalla “novità” dell’opera: novità almeno per la scena locale, daaccresciu-to che anche Guarany girava nei teatri ormai da ben 20 anni. L’alto e basso della produzio-ne, certo motivato da preoccupazioni finanziarie, sarà una regola fino alla fine del secolo. Dopo l’euforia per la ripresa produttiva riscontratasi negli anni pas-sati, la delusione del cronista locale -La Torre di Jesi- è quanto mai eloquente nel 1893, non solo sugli esiti dell’anno ma sulla situazione stessa dell’intero periodo: “Gloria e onore agli eccelsi padroni del Teatro Pergolesi! Siamo ridot-ti ad una compagnia di prosa a cui i prelodaridot-ti padroni hanno concesso l’uso del Pergolesi con la bella prospettiva non solo di non pagare un centesimo di scor-ta, ma anzi con la speranza di guadagnare nella vendita delle chiavi dei palchi”.

L’amarezza è tanto più profonda per la consapevole coscienza della effettiva tradizione del Teatro: per la quale, nonostante il rispetto per la prosa, è da tutti riconosciuto come “la musica si confaceva assai più alla stagione di settembre, epoca in cui Jesi per la ricorrenza delle fiere e delle feste è assai frequentata”.

Nelle pagine:

scene di “Carmen”, stampe di fine ‘800 tratte dal periodico musicale milanese

“Il teatro illustrato”

- 125 - 18.

TEATRO DI TERZ’ORDINE. NO, DI SECONDO ORDINE

Dagli anni ‘90 il Comune interrompe la sua contribuzione al Teatro; il quale, benché possa ospitare mille persone, viene classificato “di terzo ordine”, come risulta dall’aliquota stabilita delle tasse cui è soggetto. Il sostegno finanziario regolare del Comune al Condominio aveva già avuto interruzioni a partire dalla fine degli anni Settanta; in seguito si era poi riproposto: ma senza quella siste-maticità -forse quella convinzione- ben stigmatizzata dal Prefetto di Ancona, che in data 27 luglio 1888 scrive al Sindaco di Jesi con riferimento specifico alla “Spesa per l’opera teatrale”. Il Prefetto, come organo di controllo, lamenta un’estemporaneità amministrativa fuori luogo, poiché “non può dirsi oramai imprevista per codesto Comune la spesa per la scorta teatrale”; piuttosto,

“l’eccezionalità consiste solo nel modo in cui alla medesima si provvede, non comprendendola in bilancio e votandola in corso di esercizio coll’assegno di fondi più o meno ipotetici. Questo modo irregolare è d’uopo che sia allontana-to”. Pertanto, pur bacchettando severamente, per quella volta il Prefetto passa sopra e appone il visto alla delibera “irregolare”, ma con l’avvertenza “che in avvenire ove mancasse lo stanziamento apposito in bilancio, la spesa per l’opera teatrale non potrebbe essere approvata”. Intanto, nel 1892, quasi a sug-gello conclusivo di un’epoca, era andato a fuoco e completamente distrutto il vecchio Teatro del Leone, memoria ormai dimenticata di un mondo lontano.

Cavalleria rusticana scuote gli animi

L’opera torna al “Pergolesi” a metà degli anni ‘90, con un’altra prima rappre-sentazione locale, di notevole riferimento circa l’evoluzione del gusto musica-le: con “solo” cinque anni di distacco dalla prima romana, giunge a Jesi nel 1895 Cavalleria Rusticana, capolavoro del verismo, in coppia con il balletto La danzatrice di Chioggia. Ancora una volta la novità colpisce nel segno, con un esito positivo che ha “disingannato anche i più scettici”, raggiungendo,

no-- 126 no--

nostante il poco tempo per la preparazione, quel livello che “le tradizioni della stagione di settembre del Pergolesi autorizzano a sperare”.

Sul podio il maestro jesino -di origine anconetana- Goffredo Romagnoli, per 12 rappresentazioni dell’apprezzato dittico, dal 15 settembre. Tra novembre e dicembre seguenti, presentate “fuori stagione” e interpretate dalla Compagnia di Operette Comiche Furlai-Rogano, vanno poi in scena 10 serate di “piccola lirica” –come si chiama affettuosamente l’operetta- che riscuotono grande suc-cesso e numerosa partecipazione di pubblico, ottenendo “un gran pieno” per-ché ad essa “il nostro pubblico accorre con piacere”, sottolinea il cronista.

