La gestione della stagione d’opera continua ad essere impresariale, con elargi-zioni di contributo comunale molto contenute: dalle 100.000 lire per la stagio-ne del 1951 alle 350.000 del ‘53, per Otello. In quest’anno, la convenziostagio-ne stabilisce un’aggiunta di L. 50.000 più relativo spesato serale, ove l’impresa intenda, di sua facoltà, “allestire un’altra opera da rappresentare in una recita straordinaria”: sarà Butterfly, con “l’ottima esecuzione di Renata Scotto, gio-vanissima con un recente passato che è tutta una promessa”, scrive Il Tempo; in Otello “De Santis ha riscosso applausi ripetuti a scena aperta ed entusiasmato gli ascoltatori” e “Antonio Manca Serra nella parte di Jago è stato il baritono perfetto”. Scotto tornerà a Jesi a gennaio ’54 (foto sotto), in L’amico Fritz.
Per la stagione di settembre del ‘55 il contributo comunale passa a 500.000 lire -in programma La forza del destino- mentre nel gennaio medesimo per una re-cita straordinaria di Rigoletto si erano accordate appena 50.000 lire,
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scendo il sindaco stesso Pacifico Carotti che l’impresario Sabbatini “da tanti anni allestisce, pur con scarsezza di mezzi finanziari, spettacoli lirici veramente degni della grande tradizione artistica del Pergolesi”.
Sempre in mano agli impresari
Occorre ricordare che dopo alcuni anni di promozione locale da parte degli Amici della Musica -ma non di produzione- un tentativo di gestione autonoma va forse individuato nella stagione del 1950. Alle quattro recite in programma (tre di Gioconda e una di Butterfly) il Governo concede la sovvenzione, per un totale di L. 1.400.000: lo annuncia al Sindaco un telegramma del Sottosegreta-rio di Stato alla Presidenza del Consiglio, tal Giulio Andreotti… Allora le do-mande di sovvenzione statale si indirizzavano infatti alla Presidenza del Consi-glio dei Ministri - Direzione Generale dello Spettacolo: il Ministero del Turi-smo e dello Spettacolo, futuro destinatario, nascerà solo nel 1963. Il bilancio di quella stagione fu di Lire 4.200.000: con un deficit consuntivo di oltre 600.000 lire, nonostante la quota comunale di L. 500.000 e il detto contributo statale. Probabilmente proprio tale disavanzo, unitamente al mancato accogli-mento a Roma della richiesta di sovvenzione per il ‘51, fanno ritornare l’attenzione comunale sull’impresa Sabbatini, viste anche le ben diverse condi-zioni e i modi di coinvolgimento (minori) dell’ente locale che si possono de-durre dal raffronto delle cifre indicate. Ulteriori richieste di sovvenzione saran-no avanzate anche in anni successivi, sempre respinte, con vivo scorsaran-no di Ca-rotti che nella richiesta del ‘51 ricordava come essa fosse “sempre accolta negli anni passati”. Il mistero è sciolto da una lettera di Raffaele Venticinque, della Direzione Generale dello Spettacolo, al quale il Sindaco si era rivolto amiche-volmente per chiarimenti: “Il numero minimo di recite da effettuare -perché si possa essere ammessi a concorrere alle sovvenzioni statali- è di 4, non meno”, per cui Jesi (che ora ne programmava solo due) era automaticamente esclusa.
Inoltre, l’apporto dello Stato stava orientandosi verso il sostegno diretto ad un certo numero di imprese riconosciute (sistema lanciato in epoca fascista e in uso ancora oggi, integrato nella Legge 800 del 1967 che disciplina, da parte del Ministero, le attività musicali in Italia); imprese in grado così di coprire ampi periodi di attività, ben oltre le striminzite singole stagioni locali, che piuttosto venivano esse a rientrare nel circuito di questa o quella impresa. In tal senso la lettera è ben chiara ed anzi conferma che “per il periodo agosto-ottobre sono previste recite liriche a Jesi da parte di Impresa accreditata e di non cattiva fa-ma”: perché “per i piccoli centri (intesi come tali quelli che non possono assor-bire almeno le 4 recite) il criterio seguito è quello di affidare gli spettacoli a imprese o cooperative (compagnie di giro), per le quali le due recite qua e là rientrano nel quadro generale della più vasta gestione sovvenzionata”.
