Prima di esplorare le connessioni del fiume con il territorio, seguendone il percorso, occorre ribadire ed ancor meglio precisare che quanto si osserva oggi del tracciato del fiume non corrisponde affatto all’antico alveo torrentizio, radicalmente modificato già in epoca medievale, poi ulteriormente rettificato in epoca moderna per mitigare al fine di mitigare gli effetti rovinosi di quelle che ancora il Repetti non esitava a definire come le “rotte devasta- trici”50. Nonostante questo difficile rapporto e “laborioso impegno” sopportato nel corso dei secoli i pistoiesi sono debitori nei confronti dell’Ombrone: lo furono le economie primitive, lo sono state quelle medievali e moderne, lo sono quelle contemporanee, di certo lo saranno le future51.
Lo stretto collegamento con gli antichi mestieri dei fabbri e dei mugnai, quelli legati all’arte della lana, del cuoio ecc. e, più in generale, lo sviluppo dell’economia pastorale ed agricola, si sono mantenuti inalterati per centinaia e centinaia di anni, legandosi indissolubil- mente con la risorsa idrica e, soprattutto, con l’energia ricavabile imbrigliando e canalizzando i torrenti appenninici, nella triplice funzione di frenare l’azione erosiva e devastatrice causata dalle frequenti alluvioni, di ridurre l’estensione delle zone palustri della piana e, non ultima per importanza, di fornire la necessaria forza motrice per alimentare mulini e frantoi e aziona- re ruote, mole, magli e vari altri strumenti di lavoro anche all’interno delle prime officine mec- caniche e delle ferriere alimentate dagli acquidocci e dalle gore rifornite dai corsi d’acqua.
La permanenza di una fitta rete di mulini, gualchiere ed altri opifici utilizzanti la forza idraulica testimonia la secolare tradizione locale, come confermano gli Statuti medievali delle diverse corporazioni artigiane52.
L’arte molitoria è connaturata con l’origine stessa della città, che da quella prende il nome: saperi antichissimi che ancora una volta si rifanno alla civiltà etrusca. Oltre alla ma- cinazione delle granaglie, al frangere delle olive, alla frantumazione e riduzione degli inerti, la forza motrice assicurata dall’acqua canalizzata nelle gore di adduzione e imbrigliata entro ben strutturati margoni garantiva, muovendo mantici e meccanismi vari, il funzionamento degli impianti fusori per la riduzione dei metalli. Una tecnologia questa che rimarrà a lungo invariata, perdurando per tutto il medioevo fino all’età moderna, al tempo della sostituzione della forza idraulica con le centrali elettriche.
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L’OMBRONE PISTOIESE, IL FIUME CHE NON C’È
Giuseppe Alberto Centauro
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Dall’archeologia classica all’archeologia medievale e moderna ci si muove in un per- corso millenario. La presenza copiosa delle acque e delle risorse minerarie ha forgiato senza soluzione di continuità il territorio pistoiese, dalle colline alle valli. Si è creato intorno ai torrenti e alle deviazioni artificiali (gore, canali ed acquidocci) un paesaggio di grande sug- gestione, completato da dighe, sbarramenti, chiuse, bottacci, calloni ecc., in un’immagine suggestiva che dal contado si trasferiva fin dentro la città.
L’ambiente naturale del fiume si connotava in simbiosi con le attività umane. Ed an- cora una volta l’idronimia testimonia quanto precoce fosse stato questo speciale rapporto: ad esempio il torrente Maresca, originato dal Rio Forconale e del Fosso Mandriacci, nasce in quella sella appenninica che contrassegna un valico favorevole al transito delle merci e dei me- talli dal Tirreno all’Adriatico, naturale spartiacque tra le valli di Lima e del Serchio con quelle dell’Ombrone e del Reno. L’etimo dal significato in parte oscuro, cela il segreto dell’origine nella composita locuzione (mars = città, āşū = elevato; da trad. come “città in alto”) che richia- ma il poleonimo Pietramarina, acropoli etrusca sul Montalbano.
