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Alcune considerazioni sull’apparato amministrativo pontificio

5. La “vulgata” della bonifica

2.1. Alcune considerazioni sull’apparato amministrativo pontificio

La struttura burocratica e amministrativa dello Stato della Chiesa in età moderna era composta da una serie di magistrature, nate da organi di governo medievali, riconoscibili nelle prime strutture della Chiesa (Collegio dei cardinali, Camerlengo e chierici di Camera). L’apparato istituzionale venne definendosi nel corso del Cinquecento, in linea con gli altri Stati italiani. Si trattò di un processo lungo e complesso, inquadrato nel più ampio disegno politico di accentramento del potere perseguito dal papato1.

Sin da metà Quattrocento e sempre più nel secolo successivo, l’azione dei pontefici fu diretta alla costruzione di uno Stato accentrato di tipo moderno che, attraverso l’imposizione fiscale, avrebbe permesso di sostituire le rendite “spirituali” derivanti dalla Chiesa universale (già crollate prima della Riforma, ma che subirono da questa un colpo mortale) con quelle provenienti dallo Stato temporale. A partire in particolare dal pontificato di Giulio II (1503-1513), il papato fu sempre più consapevole che la principale garanzia di indipendenza per lo Stato della Chiesa, nel sistema italiano ed europeo degli Stati moderni, consisteva nella formazione e nell’amministrazione di un proprio stato moderno. L’azione dei papi mirò ad estendere la presenza del papato in settori più vasti, dalla corte rinascimentale all’urbanistica di Roma capitale e a vari campi della cultura2

. Nonostante la complessità delle strutture burocratiche, maturata già nel periodo avignonese, nella prima metà del Cinquecento la presa delle autorità romane sui territori provinciali era ancora molto debole. I cardinali legati più che governare i territori locali si limitavano a fare da mediatori tra le varie fazioni (spesso armate). Gradualmente, però, si modificarono i rapporti del potere centrale con i suoi rappresentanti nelle periferie (legati e governatori) e con le amministrazioni stesse delle periferie (cioè i governi delle comunità)3. Aumentarono le materie di interesse e di influenza del potere centrale in vari settori quali strade, acque, dogane, archivi. A subire delle variazioni non furono solo le strutture amministrative e finanziarie, ma l’intera organizzazione centrale di tutto l’apparato burocratico, sempre più specializzato e dotato di relativi organi di amministrazione. L’ampliamento delle competenze pubbliche in età moderna non portò, però, all’emersione di un nuovo tipo di funzione esecutiva distinta da quella giudiziaria, ma «provocò piuttosto una specializzazione progressiva nell’esercizio della giurisdizione»4

. La tendenza ad affidare una serie di materie a giudici-amministratori, autonomi tra loro, è stata interpretata come manifestamente aderente alla tradizione medievale. Il sovrano assoluto non intaccò, infatti, i fondamenti dello stato di diritto basso medievale. Piuttosto, incardinò il proprio rinnovato potere sulla precedente struttura giuridico-amministrativa, affermando il proprio diritto di interferire nelle attività dei magistrati subordinati. E dunque il potere di giudicare e il potere di comandare rimasero ancora uniti, nella teoria e nella prassi: per la dottrina di antico regime era infatti ineludibile che il titolare di un potere di comando detenesse anche la capacità di giudicare su quella materia.

1 P. Prodi, Il sovrano pontefice, cit.

2 Id., Il «sovrano pontefice» in Storia d’Italia, Annali, IX, La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all’età

contemporanea, a cura di G. Chittolini, G. Miccoli, Einaudi, Torino, 1986, pp. 195-216.

3 R. Volpi, Le regioni introvabili, cit, pp. 66-70.

4 L. Mannori, Giustizia e amministrazione tra antico e nuovo regime in R. Romanelli (a cura di), Magistrati e potere

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Un passo importante per il rafforzamento del potere centrale fu l’integrazione dei ceti dirigenti locali in una realtà politica unitaria. Indispensabile per la riorganizzazione amministrativa del territorio fu però il raggiungimento della stabilità politica all’interno dello Stato ecclesiastico: ciò avvenne nei decenni successivi al pontificato di Clemente VII Aldobrandini. Il papato, attraverso l’integrazione dei ceti dirigenti locali in una realtà politica unitaria, rafforzò il proprio potere centrale. Fu un processo lungo e non lineare, che è stato diviso in due fasi (1534-1559; 1559- 1592)5. Fu a partire dalla seconda metà del Cinquecento, quando la “riconquista” iniziata da Giulio II era ormai conclusa, che la supremazia politica dei papi si affermò definitivamente sui poteri cittadini e feudali. Le ampie circoscrizioni legatizie vennero frantumate in numerosi governi che mediavano con le istanze dei dirigenti locali, assicurando una presenza più incisiva del potere centrale sul territorio6. Se nel medioevo le magistrature emanazione del potere centrale si erano scontrate, anche duramente, con le autorità locali (i podestà, ad esempio), adesso il conflitto si ricomponeva. Molti dei governatori di città minori erano infatti magistrati fedeli alla Curia romana, che, posti alla guida di istituzioni periferiche favorivano la penetrazione del potere statuale e l’alleanza di Roma con le élites locali7

. Nomine e poteri dei più alti responsabili furono gradualmente subordinate alla volontà personale del papa.