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Quanto alla programmazione, piuttosto che le “celebrazioni di passaggio” di questo o quel musicista -in genere di scarsa presa sul pubblico- più sentite e culturalmente rilevanti sono quelle di radice locale, come l’appuntamento per-golesiano del 1949 o quello spontiniano del ‘51: “Clima d’apoteosi. Il Teatro Pergolesi traboccava di passione e di folla”. “Piena riuscita di una serata di cui l’eco non cadrà. Gaspare Spontini torna a splendere nel cielo della musica ita-liana”, dichiara Voce Adriatica. Il 26 marzo, con grande riscontro sulla stampa, si conferì la cittadinanza onoraria al Duca Caffarelli -già proposta e concessa fin dal ‘49, a seguito del trionfo del Festival pergolesiano da lui stesso organiz-zato- e nell’occasione si celebrò Spontini per il centenario della scomparsa, con orazioni accademiche e l’esecuzione di alcune sinfonie da opere (Vestale, Nurmahal, Olimpia), nonché dell’intera opera Milton in forma scenica, nel tea-tro di Jesi e in quello di Maiolati. Per il resto, l’insistenza sul solito grande re-pertorio storico non poteva non creare qualche insofferenza, pur in presenza magari di grandi nomi tra gli interpreti. “Negli scorsi anni, più volte da parte del pubblico è stato chiesto di variare il repertorio”, annota Voce Adriatica nel settembre 1950, che due anni dopo, riscontrando come “la famosa stagione li-rica jesina in ultima analisi si riduce ad una o due opere ormai note e stranote”, sospira: “caro vecchio Teatro Pergolesi, quanta passione una volta suscitavi, mentre ora la gente s’accontenta di affollarti per ascoltare sì e no un paio di rappresentazioni all’anno”. “La tradizione locale non ha più mordente”, rincara la dose senza mezzi termini Il Tempo del 2 settembre 1953, ravvisando la crisi non tanto nell’inattualità dello spettacolo d’opera, quanto nella necessità di rinnovare il repertorio e soprattutto di avere “una stagione lirica allestita come si conviene e non a mezzo, ragione prima questa perché il Pergolesi non ri-chiama più la folla di un tempo”, anche per “l’esosità dei prezzi che non sono alla portata delle tasche del medioceto e degli operai, gli appassionati spettatori di massa”. Inoltre, contrariamente ad altri tempi “i ricchi non sentono più la bellezza di partecipare a tali manifestazioni, vivono, come molti nobili aristo-cratici jesini, nel loro reparto stagno, avverso da tutti e da tutto”.
Il Sindaco chiama a raccolta l’élite culturale
“La tradizione locale non ha più mordente”… Le motivazioni di questa vera e propria denuncia, avanzata dalla stampa, sono fatte proprie dal Sindaco Carot-ti. All’inizio del 1955 la riapertura del Teatro dopo alcuni restauri interni profi-la, non senza dure polemiche, la proibizione della sua concessione per balli e veglioni sociali: “Il Teatro Comunale G.B. Pergolesi sempre più e meglio si avvia ad essere una cosa sacra, intoccabile, come lo può essere quello che già altre volte abbiamo definito il Museo dei ricordi di un tempo ormai lontano”, commenta un po’ perplesso Il Messaggero. Infatti, la proibizione resta ancora
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per qualche anno solo un desiderio… Invece, in nome del concreto rilancio della struttura e di tutta l’attività culturale cittadina, il Sindaco scrive perso-nalmente a circa 150 concittadini, personalità tra le più attente nel campo dell’arte e della cultura, affinché si stringano attorno a quella istituzione e ne tornino a costituire un forte nucleo propulsivo come pubblico partecipe. “Ad-dio bella tradizione in cui il Teatro era intimamente vissuto da tutti gli strati della nostra cittadinanza, tanto appassionata al culto del bello”, segnala infatti Il Tempo; “oggi no, gli aristocratici jesini non si vedono più, non si appassio-nano più a questa o quella manifestazione artistica, così gli avvocati, i medici, i professionisti, i funzionari (…) tutti si sono tappati in casa o si interessano d’altro (…) mentre il popolo umile non è sordo al richiamo dell’arte, lo dimo-stra in ogni occasione il pubblico del loggione”. Il richiamo funziona: Rigoletto del febbraio ‘55 è un trionfo, “in una magnifica cornice di pubblico cittadino e della regione, fra lo sfolgorare delle luci di un Pergolesi restituito al decoro di grande tempio dell’arte”; “con vero piacere abbiamo notato la presenza allo spettacolo di gran parte dei cittadini che da tanto tempo non si annoveravano più tra coloro che frequentavano il massimo Teatro cittadino”. Così i commenti della stampa. Ormai la via è tracciata: quella dell’impegno e della qualità.
Coincide con l’arrivo a Jesi, nel ‘56, di un nuovo impresario, Franco Casavola Danese, ben conosciuto e stimato a livello nazionale. Attiva fin dal 1945, l’Impresa lirica “Casavola Danese” prima del suo arrivo a Jesi aveva agito in molti prestigiosi teatri: dal “Regio” di Parma al “Malibran” di Venezia, dal
“Municipale” di Reggio Emilia al “Sociale” di Mantova, “Ponchielli” di Cre-mona, “Coccia” di Novara; e poi “Verdi” di Padova, “Comunale” di Treviso,
“Sociale” di Rovigo e altri, con spettacoli di prim’ordine e quasi sempre senza sovvenzioni, per oltre 850 recite effettuate. Aveva inoltre organizzato anche tournées di successo in Cecoslovacchia, Spagna, Francia, Belgio.
Nelle foto, a sinistra il Sindaco Carotti, a destra l’impresario Casavola
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