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Il mito negato

Insieme all’analisi etimologica vive sempre una leggenda che si accompagna con le origini. Per l’Ombrone pistoiese, al pari del significato perduto del suo nome, anche il mito risulta cancellato. D’altronde la lettura toponomastica è un’analisi irrinunciabile, necessaria- mente da produrre, che si tratti di verità storica da confermare o di leggenda da riscoprire.

Ritornando sul tema del “mito negato” si osserva come, nell’impossibilità di conoscere le ragioni delle allusive motivazioni addotte del Repetti, bensì solo di presumerle, si possono comunque fare alcune riflessioni di carattere generale.

Si ritiene infatti che queste ragioni siano collegate ad una più vasta ed annosa questio- ne storiografica, avendo a che vedere, come nel caso della fondazione di Firenze, con l’incipit della romanizzazione della Piana Fiorentina-Pratese-Pistoiese.

Per tutto il territorio afferente al bacino idrografico dell’Ombrone, dalla sorgente all’immissione in Arno, ignorando il dominio etrusco, la storia sembra avere inizio, come per molte altre parti dell’Etruria Settentrionale, solo dopo la caduta dell’Etruria Costiera e la progressiva estensione del dominio di Roma sulle terre a quel tempo ( ndr. siamo nel III sec. a.C.) occupate dai Liguri. In particolare, per il territorio pistoiese, risaliamo al tempo, un secolo più tardi, delle prime campagne militari che videro le legioni romane avverse alle riottose popolazioni appenniniche dei Friniati.

La storia antica di Pistoia e del suo territorio, almeno quella scritta sui testi classici che sono giunti fino a noi, pare quindi prendere corpo proprio con quelle aspre vicende bellicose, sviluppatesi per il possesso dei territori appenninici, tra il 179 e il 175 a.C.

Siamo al tempo della deduzione della colonia ad Pistores, dalla quale prenderà forma la città romana. Queste dispute si protrarranno fino alla completa assoggettazione dei territo- ri collinari appenninici. In realtà, per una completa normalizzazione dei territori si dovranno attendere gli esiti delle guerre sociali con le devastazioni sillane e, pochi decenni più tardi, la definitiva resa dei nuovi insorti repubblicani, con la capitolazione, nel 62 a.C., di Lucio Ser- gio Catilina e la conseguente perduta autonomia di Fiesole, ultimo baluardo etrusco a nord dell’Arno, che lo aveva accolto. Si tratta quindi, come si può osservare, di un lasso temporale di poco più di un secolo che ci divide ex ante dal periodo protostorico, oggi esplorabile solo attraverso le scoperte archeologiche e l’assetto del territorio storicamente documentato.

OMBRONE PISTOIESE

Un fiume nella storia

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Non ci resta allora che affidarsi alla lettura dei segni del territorio, seguendo in special modo i tracciati dei fiumi, l’orografia, la toponomastica e (perché no?) le storie che si sono tramandate attraverso la tradizione orale veicolata dal mondo contadino locale.3

Eppure dando credito a questi racconti e ai segni impressi nei luoghi scopriremmo, per esempio, che l’Appennino tosco–emiliano era stato la sede di un grande centro oracolare, tra i più importanti del Mediterraneo, al pari di quello di Dodona sul monte Tomaro, di Delphi sul monte Parnaso, di Delo sul monte Cinto. L’omphalos4 di Montovolo a Grizzana Morandi

(Bologna) indicherebbe la presenza di un santuario etrusco, posizionato in corrispondenza di un punto geodetico primario (appunto una sorta di “ombelico del mondo”), collegato ai principali luoghi dell’antichità attraverso il volo di piccioni viaggiatori, messaggeri per gli Aùguri e gli Aruspici; così almeno racconta Erodoto.

La presenza di antichi tratturi e la contemporanea abbondanza delle acque della Mon- tagna Pistoiese introducono tante altre leggende nate intorno ai valichi appenninici e ai suoi fiumi, Ombrone in testa che si volle direttamente creato dal dio Giano, l’etr. Ani, il lat. Janus (Divum Pater = padre degli dei).

Una questione, quella delle origini del territorio pistoiese, rimasta troppo a lungo sospesa per la mancanza di chiari punti di riferimento e resa alquanto contraddittoria, forse perché sempre rapportata a periodizzazioni molto tarde, collocate cronologicamente già alla fine dell’età del Ferro. Tuttavia, svariate ipotesi da taluni oggi definite “eterodosse”, sulle origi- ni pelasgiche del territorio, quindi ancor prima dell’arrivo dei Tirreni e dei Romani nell’Etru- ria Settentrionale, erano state formulate già nei primi decenni dell’800. Teorie fondate sulla scorta di storie remote, ricordate sia pure in modo sporadico dai cronisti fiorentini del ‘300, su tutti, dal Villani nella sua Cronica. Un punto di vista quello del Villani che contrastava la visione “romano – centrica” della fondazione di Florentia e della stessa colonizzazione della Piana Fiorentina5.

Queste nuove interpretazioni ottocentesche, tuttavia, si basavano più che sui labili ricordi medievali, sulle reminescenze umanistiche e neo-classicistiche, nonché sulla sacralità e sui simbolismi radicati nei riti dedicati alla Madre Terra e alle divinità pagane del mondo etrusco, purtroppo confusi in una dimensione esoterica e strumentalmente settaria.

Altro sostegno ai miti antichi derivava dalle memorie e dai fasti della famiglia Medici che aveva posto al centro della storia della Toscana gli splendori dell’antica Etruria al fine di esaltare, unitamente alla primato anagrafico della nobiltà del casato, il potere e il diritto sovrano acquisiti (Magni Duces Aetruriae).6

Tuttavia furono le nuove scienze post illuministiche, alimentate dagli studi di una ri- nascente etruscologia che spostava l’area dell’interesse dal mero collezionismo a quello dello studio della topografa antica dei territori, i veri “fattori scatenanti” del nuovo vivace dibattito in atto, con argomenti in grado di catalizzare anche l’attenzione di altre discipline.

Una querelle quindi, quella delle origini, che già nei primi decenni dell’800 si dibatte- va con ardore ma che, a tutt’oggi, appare non del tutto risolta.

Si può dire che un buon modo per dipanare la complessa matassa di questa storia non scritta è riabilitare nel modo giusto i miti (compresi quelli finora negati) considerando le verità che in essi si conservano e soprattutto osservare la natura dei luoghi, in primis la distribuzione territoriale delle risorse primarie, come la presenza delle acque, dalle sorgenti ai percorsi delle varie fiumane, ambiti d’eccellenza per la formazione dei primi insediamenti umani. Nell’800, agli albori dell’archeologia scientifica, già si discuteva animatamente sulle occupazioni primordiali dei luoghi, passando dall’etimologia dei toponimi al diretto confron- to coi reperti, specie ceramici, che emergevano durante le lavorazioni dei campi che, concen- trandosi talvolta in precisi spazi, rendevano opportuni scavi di accertamento.

Uptat amconulputat ut lutpate te min henibh eugiam vullaor illamet ipit, sed euisNim ipisis nos aliqui blaore er sustie conse modolum

L’OMBRONE PISTOIESE, IL FIUME CHE NON C’È

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