La presenza abbondante di acqua ha favorito l’ampliamento, nel XVI secolo, di un’an- tica ferriera, atavico retaggio del luogo con i suoi magli in legno e con il meccanismo dentato
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mosso dall’acqua del torrente, la quale ha determinato la fortuna in epoca moderna del na- scente complesso industriale della S.M.I. sorto nella spianata di Campo Tizzoro.
Nel medio corso dell’Ombrone, il torrente Vincio di Montagnana, tributario in riva destra, riprendendo antiche tradizioni, alimentava un gran numero di mulini ed alcuni opifici mossi dalla forza idraulica. Naturalmente troverete approfonditi questi temi nello specifico saggio di Giuseppe Guanci contenuto in questo volume.
Una menzione però particolare deve essere fatta per la ferriera del Vincio che, pur se documentata dai primi anni dell’800, deve le sue origini in tempi assai più remoti, quando vi si lavorava l’ematite elbana. Passata in proprietà ai fratelli Vivarelli - Colonna, maggiori imprenditori siderurgici del tempo, fu completamente rinnovata e dotata di due fucine.
Nel 1828 la ferriera del Vincio impiegava sette lavoranti con una produzione di 300.000 libbre di ferri sodi53. L’opificio è ancora ricordato nel censimento industriale del
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Granducato del 1850 e confermato nei successivi inventari e descrizioni delle manifatture pistoiesi. Questo singolare impianto ha continuato a lavorare anche dopo l’ultima guerra: lo troviamo ancora in uso per le attività di fabbro ferraio fino alle soglie del XXI secolo54.
Le trasformazioni ambientali post medievali hanno prodotto da un punto di vista pae- saggistico la perdita dei segni territoriali originari; Al riguardo si deve riconoscere che questi opifici hanno arricchito i giacimenti culturali che rappresentano i capisaldi del patrimonio dell’archeologia industriale pistoiese.
In ogni caso, gli alvei del torrente principale e dei suoi tributari, dopo i secolari adat- tamenti, sono molto diversi dal loro stato originario.
Tuttavia è il massiccio inquinamento attuale, più del mutamento paesaggistico, a co- stituire il fattore ambientale più critico: i corsi d’acqua nei percorsi a valle sono ridotti a collettori fognari a cielo aperto, raccogliendo i reflui urbani, industriali e provenienti dalle attività vivaistiche che occupano circa 3.000 ha di terreni. In particolare, le acque di risulta dell’irrigazione, alimentate attraverso pompaggio dai bacini artificiali di raccolta delle acque piovane, ma successivamente valutate nei flussi misurati nei residui di falda, sono cariche di sostanze nocive i cui effetti sono solo in parte mitigati dalle chiare acque provenienti dalle innervate coste appenniniche, dai versanti orientali del Serravalle e dalle pendici settentrionali del Montalbano55.
Un’ampia cornice semicircolare disegna il fiume al limite occidentale della piana pi- stoiese, come costretto a questa lunga parabola involutiva dall’anfiteatro collinare, che gli preclude quella che sarebbe stata la sua naturale via al mare.
L’Ombrone, oltrepassata la città di Pistoia, volge innaturalmente ad est-sud-est, asse- condando le residuali modeste pendenze dei terreni del fondo vallivo, ricevendo tuttavia in riva destra le copiose acque dei molteplici corsi d’acqua a regime torrentizio, in ordine: il Vin- cio di Brandeglio, il Torbecchia, il Vincio di Montagnana, il torrente Stella che, da solo, dopo la rettificazione avviata nel XIII secolo, drena per oltre 21 chilometri i pendii “etruschi” del Montalbano56 ed ancora più a valle, il Furba, il Collecchio e il rio Montiloni. Da un punto di vista paesaggistico le colline del Montalbano, estese nelle province di Firenze, Prato e Pistoia, sono il frutto di una plurisecolare modellazione ambientale, legata all’abbondanza di acque ruscellanti, qui testimoniate dalla presenza in altura di fonti e sorgenti.
