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Agli albori della storia della Piana

Al tempo del Repetti si disquisiva di storia e topografia antica affidandosi soprattutto ai testi classici (greci e latini) e nonostante i numerosi e fortuiti ritrovamenti le ricerche ar- cheologiche erano assai limitate, ancora legate al collezionismo, retaggio di pochi possidenti terrieri e nobiluomini.

Il consesso di tali dibattiti era alimentato dalle Accademie, ad esempio quella fioren- tina dei Georgofili, con la quale lo stesso Repetti aveva avuto molteplici contatti, persino rifiutando un incarico di prestigio non molti anni prima di accingersi alla pubblicazione del

suo immane lavoro sulla Toscana granducale.

Nello specifico si trattava di una querelle indubbiamente legata – come detto - alle origini preromane, umbro-pelasgiche e etrusco-tirreniche dei ter-

ritori posti a nord dell’Arno.7 Tuttavia, nonostante gli sforzi di alcuni au- torevoli studiosi, come ad esempio l’Inghirami, la posizione dominante

restava rigorosamente ancorata alla letteratura storica, appartenente alla conoscenza e alla divulgazione degli autori del periodo classico e tar- doantico, questi quasi tutti legati dal comune denominatore di celebrare

Roma, caput mundi e dalla reiterata dimostrazione del primato imperiale post annessione dei territori.

Tutto questo a valere, in particolare, per le terre e le città dell’Etru- ria Settentrionale (Florentia colonia, Faesulae colonia, Luca colonia, ed anche Pistorium vel ad Pistores non faceva eccezione). Certo non pote- va essere del tutto negata la frequentazione protostorica di altri popoli prima della conquista romana, specialmente la presenza forte nell’Età Arcaica degli Etruschi che qui avevano lasciato tracce rilevantissime, ma non tali da corrispondere completamente alla loro supremazia e forse al più consolidato modello territoriale, legato piuttosto al tempo della loro decadenza, periodizzata come età Ellenistica.

Del resto, in queste regioni i segni archeologici della plurisecola- re colonizzazione etrusca, sopravvissuti alla storia, non erano parago- nabili a quelli fisicamente riscontrabili de visu nell’Etruria Meridionale e Centrale, dall’area maremmana a quella cortonese-chiusina.

Se questo ragionamento sembra valere addirittura per l’egemo- ne popolo etrusco figuriamoci per gli altri. Ogni possibile, eventuale precisazione degli ambiti d’influenza nei confronti degli insediamenti dei popoli appenninici che precedettero o si sovrapposero con le etnie tirreniche nell’occupazione di quei territori, appare quindi come un prezioso contributo. D’altronde la conquista romana era avvenuta in una fase di progressivo declino di quelle lontane stirpi, perché fin dal IV sec. a.C., le calate gallo-celtiche dagli Appennini avevano alquanto modificato il quadro dei popolamenti preesistenti. Nelle scritture infat- ti si appellavano come Liguri i primi quanto i secondi. E così veniamo a sapere che Roma strappò le terre a nord dell’Arno, così come descritto dagli storici greci e latini, dalle mani delle gentes dette Ligures allora insediate, quindi soprat- tutto nella periodizzazione compresa fra il III e il I sec. a.C. Ma chi erano queste nuove tribù? Da dove provenivano? Esisteva o meno una comune ascendenza con le popolazioni da più tempo insediate in quei luoghi? Sappiamo da Tito Livio della fierezza di queste tribù “durum in armis genus”. Nella propria organizzazione sociale, i Liguri mantenevano, analogamente ad altre stirpi pelasgiche, terre ad uso comune e altresì praticavano, in un preciso ordine ge-

Uptat amconulputat ut lutpate te min henibh eugiam vullaor illamet ipit, sed euisNim ipisis nos aliqui blaore er sustie conse modolum

L’OMBRONE PISTOIESE, IL FIUME CHE NON C’È

Giuseppe Alberto Centauro

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rarchico, attività di caccia e di pesca; ma soprattutto intorno a queste pratiche essi svolgevano, così come gli Umbri, i loro più importanti riti collettivi e le celebrazioni religiose: le divinità erano per lo più rappresentate dalle forze della natura, da rapportare secondo le più antiche tradizioni anatoliche e mesopotamiche alle costellazioni celesti e gli astri in genere. Le forze della natura erano specialmente legate alle acque: fonti, fiumi, stagni e paludi, ma anche alle montagne, laddove avevano origine i corsi d’acqua, dove insistevano le grotte carsiche e gli anfratti ospitanti le segrete risorgive.

