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gLI OPIFICI deL vINCIO dI BrANdegLIO

Nel documento L'Ombrone pistoiese, il fiume che non c'è (pagine 161-165)

Lungo il corso principale del Vincio di Brandeglio e dei suoi affluenti, è documentata la presenza di almeno dodici mulini, quattro ferriere, quattro frantoi ed una cartiera110.

Di questi antichi mulini solo tre sono ancora integri ancorché inattivi, di altri sei è invece ancora possibile individuarne i relativi edifici, anche se riadattati ad altre destinazioni, ed infine degli ultimi tre, non rimangono che rovine o scarse tracce sul territorio.

Entrambe le ferriere erano di proprietà della famiglia Vivarelli Colonna, una famiglia di imprenditori che, possedeva numerose proprietà e ferriere in tutto il territorio Pistoiese.

Per quanto concerne la più antica di queste due ferriere, detta appunto Ferriera vec- chia, rimangono ormai solo le rovine della fucina e delle altre stanze, mentre risultano ancora intatti la gora, i bottacci ed il vano di alloggiamento della ruota idraulica e parte delle trombe idroeoliche della soffieria. Si trattava in realtà di un piccolo complesso produttivo composto da due distinti edifici, un distendino e la ferriera propriamente detta, oltre al carbonile, tutti posti sul lato destro del Vincio di Brandeglio, anticamente denominato, per questo, Fosso della Ferriera.

Questi opifici furono realizzati nel XVIII secolo ed erano serviti da una mulattiera che si distaccava dalla strada di Stazzana. Nel 1862 furono venduti a Luigi Caporali di Cireglio, possidente e maestro di ferriera, mentre quattro anni dopo fu ceduto a Giovacchino Gianni, di Pistoia. In questa occasione viene fatto un inventario dei beni e delle sue attrezzature: “…

Figura 55 vecchi capannoni invasi dalla vegeta- zione dello stabilimento Nobel 2(2960-2963) Figura 56 Le vecchie cave di pietra della gonfo- lina ormai abbandonate (dSC2846)

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opificio ad uso di ferriera andante e manovrante come suol dirsi con maglio, incudine, massa, boga e altri ferramenti di corredo, albero, ruota, ciocche, stanghette, stelle di legno, primaccio- li, con coperta, sottana, e quant’altro di relativo...un forno soprachiamato fuoco alla francese con due ugelli di rame, capra di ferro, e sue piattine, di getto per lo strasiccio per il fuoco e catene di ferro...il fuoco contiguo all’italiana con molotto di pietra per arrotare, la biscia e palo di ferro con diversi arnesi ed utensili in ferro per la resa complessiva di chilogrammi cento- cinquanta...un distendino andante con maglio a stampo, incudine, massa, boga, albero, ruota, ciocche, stanghette, stelle di legno, primaccioli, coperta, sottane ed altri oggetti che fan comodo al distendino predetto con fuoco ugello di ferro ed altri ferramenti attorno alla cappa...tutti i fabbricati contenenti gli opifici suddetti e che servono di abitazione e da arsenali o magazzini e il terreno in tre campi...al prezzo di £. novecento ventiquattro italiane”.

Il complesso cessò di funzionare negli anni Ottanta dell’Ottocento, mentre nel 1910, risultava già in rovina.

Anche della Ferriera nuova rimangono poche rovine, posta sulla sponda destra del Vincio, a breve distanza dalla strada per Stazzana. Come ci ricorda il nome è di origine più recente rispetto all’altra, risalente probabilmente all’inizio dell’Ottocento.

Presumibilmente fu costruita per rimpiazzare, o incrementare, la produzione del- la “Ferriera vecchia”, presentandosi infatti con una struttura più ampia, della precedente. I Vivarelli se ne disfecero nel 1861 quando la vendettero a Giovacchino Gianni, il quale, come abbiamo visto, rileverà poi anche l’altro impianto.

Questa ferriera cessò la sua attività poco più tardi dell’altro impianto ma, nel 1892, anche questa struttura non era più in funzione, mentre nel 1924 risultava ormai completa- mente diroccata.