Altri mutamenti notevoli si registrarono nelle istituzioni centrali, con la creazione di nuovi organi tecnici. Uno dei principali limiti all’esercizio del potere assoluto da parte del pontefice derivava dal Collegio dei cardinali che, sin dall’epoca tardo-medievale, governava con i papi sulle decisioni ecclesiastiche e temporali. Se il Collegio si era affermato in qualità di rappresentante in Roma delle varie regioni della cristianità, a partire dalla metà del XV secolo aveva perso questa sua funzione, visto che i cardinali erano sempre più di origine italiana. Il Collegio, l’antico organo di governo della Chiesa, venne convocato sempre più raramente e perse gradualmente il suo potere: la linea politica seguita dai papi, a partire dal pontificato di Martino V, cercò di ridurre i condizionamenti esterni e di rafforzare il potere del pontefice. Per le questioni di maggior importanza il papa non fece più ricorso al Collegio cardinalizio ma si rivolse ad organi decisionali più agili, da lui stesso creati e di cui si serviva con modalità da sovrano assoluto. Il Concistoro continuò a essere convocato: a metà Cinquecento ancora due o tre volte a settimana, come Senato del papa, per dibattere temi di governo della Chiesa e dello Stato; dopo il 1588, invece, solo una volta a settimana per ratificare decisioni già prese8. Il papa andò lentamente dispiegando nuovi metodi di governo personale: un nuovo strumento nelle mani del pontefice fu ad esempio la carica del cardinal nipote, parente del papa e artefice della politica interna ed estera dello Stato.

Gli altri affari venivano invece destinati dal pontefice alle competenze dei cardinali: all’interno del Concistoro il papa creò degli organi collegiali denominati congregazioni, inizialmente con durata limitata nel tempo e con compiti specifici. Create sul modello della prima congregazione stabile, il S. Uffizio (fondata nel 1542), le congregazioni cardinalizie erano organi centrali di amministrazione con competenze giudiziarie, investiti degli stessi poteri di governo della Chiesa universale e dei domini temporali papali. L’uso di riunire congregazioni cardinalizie con compiti specifici e per periodi limitati era prassi diffusa tra Cinque e Seicento e costituì un primo passo verso l’indebolimento del Sacro Collegio, il cui totale esautoramento si compì definitivamente solo nella seconda metà del Cinquecento, quando cioè le congregazioni divennero stabili. In genere, l’istituzione di congregazioni stabili è stata interpretata come un segno del rafforzamento della monarchia pontificia e dei suoi strumenti amministrativi9. Però si tende a trascurare la portata

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A. Gardi, Lo Stato in provincia. L’amministrazione della Legazione di Bologna durante il regno di Sisto V (1585-

1590), Istituto per la storia di Bologna, 1994, Bologna, p. 27.

6 S. Tabacchi, Il Buon Governo, cit, p. 69.

7 M.G. Pastura Ruggiero, La Reverenda Camera Apostolica e i suoi archivi (secolo XV-XVIII), Archivio di Stato in Roma, Scuola di Archivistica Paleografia e Diplomatica, Roma, 1984, p. 24.

8 A. Menniti Ippolito, Il governo dei papi nell’età moderna. Carriere, gerarchie, organizzazione curiale, Viella, Roma, 2007, p. 113.

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politico-istituzionale del fenomeno: le congregazioni, pur non essendo titolari di poteri autonomi rispetto a quello del papa, costituivano una cerniera indispensabile per l’attuazione delle decisioni pontificie e potevano condizionare la politica papale. Lo prova innanzitutto la continuità della loro azione, spesso indipendente dal pontefice regnante10.

