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La Villa Medicea di Poggio a Caiano

Nel documento L'Ombrone pistoiese, il fiume che non c'è (pagine 95-100)

I lavori di ampliamento del vecchio casamento all’Ambra ebbero inizio nel 1485 e furono affidati a Giuliano da Sangallo, architetto dei Medici il quale concepì una costruzione elevata, in tutti i sensi. Elevata fisicamente dalle terre che la circondano “al di sopra di forti bastioni”7 e sulla collinetta che la accoglie per rimanere al riparo dalle piene del fiume Om- brone; elevata come concezione del costruire nel senso più nobile del termine, in posizione dominante sul giardino che la circonda, sul parco e sul territorio circostante. Questa indo- vinata posizione offriva a coloro che vi soggiornavano una magnifica veduta e nello stesso tempo una collocazione strategica dal punto di vista salutare; la volontà di colui che progettò

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la Villa fu quella di avere tutti e quattro i lati aperti e scanditi ritmicamente allo stesso modo, allo scopo di rendere riconoscibile la costruzione da tutte le prospettive con uno sviluppo planimetrico che racchiude in sé i principi fondamentali del pensiero rinascimentale.

Il progetto prevedeva che la pianta si sviluppasse secondo un preciso asse centrale orientato in direzione sud-nord, delineando una vera e propria “spina dorsale” sulla quale si impostava tutta la pianta a partire dal piano terra fino al secondo piano. Lungo l’asse princi- pale dispose i vari ambienti, ognuno di questi poteva avere la forma di un quadrato oppure di un rettangolo ma comunque derivante dalle misure del quadrato di base, sempre nel rispetto di precisi rapporti matematici e soprattutto del pensiero albertiano, caro a Lorenzo de’ Medi- ci. Quanto siano stati importanti questi principi lo rivela il fatto che ancora oggi si nota guar- dando la Villa, l’armonia domina tutte le sue parti, a iniziare dalla geometria dei prospetti che a un primo sguardo appaiono estremamente rigorosi, così composti da facciate imponenti, scanditi da aperture posizionate secondo precisi criteri di proporzione e simmetria, ma nello stesso tempo si percepisce l’assoluta eleganza e leggerezza che il loggiato inferiore con la sua

Uptat amconulputat ut lutpate te min henibh eugiam vullaor illamet ipit, sed euisNim ipisis nos aliqui blaore er sustie conse modolum

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successione di archi conferisce a tutto l’insieme, essendo al contempo elemento architettonico funzionale.

La sala centrale intitolata a Leone X è senza dubbio il fulcro di tutta la costruzione, attorno a questa sono stati sviluppati gli ambienti secondari ed è importante sottolineare come i rapporti e le proporzioni, siano state rispettate dal Sangallo anche in alzato. Questa sala in particolare con i suoi soffitti voltati supera in altezza le altre sale, a conferma di una volontà progettuale che tende a stabilire delle gerarchie tra i vari ambienti dell’edificio e lo palesa sia in pianta che in sezione. Il loggiato costituì un’innovazione del Rinascimento8 che qui fu proposto con una successione di archi che abbraccia tutta la costruzione, la cui funzio- ne era quella di offrire riparo per piacevoli passeggiate consentendo di ammirare i giardini circostanti e ponendosi anche come filtro tra interno ed esterno. La base su cui poggia tutta la costruzione è celata da questo porticato esterno e, benché la ripartizione della sua pianta trovasse corrispondenza con quella degli ambienti del piano superiore, questa non fu pensata per essere abitata ma per svolgere la funzione di sostegno.

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Quando, nel 1492, fervevano i lavori al loggiato inferiore della Villa proprio nello stes- so anno sopraggiunse la morte di Lorenzo il Magnifico che non riuscì a vederlo compiuto.

Nel 1494 alla cacciata di Piero de’ Medici da Firenze i lavori di costruzione della Villa furono interrotti; nel 1512, dopo il sacco di Prato i figli di Lorenzo rientrano a Firenze ma i lavori alla Villa e agli annessi ripresero soltanto l’anno seguente, nel 1513 al momento in cui Giovanni figlio di Lorenzo fu eletto papa col nome di Leone X e fece il suo trionfale ingresso in città. Sembra tra l’altro che i lavori fossero stati continuati da Baccio Bigio che sostituì improvvisamente il Sangallo, e che si occupò anche della realizzazione delle vicine scuderie11 tra il 1516 e il 1521.

