• Non ci sono risultati.

COLPO DI SCENA MODERNO: LA LUCE ELETTRICA

Se nell’anno celebrativo spontiniano -1875- esso è ancora considerato un effet-to speciale di avanguardia tecnologica, il sistema a illuminazione elettrica de-collerà presto definitivamente quale dotazione teatrale consueta: “Debole la luce elettrica, poco illuminato il Teatro”, nota nel 1883 il cronista del giornale L’intransigente, con riferimento all’opera Faust di quel settembre; questo per via del “sistema di illuminazione col Lampadario nel centro, mentre un sistema più recente ha adottato i candelabri in ogni fila di palchi”. Comunque, secondo la conclusione stessa del cronista, Jesi che è “città moderna e civile, non tarde-rà certamente a effettuare questa elegante modificazione”.

Vampate in sala... a carico dell’impresario

Dal 1893 il nuovo apparato è già stabilmente funzionante, ma non manca di trovare ancora motivo di critica: “Il teatro presentato sotto il suo nuovo metodo di illuminazione fa un bell’effetto per i signori della platea, ma quei tapini che avessero l’ardire di sporgersi un po’ dai palchetti del 2° o 3° ordine o dal Log-gione riceverebbero in pieno viso una potente vampata”, scrive la stampa citta-dina. Anche il cronista dell’anconetano Ordine-Corriere delle Marche apprez-za molto il Teatro illuminato con la luce elettrica a incandescenapprez-za, con nota sin dall’ottobre 1886: “L’esperimento è molto ben riuscito ed auguro che la città intera sia presto rischiarata con quel sistema”. D’altro canto l’illuminazione, per il suo stesso carattere di attrattiva e primizia sociale, è parte importante del-la grandeur e del rilievo dello spettacolo in sé, cosicché ne riferisce espressa-mente uno dei punti del nuovo Statuto del Teatro (1884), quando tratta degli obblighi dell’impresa appaltatrice: “Sull’illuminazione del Teatro dovrà uni-formarsi a quanto verrà prescritto dalla Deputazione ai Pubblici Spettacoli”, dalla quale “verrà fissato il numero dei lumi occorrenti in proporzione della qualità degli spettacoli”, senza comunque dimenticare che “qualunque spesa

- 116 -

riguardante lo spettacolo sarà a carico dell’impresario”. La stessa quantifica-zione dell’uso e del costo della luce in Teatro ci è nota espressamente da un documento posteriore, con cui nel marzo del 1901 l’amministrazione risponde a precise domande rivoltegli in merito dal Municipio di Fabriano: “Per ogni spettacolo a seconda della sua importanza si stabilisce il prezzo serale dell’illuminazione, che però non supera le Lire 50. Si deve notare che la sala del Teatro, atrio e camerini sono illuminati a luce elettrica con impianto prov-visorio con n° 82 lampade”. Più cospicua invece quella del palcoscenico, che ne conta 114, tra bianche e colorate, suddivise in ribalta, quinte, bilance e ser-vizi vari; inoltre, “nel palcoscenico esiste un quadro regolatore per l’aumento o diminuzione di luce e per i cambiamenti di colore”. Il sistema, che “è ad incan-descenza, ma si possono avere anche lampade ad arco nel palcoscenico, secon-do l’esigenza dello spettacolo”, è costato nella totalità dell’impianto 3.000 lire.

Tra glorie e trionfi lo spettro della crisi

Ai trionfi artistici e d’immagine che nel ’75, nel nome del figlio illustre Gaspa-re Spontini, hanno segnato un picco di produttività teatrale e di affermazione dell’identità locale in quanto tradizione sociale e culturale, seguirà presto un altro atto di omaggio e di orgoglio da parte della Città, intitolando il Teatro al nume tutelare del luogo -Pergolesi- nel 1883. Così, dopo quasi un secolo di at-tività in crescendo, la sovrapposizione fra Teatro e identità socio-culturale del-la comunità sembra compiuta. Invece, quasi a ripetere il paradosso del 1798, quando il Teatro a lungo e fortemente voluto dai nobili venne inaugurato dai rivoluzionari repubblicani, quei momenti di apparente affermazione coincidono con una progressiva crisi: di idee, di sostanze, di gusti. Da un lato il cartellone lirico si è venuto sclerotizzando sul repertorio romantico e del primo Verdi, mostrando, tranne poche eccezioni, un forte ritardo verso i nuovi sviluppi

- 117 -

dell’estetica musicale del melodramma: Faust arriva dopo oltre 20 anni dalla prima, Carmen dopo 16, Guarany dopo 22, il Verismo di Cavalleria Rusticana

“solo” dopo 5 anni, nel 1895; gli stessi capolavori verdiani della maturità, quali Don Carlo, Macbeth, Aida e poi Otello dovranno aspettare il nuovo secolo.