Una delle prime fu la Congregazione della Consulta, massimo organo di direzione politica dello Stato. La Consulta cominciò a delinearsi già nel 1557, quando Paolo IV sostituì al cardinal nipote Carlo Carafa un consiglio di fedeli collaboratori, laici ed ecclesiastici11. Si trattava di un organo tecnico, composto in prevalenza di giuristi, con il compito di raccogliere e valutare le lamentele delle comunità nei confronti dei magistrati inviati dal potere centrale. Tuttavia le attività della congregazione furono piuttosto stentate, nonostante la creazione del Sant’Uffizio nel 1542 avesse fornito un modello per il sistema delle congregazioni cardinalizie. Bisognerà aspettare almeno fino alla riforma di Sisto V (Bolla Immensa Aeterni Dei del 1588), perché il sistema delle congregazioni venisse codificato e stabilizzato. Nel frattempo la burocrazia pontificia si clericalizzava e professionalizzava. Se ai primi del Cinquecento erano ancora degli eminenti umanisti a ricoprire gli incarichi (come Bembo o Della Casa), da metà Cinquecento furono esclusivamente prelati, dotati di formazione giuridica e con un cursus honorum articolato in varie tappe.

Il principale organo del governo pontificio fu la Reverenda Camera Apostolica che espletava due funzioni fondamentali: innanzitutto gestiva la spesa del pubblico denaro e verificava il corretto esercizio della finanza pubblica, in secondo luogo interveniva su numerose materie di interesse generale (strade, acque, annona, grascia, milizie, moneta). Alla prima funzione avevano soprinteso anticamente i notai, ma dalla seconda metà del XVI secolo la gestione della spesa venne affidata all’apposito ufficio di Computisteria. La seconda funzione, invece, rimase ai notai che formulavano e spedivano i provvedimenti del camerlengo e del tesoriere e, man mano che si articolavano in altri uffici e presidenze, dei presidenti e prefetti preposti ad altri rami (gestione delle strade, delle acque, dell’annona, etc.). Non solo, i notai custodivano i provvedimenti con valore di legge emanati dal pontefice o da altri magistrati quali chirografi, motu-propri, bandi, editti; verbalizzavano i processi che si celebravano avanti ai tribunali camerali (come la Piena Camera) e, ovviamente, rogavano gli

istrumenti cioè contratti di appalto, compravendite, affitti dei beni camerali. Occorre ricordare, e ciò

avveniva non solo nello Stato pontificio, che nelle magistrature di antico regime i tre poteri - solo successivamente distinti in legislativo, esecutivo e giudiziario - si cumulavano e venivano esercitati insieme. Saranno le riforme di metà Ottocento a modificare tale assetto. Gradualmente, la Camera apostolica passò dall’amministrazione finanziaria alla gestione politico-amministrativa dello Stato. Le magistrature camerali che si occupavano solo di alcune materie, come ad esempio la Presidenza delle Strade, potevano disporre di un ufficio di cancelleria autonomo con notaio privativo. In questi casi, le scritture amministrativo-contabili venivano rogate da un notaio cancelliere che lavorava esclusivamente per la presidenza. In collaborazione con la presidenza, ma da questa separata, poteva operare un tribunale con funzioni giudiziarie (nella fattispecie il Tribunale delle Acque e Strade). Spesso, però, accadeva che una magistratura non disponesse di un proprio ufficio di cancelleria: per esempio la Presidenza dell’Annona – forse la più incisiva sulla vita economica e sul commercio agricolo dello Stato – non aveva un autonomo apparato giudiziario né notarile, quindi i contenziosi potevano essere gestiti da uno qualsiasi dei notai segretari di Camera. Pur esistendo, dunque, una diversificazione tra le magistrature dotate di cancelleria e notaio e quelle che ne erano prive, tuttavia i vari uffici camerali lavoravano in stretta correlazione: a tenerle congiunte era la figura del Camerlengo, che conservò fino a tutto il Settecento il potere formale di sovrintendere su tutte le materie di competenza delle varie presidenze (oltre ad alcune prerogative esclusive, come la concessione dei permessi di esportazione dei generi annonari fuori dallo Stato). Poteva quindi

10 S. Tabacchi, Il Buon Governo, cit, p. 147.

11 A. Gardi, Lo Stato in provincia. L’amministrazione della Legazione di Bologna durante il regno di Sisto V (1585-

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accadere che un atto emanato dal Camerlengo venisse spedito da un notaio segretario di Camera e non dal notaio privativo della relativa presidenza.