I Liguri, al pari degli Umbri, erano certamente un antichissimo popolo, entrambi ca- ratterizzati ab origine dalle stesse origini etniche, ma data la scarsità di riscontri storici che li riguardano, resta ancora assai incerta la loro provenienza. Razza ariana (o indoeuropea) per gli antropologi del ‘900 se rapportata agli albori della civiltà umana (dal paleolitico al neo- litico), o piuttosto di stirpe mediterranea se seguiamo un’anamnesi evolutiva meno remota, cronologica nell’età dei Metalli (dal Rame al Bronzo fino al Ferro).

Dagli scavi archeologici risulterebbe che il loro arrivo nelle terre italiche, già occupate dagli Umbri, fosse avvenuto intorno al XVI-XV sec. a.C., dopo l’abbandono delle zone palu- dose del delta del Rodano (Camargue), precedentemente abitate. Sappiamo anche che, come i Liguri, la stirpe conosciuta con l’antroponimo composito di Umbri Camerti proveniva da quelle stesse aree, considerando l’appellativo Camerti piuttosto come un limnonimo (dal fr. Carmargue, o piuttosto da Camarga in occitano o lingua d’oc).

La presenza in Italia dei Liguri, ma dovremmo dire analogamente per gli Umbri Ca- merti, riguardava le valli del centro peninsulare, nella pianura del Po e nell’Appennino Set- tentrionale per i primi, più a sud, tra Toscana, Umbria e Alto Lazio, per i secondi. C’è quindi da chiedersi se il nome di quelle popolazioni derivasse piuttosto dal nome delle terre da loro occupate. In ogni caso, per entrambe, si determina un ricongiungimento a queste latitudini con le popolazioni primigenie della loro stessa etnia, provenienti dalle prime diaspore medi- terranee, o pelasgiche (dall’età del Rame al Bronzo Antico).

Dal V sec. a.C. gli Umbri, alias Liguri, furono progressivamente cacciati da queste ter- re dalla avanzata dei Galli, gruppi etnici appartenenti anch’essi ai ceppi che i greci avevano classificato come celtici8 e che andavano ad occupare, nel corso del III secolo, anche il vasto territorio compreso tra l’Arno ed il Magra che oramai gli Etruschi avevano praticamente ab- bandonato dopo la caduta dell’Etruria Padana (IV sec. a.C.).

Una nuova babele dunque si era generata al tempo della definitiva conquista roma- na, nelle alterne vicende che cancellavano definitivamente i segni dell’epopea delle origini, ovvero di un capitolo storico estremamente importante per comprendere la vicenda stessa della civilizzazione del mondo occidentale, dalla prima età del Bronzo all’incipit del età del Ferro (periodo Villanoviano, o proto-etrusco) che sarà lungamente dominato dalla potenza del mondo Etrusco (dal XI-X sec. fino all’età Tardoarcaica e Classica).

Sulle fasi storiche precedenti alla romanizzazione era di fatto calato l’oblio, determi- nando come prima conseguenza l’impossibilità di identificare le antiche tribù pelasgiche, prima dominate e poi dal VI-V sec. alleate con gli Etruschi. Si tratta di tribù insediate nei siti d’altura (pagi) che ancora vivevano spicciolate nelle valli interne e nelle pianure settentrionali, confinate dalle fiumane appenniniche. Fiumi come l’Ombrone erano perciò vitali percorsi di migrazione ed approvvigionamento per le popolazioni transumanti per la conduzione pasto- rizia dai monti fino alle coste tirreniche, le antichissime genie degli Umbri.

Storici come l’arcade Polibio (206-124 a.C.), che sarà poi la principale fonte utilizzata da Tito Livio, identificò come Ligures tutte le popolazioni del settentrione appenninico fino ad Arezzo (Storie II, 16), che furono in gran parte sottomesse da Roma agli inizi del II sec. a.C.