Alla confluenza del Vincio di Cireglio e del Vincio delle Piagge troviamo il Molino della Sega, nei pressi di un antico ponte sulla strada per Stazzana. Questo impianto, proba- bilmente, prende il nome da una preesistente segheria ad acqua, anche se oggi, nonostante la presenza della gora, è stato trasformato in abitazione.

Nel fondovalle a breve distanza da Cucciano, è posto uno degli impianti più impor- tanti della valle: il Molino dei Menchi. Seppur trasformato in abitazione conserva ancora alcune parti della gora di scarico e, nelle immediate vicinanze vi è tuttora un altro piccolo mulino, ancora integro, che veniva usato solo in caso di necessità.

Nei pressi del gruppo di case denominato “Il Fiume” a valle del ponte della strada per Pupigliana, esiste ancora il Molino di Campiglio, questo nell’Ottocento, oltre al mulino ospitava anche un frantoio da olio. Nel 1837 fu acquistato dalla famiglia Pacini di Gello, la quale, intorno al 1870 vi impiantò una ferriera, ancora attiva nel 1929, per la produzione di vanghe e zappe, fabbricazione che è poi continuata fino al secondo dopoguerra.

Situato in prossimità del ponte dell’Agnolo, a breve distanza da Gello, troviamo il Molino di Necca, costituito da una serie di corpi di fabbrica su più piani. Il mulino, tuttora intatto, presenta tre macine, ed è stato attivo fino ad epoca recente. Oltre alle strutture, sono in ottime condizioni di conservazione anche tutte le attrezzature per la produzione delle fari- ne, come del resto l’attiguo frantoio.

Attivo fino a pochi anni fa era anche il Molino Lenzi, posto nell’immediata periferia nord dell’abitato di Gello, nei pressi del carbonile.

Una interessante attività, connessa a tutte le altre della zona, è il cosiddetto Carbonile di Gello. Costruito nel 1818 da Pellegrino Antonini, che scelse questo luogo in funzione delle attività economiche svolte dallo stesso, nelle sue proprietà nei dintorni di Calamec- ca, i cui boschi venivano sfruttati per farne carbone e legna da ardere o da costruzione. Per un certo periodo il deposito è stato anche usato come magazzino dalla vici-

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na cartiera, mentre il quartiere è stato abitato da due famiglie fino agli anni ‘70. L’edificio è composto da due parti raccordate da una corte interna a cui si accede da un ampio portone carrabile posto direttamente sulla strada.

La corte aveva la funzione di organizzare le varie attività svolte nell’edificio: l’entrata dei muli con i basti e dei carri, il carico e lo scarico dei materiali, l’alloggiamento degli animali durante le soste dal lavoro e l’accesso alla residenza.

Nell’area attualmente occupata dallo stabilimento Permaflex sorgevano invece, all’ini- zio del secolo XVIII, un frantoio e la Cartiera di Gello, una delle più antiche cartiere pi- stoiesi di proprietà di Giovanni Agostino Ricci. Questi era fratello di Clemente, il quale era giunto in Toscana dallo stato di Genova, riuscendo a stringere preziose alleanze con potenti personaggi della nobiltà fiorentina, come i Corsini, i Riccardi e Buondelmonte, assieme i quali detenne l’appalto della carta per tutto il Granducato111.

Nel Settecento il principale polo cartario toscano era Colle Val d’Elsa, i cui cartai fin dal primo momento avversarono profondamente il Ricci, in quanto questi cercò d’imporgli condizioni assai sfavorevoli, a beneficio della sua “compagnia dell’appalto”. Ma ciò che più di altro accrebbe le ire dei colligiani, fu la decisione del Ricci di costruire una propria cartiera, alla Briglia in Val di Bisenzio, che avrebbe avuto dimensioni enormi, a cui fece seguito quella di Gello. La costruzione di quest’ultima era in realtà già stata autorizzata, nel 1725, al cava- lier Luigi Melani, che poi ne aveva ceduto i diritti ai fratelli Ricci112. La cartiera, di discrete dimensioni, essendo fornita di nove pille idrauliche, assunse prima il nome di “Cavallo”113 e poi, agli inizi dell’Ottocento, di “Cavezzone”. Questi nomi erano legati a temi inerenti al ca- vallo e suoi finimenti, come del resto era avvenuto per la cartiera de “la Briglia”114, da mettersi probabilmente in connessione con Colle Val d’Elsa, il cui stemma della città, al tempo, era

Figura 57 veduta dell’ex stabilimento Permaflex (dSC2279)

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appunto costituito da una testa di cavallo trattenuta da una briglia a cui era connesso il giglio fiorentino, come atto di esplicita sottomissione al capoluogo toscano.

