• Non ci sono risultati.

IL “PERGOLESI” È “TEATRO DI TRADIZIONE”

Dopo la “crisi esistenziale” di metà secolo, tra alti e bassi di qualità e riscontro di pubblico, il prestigio del Teatro torna ad essere in ascesa e rinasce con forza la sua funzione culturale di profonda incidenza nel tessuto sociale cittadino. Se il nome del direttore artistico Franco Casavola Danese aveva segnato, a fine anni ’50, il suo rilancio lirico verso elevati livelli nazionali, il processo di cre-scita già avviato viene ora continuato e portato poi ad uno stadio avanzato dalla lunga e proficua direzione artistica di Carlo Perucci, alla cui parabola produtti-va di produtti-valente esperienza si lega primariamente il riconoscimento ministeriale.

Importanti sviluppi istituzionali

D’ora in avanti il Teatro di Tradizione “G.B. Pergolesi” entra nel novero dei pochi più importanti del Paese; a quel tempo, uno dei 19 “Teatri di Tradizione”

in tutta Italia: vale a dire, di primaria importanza dopo i 12 Enti Lirici Auto-nomi, nonché l’unico nelle Marche, il solo nell’Italia centrale insieme a quelli di Pisa e Livorno. Con la particolarità di essere l’unico situato in città non ca-poluogo di provincia. Oggi i “Teatri di Tradizione” sono 27, con il riconosci-mento successivo negli anni concesso a Cosenza, Lecce, Ravenna, Lucca, Ma-cerata, Chieti, Pavia, Savona, Trapani (e il passaggio del già assegnatario Bari alla categoria superiore di “Ente Lirico”): Macerata, con il suo “Sferisterio”, ottiene infatti il titolo solo nel 1973. Accanto alla lirica, anche la programma-zione di prosa si regolarizzerà a buon livello, con l’ingresso dal 1961nel circui-to distributivo nazionale dell’ETI (Ente Teatrale Italiano), che ne organizza e gestisce poi il cartellone per vent’anni: si vedranno da allora stagioni di prosa di notevole qualità e quantità, mediamente con una dozzina di titoli l’anno ed un picco memorabile nella stagione 1972/73, che conta ben 19 allestimenti di-versi per artisti di livello, da Giorgio Gaber a Nando Gazzolo, da Arnaldo Nin-chi a Gino Bramieri, Carlo D’Apporto, Paolo Ferrari, Giorgio Albertazzi, Aldo

- 180 -

e Carlo Giuffrè, Macario, Anna Proclemer, Raf Vallone, Gino Cervi, Lia Zop-pelli, Tino Buazzelli e altri, fino a Valeria Moriconi e Franco Enriquez… E mentre i due settori si avviano a proporre spettacoli di degna qualità, è ora la sfida sociale quella che si pone, soprattutto in ambito musicale: proprio quello, cioè, che in realtà caratterizza e motiva maggiormente la personalità e la stessa

“tradizione” del Teatro. “Migliorare la struttura organizzativa secondo le ne-cessità di un moderno sistema di divulgazione musicale. Questo istituto ha il dovere e l’obbligo di creare una nuova generazione di pubblico, portandola a conoscere e ad approfondire sia l’elemento musicale che il teatro parlato”: così scrive Perucci nel ‘72, all’alba di una variegata stagione produttiva che vedrà un rapido e continuo incremento della diffusione teatrale -anche con proposte audaci di titoli contemporanei e di recupero storico- secondo una concezione divulgativa ma anche di approfondimento, che nel corso degli anni distinguerà il “Pergolesi” a livello nazionale, non senza riavvicinare e ricreare un attento e affezionato pubblico locale. Come conseguenza diretta di una seria e costante continuità produttiva, si verrà poi solidificando, anno dopo anno, anche una ricca offerta di lavoro qualificato: un volano economico importante, che nel tempo ha stimolato in loco tutta una serie di nuove professioni e numerosi ope-ratori del settore -orchestra, coro, tecnici, cantanti- diventando il Teatro un punto di riferimento settoriale di tutto rilievo, centro di produzione con notevo-li risvolti territorianotevo-li di ordine economico sia per l’impiego diretto che per la ricaduta generale dell’indotto. Si può ben dire, quindi -e lampeggia in proposi-to la felice e modernissima intuizione del Gonfaloniere Pianetti del 1830- che si è così strutturato e compiuto il meccanismo positivo per cui una città, espri-mendo la sua tradizione culturale ne rinnova in sé i contenuti e li potenzia allo stesso tempo, innescando con ciò un circolo virtuoso che inoltre trasforma tale ricchezza di valori in prosperità economica: e così via reiterando il circolo…

- 181 -

L’impulso produttivo: orchestra, coro, tecnici

Il teatro non è solo cultura e spettacolo, ma anche lavoro: e il lavoro, nella con-tinuità, si raffina, si specializza, assume personalità sociale. È il caso dei tecni-ci, che formano cooperative, così come fanno i professori d’orchestra -fino ad allora assemblati solo per l’occasione- che dal 1983 si presentano ufficialmente e unitariamente come Orchestra Filarmonica Marchigiana, in seguito ricono-sciuta e finanziata dal Ministero come Istituzione Concertistica Orchestrale (I-CO); i coristi, invece, esistevano già come collettivo -Associazione Corale

“Bellini” di Ancona- fin dalla fine dell’‘800. Nel 1982 una lettera inviata al Ministero (oltre che a tutte le istituzioni e i partiti politici locali) firmata da una novantina di operatori dello spettacolo marchigiani -coro, orchestra, tecnici- lamenta come ormai da due anni “il Festival Rossiniano si serve per le masse di complessi interamente stranieri”, pur esistendo sul posto competenze e dispo-nibilità non impiegate. La denuncia, oltre a stigmatizzare quella scelta del na-scente ROF, esprime “la tristezza” per una “inconcepibile incongruenza”, chie-dendo scusa in conclusione “se siamo sembrati degli sciocchi e intransigenti nazionalisti, in realtà siamo cittadini che pagano le tasse e vogliono lavorare”.

