Oltre alle citate, c’è ancora un’altra importante coordinata che ha caratterizzato profondamente la lunga gestione del Teatro “Pergolesi” a guida Perucci; un sodalizio artistico e manageriale, quello del professionista con Jesi, all’insegna di ottimi rapporti personali e incontestabili successi: la cui riconferma non è mai stata messa in discussione, ma sempre connotata però da contratto solo an-nuale da parte del Comune, mai di più lungo respiro che potesse garantire op-portunità di programmazione più agevole e ad ampio raggio. Eppure…
Una rete nazionale: Padova-Cosenza, via Foggia
La coordinata in oggetto è il senso della produzione in scala, della rete distri-butiva, della coproduzione tra teatri, al fine della più efficace ottimizzazione dello sforzo, per una maggiore diffusione del suo esito: che è poi, a ben guar-dare, l’obiettivo ultimo della cultura stessa, nella sua accezione più moderna e avanzata. Certamente derivata dalla forma mentis del suo inizio da impresario, tale attitudine costruttiva non viene a mancare quando all’azione privatistica da imprenditore subentra l’operato in nome dell’ente pubblico, nel 1968: anzi, for-te proprio del suo nuovo status, dopo appena un paio d’anni dal riconoscimen-to il Teatro di Tradizione “G. B. Pergolesi” comincia ad esportare le sue com-petenze, a farsi “centro di produzione” e di interscambio, a livello regionale e nazionale. Ottenuta appena l’11 marzo del 1969 l’assicurazione dal Ministro che “ai Teatri di Tradizione può essere affidata la realizzazione di stagioni liri-che sovvenzionate, anliri-che al di fuori dell’ambito della provincia nella quale essi hanno sede”, immediatamente si mette in moto la macchina delle relazioni e delle collaborazioni, che miete subito i primi successi: già nel 1970 e nel ‘71 il Teatro jesino espande la sua azione da un capo all’altro d’Italia, andando a ge-stire le stagioni liriche di teatri prestigiosi come il “Verdi” di Padova e il
“Giordano” di Foggia. Dal 1977, invece, è a Cosenza, dove organizza per
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cuni anni la stagione lirica del “Rendano”, cui consente di rilanciarsi e attivare il rapporto con il Ministero per essere riconosciuto a sua volta “Teatro di Tra-dizione” e avviare un cammino istituzionale autonomo.
Con la lirica Jesi sbarca a Seul
Nel 1985 il “Pergolesi” conosce infine anche la coproduzione internazionale: è invitato ufficialmente in Corea del Sud, per una serie di rappresentazioni di Boheme all’International Music Festival of Korea, nell’ambito di rapporti di-plomatici bilaterali Italia-Corea: al cui interscambio culturale e istituzionale prendono parte, in rappresentanza ufficiale del Comune, il Sindaco Gabriele Fava e l’assessore Guglielmo Perticaroli. “Desidero innanzitutto ringraziarla per la gentile e cordiale ospitalità riservataci durante la permanenza a Seul. Il successo riscosso dall’iniziativa ci induce a proseguire la collaborazione stabi-litasi tra il nostro Teatro Pergolesi e la Fondazione Culturale Coreana”, scrive-rà il Sindaco Fava al Presidente della Korean Culture and Arts Foundation-Seoul. La rilevante rete di rapporti che consente tali collaborazioni coprodutti-ve -nazionali e internazionali- porta ad una lusinghiera affermazione istituzio-nale del Teatro “Pergolesi”, alla cui immagine pubblica -e, di riflesso, a quella stessa dell’Amministrazione Comunale e della Città- concorrono continui suc-cessi d’arte conseguiti; un felice esempio di incremento e “feed-back positivo”
che trae origine dalla vincente complementarità di attitudini personali dei suoi due principali pigmalioni: il prestigio acquisito e la competenza artistica di Pe-rucci unite alla notevole capacità operativa e di relazione di Gualdoni.
Da sinistra: Alberto Gualdoni e Carlo Perucci, nell’atrio del Teatro
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Tuttavia, se il nome del Teatro circola a livello nazionale -per le collaborazioni attivate all’esterno, ma anche per le realizzazioni artistiche in sede- è la realtà locale che continua ad essere nel cuore e nella mente del “Pergolesi” -tramite le idee della sua direzione- fondendosi in ciò le componenti dell’originaria spinta dinamica imprenditoriale e quella dell’intento programmatico con una visione della cultura diffusa sul territorio. Solidificatosi istituzionalmente e artistica-mente, l’Ente jesino inizia quindi a realizzare quel progetto di Teatro lirico re-gionale che trova la sua radice ideale nel disegno produttivo di rete del 1966…
La rete lirica marchigiana “esporta” fuori regione
Non senza duro lavoro diplomatico e di promozione, sempre nella cronica ri-strettezza di mezzi degli enti locali, già dal 1973 Jesi attiva un legame con Montegiorgio; l’anno dopo con Ascoli Piceno e poi Cagli, Fermo, Fabriano, Urbino, ai cui teatri “decentra” alcune delle sue produzioni, tramite accordi di gestione che vedono il “Pergolesi” come capofila della rete in quanto “Teatro di tradizione”, perché così stabilisce la normativa ministeriale ove si voglia ot-tenere sovvenzione anche per le altre città collegate, come infatti avviene.