Nel 1768, in occasione della redazione di una sorta di censimento sulle in- dustrie pistoiesi, questa cartiera risulta condotta da Domenico Ricci e dotata di un solo tino, con una produzione annua di 200 balle di carta di 300 libbre ciascuna115. Successivamente il complesso passò alla famiglia Vivarelli-Colonna, e a metà Ottocento era ancora rinomata come una delle migliori fabbriche di carta fatta a mano116. Più tardi fu ven- duta alla ditta Cini-Volpini ed infine al solo Cesare Volpini117. All’inizio del XX secolo era la più importante cartiera del comune di Pistoia con oltre 150 operai. Nel 1918 cessò la sua at- tività e nei locali fu impiantato, ad opera di un imprenditore pratese, un lanificio ove venivano compiute le operazioni di sfilacciatura del cotone, carbonizzazione e stracciatura della lana.

Nel 1940 il complesso è stato acquistato da un altro pratese: Giovanni Pofferi che, a partire dai primi anni ‘50, vi ha realizzato, ampliandolo notevolmente, uno stabilimento per la produzione dei celebri materassi a molle con il marchio Permaflex. Il Pofferi era un com- merciante ambulante, che nel primo dopo guerra vendeva formaggi nella bassa Toscana, ma ben presto scoprirà l’importanza del commercio degli stracci, che veniva praticato fin dall’ini- zio del secolo nella sua città. Tuttavia ben presto iniziò ad occuparsi di materassi di lana.

Nel frattempo incontra e sposa una nobildonna toscana, che lo introduce negli am- bienti dell’alta borghesia, ove conosce Augusto Fontani il quale, di ritorno da un viaggio negli Stati Uniti, gli racconta di certi materassi a molle inventati dagli americani.

In breve tempo, nel 1952, Giovanni Pofferi realizza quattro materassi a molle, con il nome Piumaflex, che vengono presentati alla fiera campionaria di Milano. Questi hanno un immediato successo e quindi ne inizia la produzione in uno stabilimento di Calenzano, e nel dicembre 1953, inaugura il primo punto vendita nella centralissima via San Quintino, a Torino, a cui faranno seguito quelli di Milano, Bologna, Napoli e Palermo.

Figura 58 edificio della vecchia cartiera ricci in corso di ristrutturazione (dSC2284-2286)

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Nel 1956 nasce il marchio Permaflex, con un logo disegnato nello studio Testa di Bo- logna, divenuto celebre per le sue apparizioni serali negli spot pubblicitari di “Carosello”.

Negli anni Settanta l’azienda è al suo apice, dopodiché, anche per una serie di vicende collaterali, inizia il suo declino, fino al 1996, quando l’industriale napoletano Raffaele Vene- ruso, già acquirente di un’altra azienda appartenuta a Pofferi, acquista anche la Permaflex.

Ma già nel dicembre 1997 viene interrotta la produzione e, nel febbraio del 1999, la società sposta la propria sede da Frosinone a Latina, ove la Permaflex SPA, che intanto è diventata Flex SPA, avanza al tribunale di Latina la richiesta di ammissione alla procedura di concordato preventivo. Oggi l’intera area si presenta in gran parte dismessa, salvo alcune zone, principalmente relative all’antico corpo della cartiera, che stanno per essere recuperate.

Figura 57 Veduta dell’ex stabilimento Permaflex (DSC2279) - Figura 58 Edificio della vecchia cartiera Ricci in corso di ristrutturazione (DSC2284-2286)

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