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OMBRONE PISTOIESE

Un fiume nella storia

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Aldilà della genericità di quel riconoscimento, il grave omissis compiuto dall’autore delle Storie, descritte per quanto attiene le vicende di Roma dal 264 a.C. in avanti, è l’avere sottaciuto sulle più antiche popolazioni, addirittura confondendo le antiche etnie e le culture provenienti dalle terre del nord-ovest con le tribù gallo-celtiche, entrambe descritte come Liguri. Semmai, al riguardo delle più antiche etnie, si può piuttosto rilevare una comune remotissima matrice linguistica che ci fa risalire alle prime diaspore mediterranee, per la qual cosa il più vetusto sostrato ligure appare perfettamente coincidente con quello umbro. A dimostrazione di questo assunto, idronimi come Ambra, Ombrone, Sambra, zambra, Sam- bro, Lambro ecc. sembrano appartenere al sumero Ambar, a sua volta derivato come senso compiuto da accadico appāru (nel significato di palude, stagno)9.

La matrice nordica parrebbe confermarsi nell’ulteriore lettura interpretativa di Giovan- ni Semerano che associa il nome Ombrone anche ai Germani Ambrones, agli Inglesi Amber, Humber, “denotando genericamente - come dice l’autore - “fiume” in Inghilterra”10, ma non

possiamo fare a meno di osservare come tale idronimo rappresenti con tutta evidenza il pale- oetnonimo degli Umbri. Fermo restando che questa analisi comparativa sia corretta, stiamo assistendo ad una sorta di “transonimizzazione”, ovvero al trasferimento da una tipologia onomastica all’altra, con mutazione del significato stesso del nome.

In questo caso, tuttavia, la primogenitura apparterebbe senza dubbio all’idronimo stabilito nel significato originale del nome (palude, stagno), da questo poi trasposto all’et- nonimo Umbros, in quanto abitanti delle acque, i quali l’avrebbero importato nel loro pere- grinare nelle regioni del Nord Europa, assumendo successivamente i connotati di una nuova espressione linguista, riconoscibile come prototipo di una presunta lingua ligure.

A tale proposito è interessante notare come il nome Ambra, associabile foneticamente in modo indiscutibile a quella popolazione, costituisca anche il nome della resina fossile ambitissima nell’antichità, importata dall’area baltica negli empori del Mediterraneo e da questi nel Vicino Oriente. Gli Umbri, come popolo migrante, sarebbero identificati anche come i primi mercanti di questa preziosa e rara resina che costituiva ritualmente l’anello di congiunzione tra la natura minerale e quella organica, il passaggio dalla vita all’Aldilà. Ma allora Ambra in quanto sinonimo di Umbro testimonia l’estensione del significato della matrice onomastica. Nel Valdarno aretino le sorgenti del torrente Ambra distano poche centi- naia di metri da quelle del fiume Ombrone che, transitate le province di Siena e di Grosseto, sfocia nel mar Tirreno: lungo percorsi paralleli a questi fiumi, senza soluzione di continuità tra l’Arno e il mare, si snodavano i tratturi delle transumanze utilizzati da quelle antiche popolazioni.

L’ambiguità onomastica che ne deriva appare palese, a meno che non si associ all’et- nonimo Umbros il trasporto della preziosa gemma, fino a divenire quella sinonimo del pri- mo. In effetti gli Umbri, in quanto popolo transumante, calcavano già in tempi lontanissimi le grandi rotte europee, per questo da abitanti dei fiumi, s’identificarono con il principale elemento di interscambio da loro veicolato, l’ambra appunto, fino ad identificarvisi.

Tornando al nostro territorio raccontato nella storiografia classica, si può desumere che nel descrivere le campagne militari transappenniniche condotte dalle legioni romane, si fosse mostrato esclusivo interesse per le tribù allora belligeranti (di stirpe ligure/ gallo- celtica). D’altronde gli Etruschi avevano lasciato il dominio di quei territori dalla metà del IV sec. a.C. in poi, già confinandosi a quell’epoca al di là dell’Arno dove erano le loro grandi roccaforti d’altura (Fiesole e Volterra su tutte), mentre gli Umbri e le etnie a loro associate, ad esempio gli Umbri Camerti, perduto, a nord dell’Arno, l’appoggio dell’alleato etrusco, si erano ritirate in ambiti territoriali più circoscritti, distribuiti qua e là, a macchia di leopardo, principalmente a sud-est dell’Arno fino alle pendici dei laziali Monti Cimini.

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