Nelle foto: pagina precedente, davanti al “Pergolesi” nella serata inaugurale del 1968, con il pubblico che festeggia Mario Del Monaco dopo lo spettacolo;

qui sopra, la sala tirata a lucido -manca solo l’addobbo floreale- pronta per la première

- 182 -

La protesta non ebbe esiti concreti, essendo l’Ente pesarese svincolato da ogni obbligo circa la provenienza dei suoi scritturati, proprio per la sua natura di festival internazionale. Sebbene inefficace nel merito, la lettera testimonia tut-tavia l’entità della crescita locale di tutti i settori operativi che prendono parte alle stagioni d’opera, grazie allo stimolo produttivo continuativo offerto, fino anche alla graduale presa di coscienza della propria specificità nel panorama regionale del settore, che trova quindi il modo di costituirsi come soggetto giu-ridico. Per la verità, mentre l’esistenza dei “professori locali” da aggiungersi all’orchestra perlopiù composta da “forestieri” è da sempre attestata, quella di collettivi organizzati localmente risale almeno a fine Ottocento, quando tro-viamo nel Teatro traccia di attività di un “Corpo Corale Jesino”, nonché di una

“Società Cooperativa Corale e Orchestrale”; presenza attiva rintracciata anche in seguito, prima della Grande Guerra, connessa al nome del maestro Aurelio Coli. Nome che ritroveremo nel secondo dopoguerra, quando promuove e diri-ge l’Orchestra Filarmonica Stabile “G.B. Pergolesi”, attiva con parecchie ini-ziative e anche nell’organizzazione in proprio di qualche spettacolo lirico. Tra alterne vicende, essa risulta funzionante almeno fino al 1960, quando fa bella mostra di sé come orchestra ufficiale del Festival Internazionale dell’Opera da Camera. Infine, dopo l’avvento a Teatro di Tradizione, la solidità istituzionale dell’ente e la sua disposizione a sviluppare stimoli locali, creando l’humus cul-turale e produttiva per la crescita della risorsa professionale di settore pongono anche l’espressa necessità istituzionale della “costituzione di un’orchestra sta-bile per le programmazioni di musica sinfonica”, come afferma Perucci già nel 1972: riferendosi ad una specifica iniziativa in merito da parte del Comune di Jesi -mai concretizzata- grazie alla quale “approfondire il problema della cultu-ra musicale, portando la metà dei concerti progcultu-rammati alle scuole e alle fab-briche” e “avremo fatto così un enorme passo in avanti per portarci alla pari delle regioni in questo campo più preparate”.

Il nuovo avvio del 1968

Nel 1968 le serate passano subito a otto (dalle quattro del ‘67), per quattro tito-li (anziché due), con il contributo dello Stato di L. 2.300.000 a recita: che è quindi pari a 25.100.000 lire totali, comprese le maggiorazioni di sovvenzione che la Legge prevede per la proposta di opere contemporanee, come accade appunto in quell’anno. Il salto di qualità è innegabile: per celebrare l’evento, a maggio ha luogo un grande appuntamento con il massimo ente lirico italiano, il Teatro alla Scala di Milano, che porta al “Pergolesi” un Gala di danza con il suo rinomato Corpo di Ballo, arricchito da un’infinita serie di “stelle”, allora giovani ma che negli anni successivi diverranno l’empireo della danza

naziona-- 183 naziona--

le e internazionale: da Liliana Cosi a Carla Fracci, da Anna Razzi a Luciana Savignano e ad un’altra decina di nomi oggi “storici” (qui sotto, il manifesto).

La prima stagione lirica del nuovo corso da “Teatro di Tradizione” parte in quarta, con un leggendario Mario Del Monaco nei panni di “Otello”. In cartel-lone anche il grande repertorio, con Lucia di Lammermoor e Il Barbiere di

Si-- 184 Si--

viglia, nonché un’opera nuova in prima esecuzione assoluta, La lettera scarlat-ta di Berto Boccosi, dal romanzo di Hawthorne. Il successo è ampio, la novità delle cose elettrizzante, per tutti: benché il numero delle serate sia raddoppiato dall’anno prima (8 anziché 4), la presenza media serale del pubblico è in cre-scita -480- con un picco di 850 paganti alla seconda di Otello. Tra le varie per-sonalità accorse agli spettacoli, La lettera scarlatta vede la presenza dell’ambasciatore Usa in Italia, in omaggio al romanziere connazionale da cui si trae il libretto: visti i tempi (1968), non mancheranno davanti al Teatro mani-festazioni anti-americane.

Nelle foto: i protagonisti di “Otello”, da sinistra Cannarile Berdini, Morelli, Del Monaco, Perucci, Protti, Luccardi; contestazioni all’Ambasciatore USA, a Jesi per “La lettera scarlatta”

- 185 - 29.

Documenti correlati