Il lungo processo di terrazzamento e modellamento dei versanti, lasciati largamente selvosi, nonostante gli usi agricoli moderni, è iniziato in epoca etrusca come ancora oggi testimoniato da un gran numero di siti e di necropoli57.
Nel suo ultimo tratto, l’Ombrone rappresentava per gli insediamenti etruschi posti in destra idrografica, il fiume sacro, deputato, al pari del torrente zambra con le necropoli di Palastreto (Monte Morello), ad ospitare le aree sepolcrali e con esse le grandi thòloi che si possono intercettare traguardando al loro confine estremo il cardo massimo (plateia) e il decumano maggiore (stenopoi) dell’antica metropoli bisentina.
A sottolineare la sacralità di queste acque è interessante notare che il significato stesso dell’oronimo Montalbano si associ indiscutibilmente alla presenza copiosa dei ruscelli. Infatti dal toponimo Albano deriverebbe, come indicato da Semerano “l’elemento primario, l’acqua, da Albula, antico nome del Tevere e di altri sinonimi come il Piceno, sino al germanico Albis, l’Elba, antico germanico Elf, Elve, dalla quale base è anche il gallico Albis, Aube”58.
Non di minore rilevanza da un punto di vista toponomastico, è l’etimologia dei vari af- fluenti dell’Ombrone (quelli sopra citati, come del resto gli altri della sponda sinistra, Brana, Bure ed Agna, oggi riuniti a formare un unico scolmatore finale: il torrente Calice): ad esem- pio, l’idronimo Vincio, corrispondente ad accadico (w)īnu = sorgente con la componente īku = argine, da cui “acqua sorgiva arginata”; oppure, con riferimento ai caratteri morfologici,
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l’idronimo Bure (da acc. Būru = borro) 59. In sinistra idrografica, in territorio pratese, oltre il torrente Calice, alimentano l’Ombrone numerosi fossi, come il Fosso di Iolo (che canalizza il torrente Bardena), la Filimortula e la fitta rete delle “gore” alimentate dalle acque del torrente Vella (gora di S. Giusto) e, soprattutto, dal fiume Bisenzio, captato dal “Gorone” al Calvalciot- to di Santa Lucia60.
Bisogna dire che dopo le canalizzazioni d’epoca pre-romana, recuperando quegli antichi saperi molte altre opere di regimazione e sistemazione idraulica sono state eseguite a partire dall’epoca medioevale61: da notare, in particolare, come tutti i torrenti che gravita- vano nella zona di Pistoia, risultavano confluire nell’Ombrone entro una fascia assai ristret- ta che andava dal Ponte alla Pergola a Badia a Pacciana, creando gravissimi problemi, in quanto l’alveo del fiume maggiore non era in grado di ricevere la grande quantità di acqua che nella stagione delle piogge spesso tracimava, creando danni e disagi inimmaginabili alle popolazioni. Fu questa peculiare situazione a determinare la necessità di deviare sia il corso dei tributari che del fiume ricevente. Prima che si modificassero gli alvei dei torrenti o si attuassero quelle ulteriori sistemazioni idrauliche, il paesaggio fluviale si presentava con una fisionomia assai meno segmentata dell’attuale.
Per avere un’idea di quale potesse essere il paesaggio al tempo della fondazione ro- mana della città dobbiamo considerare i cambiamenti epocali registrati nei secoli, a comin- ciare dal primo abbandono della pianura avvenuto già in epoca etrusca, probabilmente a partire dalla metà del IV sec. a.C., dovuto alla calata delle tribù celtiche alla ricerca di nuove terre nella fertile Etruria, ma soprattutto causato dal conseguente abbandono delle opere idrauliche che avevano garantito la corretta regimazione delle acque. Resta aperta, tuttavia, come probabile l’ipotesi che suggeriscono i climatologi, fondata sui grandi cambiamenti delle condizioni di piovosità che si ebbero in quello stesso secolo con il susseguirsi di sta- gioni particolarmente avverse che procurarono l’allagamento di ampie zone della pianura, già bonificate e centuriate per gli usi agricoli.