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Nelle foto, da sinistra a destra e dall’alto in basso dalla pagina precedente:
il Teatro “Alaleona” di Montegiorgio, il “Ventidio Basso” di Ascoli Piceno, il Comunale di Cagli, il “dell’Aquila” di Fermo, il “Gentile” di Fabriano, il “Sanzio” di Urbino In seguito aderiscono alla “rete” perfino teatri fuori regione -ben più importanti dei pur bellissimi scrigni marchigiani, come il “Bonci” di Cesena e il Munici-pale di Piacenza- anch’essi per vari anni legati al “Pergolesi” nell’acquisirne le produzioni liriche: da notare che per tutti i teatri si tratta di acquisto dello spet-tacolo completo di tutta la compagnia (orchestra, coro, cantanti, tecnici) e non della semplice “coproduzione” dell’allestimento come spesso avviene tra teatri d’opera. Una rete produttiva reale, che fra alterne vicende e numero variabile dei teatri aderenti nel corso delle stagioni, ha protratto gli ultimi esiti fino al 1988; è implicito nei fatti, dunque, che il circuito lirico dei teatri marchigiani, di cui oggi e da diversi anni giustamente si parla, è già esistito, per un arco di tempo di 15 anni: anche se senza nessun tipo di riconoscimento istituzionale specifico e tutto sulle sole forze dei singoli soggetti aderenti al progetto, cia-scuno destinatario del relativo contributo ministeriale appositamente richiesto e ottenuto. L’intervenuta successiva riapertura di diversi teatri storici in tutta la regione, non fa che rafforzare la necessità di attuazione di quell’idea: che tanto più risulta valida oggi, quanto meglio si può apprezzare l’originalità e la lun-gimiranza di chi la concepì e per primo pose le basi della sua realizzazione.
Il “freno tirato” del Comune
Intanto cresce -con gli anni e l’inflazione- l’importo della sovvenzione statale:
nel 1970 era già a quota 3 milioni di lire a recita; nel ‘77 a 11 milioni, nell’‘80 -quando Jesi ottiene le dodici serate sovvenzionate, in atto fino al 2004, suddi-vise in tre opere e un balletto- a 19 milioni; nel 1985 sale a 55 milioni, per ar-rivare ai 95 di fine anni ‘90, secondo gli adeguamenti riferiti alla Legge 800 e sue modificazioni: normativa peraltro oggi in via di smantellamento, con la nuova legislazione avviata nel 1996 dal Ministro Veltroni.
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Ma non in proporzione alla crescita ministeriale si è evoluto nel tempo il con-tributo pubblico locale, sulla via che all’inizio del cammino si dava per sconta-ta e che già nel 1972 l’allora giovane giornalissconta-ta Silvano Sbarbati invocava a chiare lettere: “La stagione lirica jesina è pronta e preparata a fare un secondo balzo in avanti, a patto però che chi ci crede la sostenga a fatti e non solo a pa-role. Il Pergolesi è nelle condizioni di un’auto che viaggia a pieni giri in terza marcia. Perché impedirgli di innestare la quarta, per correre più veloce e con meno difficoltà?”. Era il 1972 e a quel tempo il “Pergolesi” era davvero l’unico punto di riferimento lirico in regione: il ROF aveva ancora molto da venire (1980), lo stesso Sferisterio, pur agendo e già ad alti livelli, otterrà lo status di
“Teatro di Tradizione” solo a partire dal 1973.
Si può solo immaginare -e rimpiangere- quale posizione, nelle Marche e fuori, il Teatro jesino avrebbe potuto conseguire da allora in avanti, grazie a quel fe-licissimo primato istituzionale di settore, se oltre all’ambìto blasone (e contri-buto) del Ministero avesse potuto contare anche su un sostegno economico for-te da parfor-te del suo Comune. Infatti, delle successive fortune infor-ternazionali del ROF e dello Sferisterio -che in breve azzereranno e ribalteranno doppiandolo il
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vantaggio di partenza di Jesi- in buona parte sono stati artefici gli stessi rispet-tivi Municipi, che hanno contribuito alle risorse delle rispettive iniziative con proprie quote consistenti (dal 20% fino anche al 40% in certe annate, e percen-tuale di ben maggiori bilanci), accanto a fondi ministeriali e sponsor privati.
Pagina precedente, Antinori in “Tosca”, 1983; qui sopra, Rosetta Pizzo, “La Traviata”, 1982 Il Comune di Jesi, invece, è stato sempre sordo a tale opportunità, limitando la propria quota di contributo all’attività lirica del suo Teatro: non oltre il 10%
del bilancio, nella “torta di risorse” che per il resto si compone mediamente di un 60% dal Ministero, 10% da Ente Regione, 10% da sponsor privati, 10% da incassi da botteghino. A puro titolo dimostrativo, quale esempio dei ricorrenti equilibri finanziari interni al bilancio annuale della Stagione Lirica del “Pergo-lesi” -il cui ammontare negli anni varia di poco, assestandosi negli anni ’80 a poco più di un miliardo e mezzo di lire fino al limite del miliardo e 800milioni di fine decennio- enumeriamo in breve alcune cifre di un bilancio specifico già più inoltrato negli anni. Stagione 1992: su un preventivo complessivo di un mi-liardo e 895milioni di lire (poco meno di un milione di Euro), di cui 147milioni di lire a carico del Comune, il consuntivo è stato di un miliardo e 850milioni, dunque con un attivo che vuol dire risparmio di circa 50 milioni per il Comune.
Dell’intera somma a bilancio, un miliardo e 65milioni di lire provengono dal Ministero dello Spettacolo (57% del totale), 200milioni dalla Regione (11%), 200milioni da sponsor privati (11%), 220milioni da incassi al botteghino (12%), 70milioni da proventi di coproduzione con altri teatri (4%), 95milioni da quota parte del Comune (5%). Certo è lontana, nel tempo e nella concezio-ne, l’epoca sopra descritta in cui -a metà Ottocento- il Comune contribuiva alla stagione del “Concordia” per il 50% del bilancio: e in certi anni anche di più…
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