Dall’estate del 1545 per la durata di un anno i lavori vanno avanti sotto la direzione di Mastro Niccolò di Raffaello Pericoli detto il Tribolo. Venne costruito il “palatoio” o pallacorda, i “pratelli” intorno alla Villa, ed il nuovo giardino laterale. Nel corso degli anni gli ambien- ti interni furono oggetto di profonde trasformazioni, che nascosero e talvolta cancellarono l’impronta iniziale del Sangallo. A piano terreno è ancora possibile leggere il segno originale dell’opera del Sangallo, in particolare nelle sale semplicemente intonacate, caratterizzate dalle volte lunettate quattrocentesche che terminano su peducci in arenaria, la stessa pietra che incornicia le porte. Il salone al piano nobile, pur rimanendo fedele al disegno della pianta iniziale, presenta cicli pittorici appartenenti a differenti periodi: puramente manieristici gli affreschi eseguiti sotto Leone X, aderenti a un più rigoroso neoclassicismo le pitture mono- crome dell’ingresso. Dell’originario scalone rimane solo quello di destra coronato da una copertura a botte e modanature sulle cornici.

Lo scalone di sinistra, invece, fu demolito intorno al 1807 e riprogettato da Pasquale Poccianti che lo concepì con uno stile neoclassico, tipico delle sue architetture. In occasione della sua incoronazione a pontefice, Leone X ordinò lavori di stuccatura e doratura alla volta del salone principale del piano nobile, poi a lui intitolato. Per questo incaricò il Franciabigio e Andrea di Cosimo Feltrini. A quest’ultimo spettò la realizzazione delle architetture dipinte, mentre la decorazione pittorica delle pareti con affreschi fu eseguita da Andrea del Sarto, Franciabigio e il Pontormo con il Bronzino suo allievo, tutti questi lavori si interruppero nel 1521 alla morte di Leone X.

Il ciclo di affreschi del salone venne portato a compimento tra il 1578 e il 1582 da Alessandro Allori, il maggiore artefice della decorazione della Villa, in particolare apportò il maggior contributo artistico per la parte che interessa il salone con la modifica delle archi- tetture dipinte dai suoi predecessori e nell’addobbo delle sale degli arazzi. Con questo ciclo di opere si concluse una prima fase realizzativa della villa; questo assetto rimarrà tale per un lungo periodo di tempo durante il quale non si assistette a sostanziali cambiamenti.

A partire dalla fine del Settecento si assistette ad una nuova vena costruttiva mirata a rendere più comoda e piacevole la permanenza della corte durante le frequenti villeggiature. Uno dei principali autori di questi cambiamenti fu Pasquale Poccianti che, nel 1806, su ordi- ne della Regina Reggente10, si dedicò alla realizzazione di un nuovo teatro temporaneo nella sala nobile. L’anno seguente fu incaricato di diversi lavori tra i quali il progetto per una scala esterna “con comodo di transito per le carrozze al coperto”. L’architetto Giuseppe Cacialli, av- vicendatosi con il Poccianti, si occupò di ultimare ciò che il Poccianti aveva avviato tra cui la scala interna, finita attorno al 1809, e quella esterna che con le sue due eleganti rampe curve sostituì impeccabilmente la rigorosa scala originale del Sangallo. Durante questo breve perio- do di regno Elisa Baciocchi13 trasferì la sua residenza ufficiale a Firenze, ma rimase sempre in contatto con la sua Parigi, commissionando dei progetti per trasformare l’area circostante la villa del Poggio a Caiano secondo “forme moderne” in linea con il gusto d’oltralpe.

