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TUTTO L’ANNO TRA SUONI, CANTI, RAPPRESENTAZIONI

Con l’avvento dell’Oratorio grande, nel 1659 presso la Chiesa di San Giovanni Battista, il panorama “rappresentativo” jesino assume ormai da metà del secolo XVII un aspetto composito e variegato, strutturato nella periodizzazione an-nuale e articolato nella tipologia della proposta.

Verso l’assetto definitivo

Sul versante profano agisce la Sala del Magistrato con la “comedia”, ospitando compagnie di giro di attori e comici che danno spettacoli di carattere ricreativo ad un pubblico pagante sistemato nella disposizione teatrale che la sala assume per l’occasione: con pedane, “palconi”, tribune, tutto in legno, montabile e smontabile, restando pertanto ancora uno spazio adattato all’uso, precario e temporaneo anche se ormai con una più o meno definita ricorrenza e qualche continuità. Dà invece sfoggio di cultura elitaria musicale e teatrale –nei suoi eleganti saloni e giardini- l’attività dell’Accademia dei Riverenti, non aperta a tutti ma riservata ad accademici e ospiti, con allargamento a frange di giovani simpatizzanti, allievi degli accademici stessi -per buona parte insegnanti- e quindi probabili futuri “virtuosi d’arte”, o ad altri soggetti vicini in qualche modo all’ambiente accademico: tutti comunque della cerchia aristocratica o intellettuale. Gli spettacoli dell’Accademia -nei teatri provvisori montati nella sala grande o nel cortile della sede, secondo la stagione- sono forse interpretati, almeno in parte, dagli accademici medesimi: sull’esempio originario della Ca-merata fiorentina, per cui la rappresentazione è un “affare privato”, quasi un gioco intellettuale tra pochi che “si dilettano” in prima persona e non fanno ri-corso all’ausilio di “professionisti” se non ove strettamente indispensabile e necessario. In ambito devozionale, invece, c’è il dramma sacro proposto dall’oratorio di S. Filippo, aperto a tutti, senza biglietto d’ingresso, ma anche senza fini spettacolari: il recupero, in un certo senso, di quella “Biblia paupe-rum” teatrale che furono le sacre rappresentazioni medievali, con in più la

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centrazione spirituale post-tridentina e la veicolazione in tutti gli strati della popolazione tramite il mezzo espressivo musicale corrente, secondo le forme stilistiche del modo nascente dell’opera seria.

Il sistema della musica

In realtà, se ampia e variegata appare la proposta, è di fatto sempre la solita ri-stretta oligarchia che tira le fila: in Comune, dove siede in Consiglio e “coman-da”; nell’Accademia, dove se ne incontra la componente intellettuale secolare con l’intellighenzia ecclesiastica della città, delle quali gran parte porta il nome delle famiglie medesime; nell’oratorio, i cui animatori sono spesso membri di quella stessa componente ecclesiastica dell’Accademia. Sono questi i presup-posti che originano -e l’ambiente locale che trova- il fenomeno teatrale dell’opera seria a Jesi: fenomeno d’arte e di costume che nei grandi centri, nel volgere di qualche decennio, si trasforma da intellettualistico passatempo ari-stocratico a evento di grande impatto spettacolare e presa popolare, come di-mostra il passaggio, dopo gli anni Trenta del Seicento, dalla committenza pret-tamente di corte a quella dei teatri pubblici a pagamento, di cui il primo esem-pio è il San Cassiano di Venezia, aperto nel 1637. Anche a Jesi tale evoluzione

“popolare” ci sarà, ma con meno speditezza. Nella seconda metà del secolo, dopo l’impulso impresso dall’Accademia e dall’Oratorio -che iniziano a creare in loco una tradizione del teatro in musica e nel rispettivo pubblico un’aspettativa di spettacolo ben definita- la situazione è quella che descrive Annibaldi, citando una fonte dell’epoca tratta dall’Archivio privato di Antonio

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Gianandrea: “In occasione di esser recitata qualche opera nella città di Jesi, per non esser la medesima provvista di teatro è stato solito il magistrato pro tempo-re permettetempo-re che si alzi il palco nel pubblico palazzo; e ciò per animar la gio-ventù ad esser spettatrice di azioni virtuose. Come pure anticamente furon con-cessi dal medesimo magistrato siti nella sala ad effetto di erigger palchetti, per-ché potessero ovviarsi quegli inconvenienti che sarebber potuti succedere da confusa mischianza di sessi diversi”.