Dall’altro, si evidenzia una progressiva carenza economica, come dimostra l’aumento di stagioni in cui si programma solo prosa, notoriamente meno di-spendiosa dell’opera. Ma certo non è ininfluente il gusto dell’effimero che ver-so il volgere del secolo si farà sempre più sentire: arriva la moda dell’operetta, più attuale e più fruibile senza difficoltà; ma arrivano anche illusionisti e spet-tacoli di varietà, oltre alla nuova arte, il cinema. Esso fa il suo ingresso in Tea-tro proprio all’inizio del secolo, nel 1900. All’arte teatrale tradizionalmente intesa aveva intanto già portato i suoi duri colpi un’ampia serie di nuovi intrat-tenimenti, più consoni ai tempi nuovi e forse anche ad un pubblico più ampio e più distratto. Tra circo equestre, spettacoli ginnici, marionette, serragli di ani-mali, dimostrazioni scientifiche, giostre, passeggi di truppe, caffè chantant, sfi-late carnevalesche, in città è tutto un brulicare di queste nuove meraviglie: che in parte sono gli stessi o i corrispondenti aggiornati divertimenti popolari di sempre, ma in parte sono nuovi stimoli che conquistano un pubblico forse più desideroso che in passato di svaghi inconsueti e poco impegnativi.

In nome di Pergolesi

Come votato, dunque, e stabilito all’unanimità nell’Adunanza Generale dei si-gnori condòmini del 23 settembre 1883, dal 30 dello stesso mese –corrente la stagione d’opera, che aveva in scena una discreta edizione di Faust– il Teatro

“Concordia” cambia nome, venendo ad essere intitolato alla gloria musicale jesina di Giambattista Pergolesi. C’è da dire che il lodevole e significativo ge-sto segnava piuttoge-sto l’inizio di un percorso di recupero del musicista alla tra-dizione culturale locale, che non il suo atto simbolico conclusivo, come si po-trebbe immaginare da una scelta così caratterizzante da riguardare il nome stes-so di un’istituzione. Per la verità, infatti, come stes-sottolinea il musicologo jesino

- 118 -

Radiciotti, fino ad allora “la patria del grande maestro si è mostrata così poco sollecita e premurosa di onorarne la memoria”: prima dell’intitolazione si ha traccia di un tale senso di tributo solo nel medaglione con la sua effige posto nel 1835 sul fronte di uno dei palchi di boccascena del Teatro (nell’ambito dei lavori di ristrutturazione dell’epoca, che avevano visto la realizzazione dell’arco scenico –prima assente- e quindi dei palchi di proscenio, le “barcac-ce”), cui segue un tiepido risveglio di interesse dai primi anni ‘70 del secolo stesso, quando viene lanciata l’idea di erigergli un grande monumento, che pe-raltro vedrà la luce solo nel 1910. Comunque sia, dalla data del 30 settembre 1883 si volta pagina e nell’apposita serata celebrativa che saluta il Teatro

“Pergolesi” tutto si fa secondo ampio e aulico programma. Non mancano ora-zioni commemorative, lancio di volantini dal loggione, né un momento musica-le, seppur breve, forse un po’ troppo stringato ed “essenziale”, visto il notevole rilievo –anche simbolico- dell’evento: l’impresa della Stagione d’Opera in cor-so “si offre spontaneamente di far cantar la canzone Siciliana”, brano pergole-siano tanto famoso e popolare fino a tempi recenti, ma oggi impietosamente decretato come non autentico dalla ricerca musicologia più attenta.

Tuttavia, la voglia di grandezza che nasce dal desiderio di valorizzare la pro-pria tradizione –sentimento incarnato nel nuovo nome della struttura, che ora la caratterizza e distingue- nulla può contro una congiuntura storica ed economica come quella che alla fine del secolo si prospetta per il Teatro di Jesi: o, magari, forse è proprio questo sentore di crisi, cui si tenta di reagire con la sferza dell’orgoglio locale, a motivare e dare corpo a quella celebrazione dell’identità culturale che è il cambio del nome.

Nelle pagine, immagini del Teatro oggi; qui sopra, la facciata in una foto di fine ‘800

- 119 - 17.

Documenti correlati