Proprio a proposito dell’attenzione della stampa, è interessante notare ed evi-denziare un dato in merito alla tradizione della “stagione di settembre”, rispetto alla programmazione complessiva del Teatro che ormai apre più o meno rego-larmente varie volte in diverse stagioni nel corso dell’anno. Seppure l’operetta era già apparsa da tempo al “Pergolesi” -e vi si produsse anche in quel novem-bre con grande attesa e corrispondente risposta del pubblico- non è senza signi-ficato, dal punto di vista del valore istituzionale della programmazione, il fatto che solo raramente si trovi riscontro di questi spettacoli sul quotidiano locale quando essi occorrano “fuori stagione”: ove non valorizzati, cioè, dal contesto ufficiale tradizionale entro cui vengano calati e proposti.

- 127 - Il rigoglioso mercato del “fuori stagione”

Sono in effetti davvero molto numerosi i casi, fino ad oltre la metà del secolo XX, di spettacoli “fuori stagione” che sono attestati, ma che non hanno corri-spondente riscontro sulla stampa; che si tratti di operetta –di per sé sempre considerata la cenerentola– o anche di opera, proposta in periodi che non siano

“il settembre”: ovvero in inverno, in primavera o nei mesi classici del “carne-vale”, stagione questa peraltro non più particolarmente rilevante in senso tea-trale, concentrandosi ormai il divertimento popolare verso altri tipi di intratte-nimento. La causa di tale sordina verso questi spettacoli, a cui non è detto in-vece che il pubblico non rispondesse positivamente, risiede essenzialmente proprio nella particolare attesa che la tradizione riserva a certi appuntamenti e ad altri no: e questo atteggiamento, evidentemente, è colto e interpretato anche dalla stampa, che concentra la sua attenzione di conseguenza. D’altro canto, la situazione è simile più di quanto non si creda a quella odierna: così come allora il Teatro organizzava “istituzionalmente” certi appuntamenti primari e ricorren-ti -ma nulla vietava che nel resto dell’anno altri soggetricorren-ti proponessero altri e-venti, magari anche con qualche ausilio da parte della gestione teatrale mede-sima- lo stesso accade oggi con i cartelloni “ufficiali” del Teatro, a volte af-fiancati da altre iniziative extra: a cui eventualmente il Teatro (il Comune) con-cede anche un sostegno, ma che restano tuttavia percepiti in maniera molto di-stinta dall’attività “diretta” del Teatro, sia agli occhi della critica che dell’opinione pubblica. Sono questi i casi in cui il Teatro veniva “concesso” ad altri organizzatori richiedenti, ribaltando con ciò la situazione normale della propria stagione: quando cioè il Condominio è promotore dell’iniziativa e paga per avere il suo corso di spettacoli, d’opera, di prosa e anche d’operetta. Come accade per l’appunto nel 1897, quando l’operetta è protagonista della Stagione di settembre con 14 rappresentazioni della nuova I Granatieri di Vincenzo Va-lente (1889), proposte dalla Compagnia Italiana di Operette Ferrara-Nion. Pur con qualche diffidente sufficienza da parte della critica e con i soliti problemi produttivi –più che intenzioni di scelta– a motivarne la programmazione: “Pa-reva che quest’anno il Pergolesi dovesse restare chiuso”, commenta il cronista, poi “i condòmini si sono decisi per uno spettacolo”. Decisione evidentemente considerata di ripiego, poiché “s’era progettato di dare la Norma, poi s’è finito con l’operetta”, come scrive il quotidiano L’Ordine - Corriere delle Marche.

L’alba del nuovo secolo

Con il nuovo secolo si aprono nuovi panorami culturali, che influiscono non poco sulla tipologia di spettacolo di cui un più allargato pubblico si fa misura:

anche il Teatro non sfugge alla legge del mercato, essendo di fatto ormai privo

anche il Teatro non sfugge alla legge del mercato, essendo di fatto ormai privo

Documenti correlati