Le strutture produttive

Variegata, secondo le rispettive tipologie, è la realizzazione: “chi” e “come”

mette in piedi lo spettacolo. Se la Sala del Magistrato ha già i suoi deputati che trattano con i capocomici o con gli impresari delle compagnie, e più o meno lo stesso fanno gli accademici quando hanno la necessità di servirsi di operatori esterni al sodalizio, più diversificato è il versante della musica sacra. Conse-guentemente all’importante esperienza spirituale -ma anche artistica e sociale- costituita dall’oratorio filippino, si sviluppa in pochi anni in città un’imponente proliferazione di esecuzioni del dramma sacro, mentre l’esistenza di un’attiva Cappella Musicale in Duomo non solo fornisce i suoi uffici liturgici, ma è an-che preziosa “spalla” per l’attività dell’oratorio medesimo. Abbiamo notizia, a

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partire dalla fine del ’600, di esecuzioni in ben cinque diverse sedi, oltre all’oratorio filippino: la Chiesa di S. Chiara delle monache Clarisse (nell’area dell’odierno ex-Appannaggio), la Chiesa di S. Anna delle Benedettine (Palazzo Mereghi, nell’attuale Corso Matteotti), la Chiesa di S. Luca dei Padri Agosti-niani (oggi S. Agostino, in Piazza Colocci), la Chiesa di S. Antonio dei Dome-nicani (in via Valle), la Chiesa della Morte (Piazza della Repubblica).

Esistevano per questo scopo congregazioni cittadine formate sia da membri del ceto nobile che da appartenenti alle classi inferiori: le quali, nel periodo dell’anno in cui ricorreva la festa del santo eponimo, raccoglievano somme di denaro da destinarsi alla realizzazione della festa a lui dedicata. Venivano quindi scelti dei priori che si occupavano dei problemi organizzativi, tra cui quello di trovare cantanti e musicisti validi. Se l’appuntamento con i filippini era continuo, quello con le altre confraternite era incentrato principalmente nel-la celebrazione del proprio santo votivo: ma anche in occasioni extra

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za, relative magari al “monacarsi” di qualche personalità -che in tal modo si celebrava e festeggiava pubblicamente- o semplicemente per la richiesta di re-plica da parte di esterni o di sostenitori della congregazione medesima.

L’esecuzione avveniva normalmente di pomeriggio ed era aperta a tutti;

l’oratorio di S. Filippo, invece, si teneva di sera e di conseguenza le donne ne erano indirettamente inibite: ma, per favorire la loro partecipazione, potevano aversene anche di pomeriggio. L’orchestra, come per gli oratori filippini, do-veva essere molto ridotta, limitata a non più di una decina di “virtuosi”, mentre per il canto, come in uso, si potevano avere solo voci maschili, provenienti dal-la cappeldal-la deldal-la Cattedrale o da corrispondente istituzione dei centri vicini;

solo nei monasteri femminili -S. Anna, S. Chiara- si poteva avere voce di don-na, nelle consorelle stesse che eseguivano gli spartiti, professandosi in quei monasteri un culto speciale per la musica: tanto che i fedeli accorrevano ad o-gni occasione che in essi si tenevano oratori o cantate, per poter udire “ammi-rati quelle angeliche voci” che “davano prove da eccitar le più alte meraviglie”.

A differenza dell’oratorio filippino, il “sistema della musica sacra” comincia presto a far notare l’inizio di una parziale professionalizzazione dell’evento:

che si avvia con ciò a perseguire e percorrere la via dello spettacolo, accanto a quella originaria della festa di edificazione religiosa. Anche l’organizzazione è diversa, prevedendo -da parte della confraternita o di privati sostenitori- una

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sorta di vero e proprio impresariato e un principio di ricompensa per i “virtuo-si”, normalmente professionisti chiamati da fuori città. Alla fine del ‘600, dun-que, tra i diversi appuntamenti sacri e profani programmati in città, ben si può dire con Annibaldi che “tutto l’anno andava pieno e fiorito di suono, di canto, di rappresentazioni ed era un continuo andirivieni di artisti e di virtuosi”.

Nelle pagine: evento musicale settecentesco presso un salone di palazzo pubblico, con apposita struttura di palcone allestito per l’occasione; gruppo strumentale di musica barocca, in un dipinto dell’epoca; miniatura del ‘700 con la cantoria “velata”, tipica negli oratori di ordini

femminili, dietro cui si esibiscono le “virtuose” di suono e di canto della confraternita;

frontespizio dell’oratorio “La megera delusa”, dato a Jesi nel 1699 nella Chiesa del Monastero di Sant’Anna; scena di concerto in giardino tra arte, intrattenimento e mondanità, in un dipinto di scuola napoletana di metà Settecento; sotto, Jesi in un dipinto del sec. XVII

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