I documenti prodotti dai magistrati e dagli uffici della Camera apostolica sono attualmente ripartiti secondo un criterio artificioso, che divide in tre sezioni un archivio prodotto originariamente da un’unica magistratura. Nel Camerale I si trovano carte raggruppate per «serie» originali, nel

Camerale II per «materia» e nel Camerale III per «luoghi». Nel corso di questa ricerca ho visionato

documenti in tutte e tre le sezioni: in particolare, nel Camerale I le carte prodotte dai notai segretari e cancellieri della Camera apostolica; nella miscellanea camerale per materia (Camerale II) gran parte dell’archivio della Congregazione delle Paludi Pontine e nella miscellanea per luoghi (Camerale III) i documenti prodotti dalle comunità pontine, interessate dai piani di bonifica. Quest’ultima miscellanea, composta da documenti per la maggior parte conservati in Computisteria, nasconde l’archivio del Tesoriere generale: magistrato sempre più importante in ambito camerale, specialmente in seguito alla riforma legislativa operata da Sisto V che ampliò le sue prerogative. Questa sezione contiene dunque la documentazione scaturita dai rapporti fra il tesoriere generale, i depositari locali, i tesorieri provinciali, gli appaltatori camerali, i governatori ed infine la congregazione del Buon Governo e le varie presidenze.

Con la bolla Immensa Aeterni Dei del 22 gennaio 1588, Sisto V ristrutturò l’intero Collegio cardinalizio, stabilendo che i cardinali dovessero essere settanta, divisi in gruppi in modo da comporre diverse congregazioni. Per l’esattezza Sisto V istituì quindici congregazioni cardinalizie per il governo spirituale della Chiesa e temporale dello Stato, in parte riformandone alcune preesistenti, in parte creandone ex novo. Erano tutte, quindi, congregazioni non camerali, nate ed operanti al di fuori della Camera apostolica ed indipendenti dal Sacro Collegio. Le congregazioni «temporali» erano concepite come organi amministrativi di altissimo livello, che avrebbero svolto funzioni di collegamento tra i vari poteri: tra il potere politico, ovvero papa e cardinal nipote, e il potere amministrativo, cioè Camera apostolica e amministratori locali. Erano pensate come uffici direzionali, alle dipendenze del sovrano. Questo nuovo ordinamento portò definitivamente a compimento il processo di esautoramento del Sacro Collegio, con il simbolico passaggio dei suoi poteri alle singole congregazioni. Il Collegio continuerà ad esistere ma con funzioni più limitate rispetto al passato (corpo elettorale del papa, garante della continuità istituzionale e del tesoro dello Stato)12.

La creazione delle congregazioni sistine ebbe conseguenze anche sull’amministrazione del territorio, oltre ovviamente che sulle competenze della Camera apostolica. La congregazione della Consulta, ribattezzata Congregazione sopra le consultazioni dello Stato ecclesiastico, subì alcune trasformazioni che di fatto confermarono il suo ruolo di punto di riferimento politico per la corretta gestione dei governi provinciali o locali. La Consulta assunse maggiori poteri: ad essa venne affidata la scelta dei governatori delle città minori, non più nominati con Breve pontificio. Papa Peretti ne fissò chiaramente le competenze: ascoltare e spedire i consulti, i dubbi, le querele spettanti a cause civili, criminali e miste del foro secolare di tutto lo Stato pontificio13. La congregazione esaminava inoltre i ricorsi dei vassalli contro i baroni dei feudi, giudicava sui sindacati dei governatori e si ingeriva in vari settori dell’amministrazione provinciale (elezione dei magistrati e formazione dei consigli)14.

Parallelamente a questa nuova organizzazione dello Stato rimase in vigore tutta l’amministrazione camerale. Le congregazioni sistine ebbero dunque competenze promiscue con quelle dei vari uffici camerali, secondo una prassi diffusa nello Stato pontificio che affidava mansioni “cumulative” e non “esclusive” a più dicasteri. Accadde così che alcune di queste congregazioni si trovarono ad

12 N. Del Re, La curia romana. Lineamenti storico-giuridici, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 1970, p. 21.

13 L’archivio antico della Congregazione è andato disperso e rimangono solo alcuni volumi della prima metà del Settecento, mentre il corpo maggiore è costituito da atti giudiziari del periodo della restaurazione.

14 E. Lodolini (a cura di), L’Archivio della Sacra Congregazione del Buon Governo (1592-1847). Inventario, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, 1956, pp. XI-XII.

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avere le stesse funzioni che da circa cinquant’anni venivano esercitate dalla Camera apostolica, il cui apparato burocratico si era venuto articolando proprio in relazione a queste funzioni. Congregazioni come quella pro ubertate Annonae ebbero vita non facile, vista la specializzazione raggiunta nello stesso ramo dalla Presidenza dell’Annona e dal camerlengo. Talvolta, proprio per evitare conflitti di competenza, il presidente di un ufficio camerale veniva inserito nella congregazione non camerale: così il prefetto dell’Annona faceva parte anche della congregazione sistina, come pure il presidente delle Acque partecipava alle riunioni della congregazione Pro viis

pontibus et aquis curandis.