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Per questo nuovo progetto che rappresentava per l’epoca uno dei primi relativi alla sistemazione del paesaggio, si affidò a Giuseppe Manetti12, il quale propose in primo luogo il recupero del giardino antistante la Villa con un progetto per il nuovo assetto di questo spazio verde prevedeva la creazione di prati punteggiati di alberi sparsi e percorsi da vialetti sinuosi. Questi encomiabili propositi rimasero però sulla carta e non furono realizzati perché ritenuti troppo onerosi. La nobile corte era alla continua ricerca delle condizioni climatiche migliori e per praticare la caccia nelle varie “bandite”13 sparse nelle terre di tutta la Toscana.

La Villa di Poggio a Caiano assunse perciò in questo contesto il ruolo di residenza autunnale e di svaghi, divenendo quasi un luogo di “relegazione”.

Relativamente a ciò, a partire dagli inizi del XIX secolo, si assistette ad un periodo di maggior fermento creativo ed innovativo dal punto di vista costruttivo e architettonico che in- teressarono anche la vicina tenuta delle Reali Cascine, tema che affronteremo in seguito; anni in cui, a seguito dei rovesciamenti della fortuna napoleonica nel 1814, Elisa Baciocchi lasciò Firenze e Ferdinando III14 riprese possesso del Granducato di Toscana. Dopo soli dieci anni di reggenza, Ferdinando III nel 1824 morì lasciando il trono di Toscana al figlio Leopoldo II. Dopo gli importanti lavori idraulici sostenuti a partire dal 1823 e terminati dopo il 1828, ciò che restava attorno alla Villa era un’ansa di terreno molto ampio lasciata dal vecchio letto del torrente ormai deviato più a nord. L’occasione fu propizia per poter ampliare i già bellissimi giardini boscati retrostanti la Villa e rendere così ancora più importante la relazione con i ter- ritori circostanti attraverso un avvicinamento dei confini della Villa a quelli della tenuta delle Cascine. Il parco retrostante la Villa venne così dotato di tutte le comodità e degli ornamenti per rendere più piacevoli le villeggiature autunnali dei granduchi

A complemento dei giardini e ragnaie di Villa votati agli svaghi della corte c’era anche il Barco di Bonistallo15. Per rispondere alle nuove esigenze dei regnanti anch’esso fu desti- nato a trasformarsi da luogo di cacce a luogo di delizia, a partire dal 1827, per ordini del Granduca Leopoldo II di casa Lorena. Quando Firenze divenne capitale, Vittorio Emanuele II, amante dei cavalli e della caccia, fece risistemare la Villa: furono costruite nuove scuderie ed alcune sale al piano terra vennero ridecorate, come la sala da biliardo al pian terreno o la Sala dei Pranzi, su progetto dell’architetto Antonio Sailer.

Nel 1919 l’Amministrazione della Real Casa donò la Villa allo Stato Italiano. Gli arre- di e i parati al secondo piano vennero irrimediabilmente dispersi in questo periodo.

Durante la Seconda Guerra mondiale la Villa fu usata come luogo di rifugio dai bom- bardamenti per importanti opere d’arte provenienti da tutta Toscana.

Nel 1984 divenne Museo Nazionale, da allora si è assistito ad un importante ciclo di restauri dove, grazie a un preziosissimo inventario datato 1911, si è cercato di ricostruire per quanto possibile l’aspetto interno della villa così come veniva descritta a quella data, recupe- rando tutti gli oggetti, mobili e opere d’arte sparsi tra i vari musei e depositi statali. Il riordino si è concluso nel 2007, con l’apertura al pubblico del secondo piano, dove è stato allestito il Museo della natura morta, con i grandi dipinti di Bartolomeo Bimbi, oltre ad altre opere provenienti principalmente dalle ville medicee di Castello, della Topaia, dell’Ambrogiana.

Attualmente solo la parte dei giardini che si estende oltre la facciata posteriore della Villa, verso l’Ombrone, si presenta come un giardino all’inglese, con viali ombreggiati ed angoli caratteristici, arricchiti da rare specie vegetali e da alcune statue, come quella in ter- racotta raffigurante la cattura della ninfa Ambra da parte di Ombrone. Sul lato destro della Villa è stato mantenuto l’aspetto di un giardino all’italiana, con una vasca centrale e numerosi vasi di limoni. Il giardino è recintato su tre lati e chiuso sul quarto dalla limonaia progettata dall’architetto Poccianti.

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