• Non ci sono risultati.

5. La “vulgata” della bonifica

2.4. Il ruolo del Buon Governo

A seguito della devastante crisi agricola del 1590-1592 e del conseguente alleggerimento del prelievo fiscale sulle comunità soggette, il governo pontificio decise di perseguire nuovi obiettivi nell’amministrazione delle finanze comunitative. L’appena eletto Clemente VIII emanò vari provvedimenti di carattere finanziario relativi alle comunità dello Stato, tra i quali la soppressione di alcune gabelle (sul danno dato e sugli archivi) istituite nel 1588 da Sisto V nell’ambito di una politica di cessione di risorse finanziarie a mercanti-banchieri legati al papato. Tali imposizioni vennero sostituite da Clemente VIII con un’unica tassa annua, la cui ripartizione era affidata inizialmente alla congregazione sistina degli sgravi77. Con la bolla Pro Commissa del 15 agosto 1592 Clemente VIII regolamentò definitivamente l’amministrazione delle finanze comunitative: la bolla, infatti, costituì per oltre due secoli la base normativa del sistema di controlli sulle finanze delle comunità, divenendo un elemento fondante delle relazioni tra governanti e governati78. Il 30 ottobre 1592 papa Aldobrandini deputò tre cardinali per l’applicazione della bolla: con tale nomina si identifica la nascita della congregazione del Buon Governo, alla quale furono trasferite l’approvazione dei bilanci e tutte le operazioni affidate dalla Pro Commissa al camerlengo e al tesoriere generale.

La Pro Commissa prescriveva da parte di ciascuna comunità la redazione annuale di una tabella delle spese, ovvero un bilancio preventivo comprendente le spese ordinarie e l’indicazione di una somma da destinarsi a quelle straordinarie. Dopo esser stato sottoscritto dal governatore, per la prima volta si stabiliva che il bilancio dovesse essere inviato a Roma: qui, una volta rivisto dal camerlengo e dal tesoriere generale della Camera apostolica, veniva rimandato alla comunità e avrebbe rappresentato la base per la gestione della finanza locale negli anni a venire. La vera importante novità della Pro Commissa era dunque l’obbligo di trasmettere a Roma i bilanci preventivi, cosa che rompeva la tradizionale autonomia delle finanze locali. Il bilancio comunitativo, che era stato uno strumento di governo locale, si trasformava in uno strumento di controllo del potere centrale sulle comunità. La realizzazione pratica di tale controllo, però, fu alquanto limitata. Sia perché il controllo del camerlengo e del tesoriere non era un controllo sul complesso del bilancio, ma solo sulle liste delle spese. Sia perché a livello locale spettava unicamente ai governatori la vigilanza sul rispetto delle indicazioni centrali. Le rigidità che caratterizzavano il sistema di controlli prospettato dalla Pro Commissa saranno poi superate nella pratica, tramite i vari sforzi attuati per risanare le finanze locali. Durante tutti gli anni Novanta del Cinquecento il personaggio centrale nel controllo sulle finanze delle comunità rimase il tesoriere generale, nella persona di Bartolomeo Cesi79 (1568-1621). Accanto al tesoriere cominciò a

77

E. Lodolini, L’Archivio della Sacra Congregazione del Buon Governo, p. XV. 78 B. G. Zenobi, Le «ben regolate città», cit, pp. 233-234.

79 Bartolomeo Cesi, figlio di Angelo di Acquasparta e di Beatrice Caetani di Sermoneta, nacque a Roma nel 1567. Nel 1586 Sisto V lo nominò protonotario apostolico e l’anno successivo, conseguita la laurea in utroque iure a Perugia, venne nominato referendario di entrambe le Signature. Prima del 1590 rivestì anche il chiericato di Camera e fu prelato domestico. Nel 1590 acquistò per 50.000 scudi l’ufficio di tesoriere generale e collettore degli spogli della Camera (nel quale fu confermato con bolla pontificia nel gennaio del ‘90). Nella bolla il pontefice definì per la prima volta le attribuzioni del tesoriere generale: riscossione e amministrazione di tutte le rendite della Santa Sede e vigilanza sulle

98

emergere anche la vera e propria congregazione del Buon Governo, che nella prima fase scontò la non chiara definizione dei suoi poteri.

Nel corso del Seicento il Buon Governo assunse sempre più un ruolo centrale nell’amministrazione temporale dello Stato, pur in assenza di un corpo normativo che ne definisse puntualmente finalità e limiti. Oltre alla Pro Commissa, infatti, solo una bolla di Paolo V (la Cupientes del 1605) contribuì a delineare le facoltà dei cardinali, pur sempre molto ampie. La Cupientes riconobbe alla congregazione una competenza specificamente giudiziaria, assente invece nella bolla clementina. Nel 1607, con una declaratoria della bolla, ci fu una messa a punto della materia giudiziaria, che venne limitata a tre tipi di cause: redditi e proventi delle comunità, amministrazione delle abbondanze comunitative, saldo dei conti degli amministratori. Il numero dei cardinali membri fu fissato a sei, ai quali Paolo V accordò la facoltà di chiamare come consultori alcuni prelati e dottori in legge e di nominare il segretario della congregazione. Il numero dei componenti crebbe via via nel corso degli anni successivi: nel 1609 i cardinali erano saliti a quattordici, affiancati da dieci consultori. Al segretario fu affidata la direzione degli uffici, che andarono sempre più ampliandosi. Per quasi tutto il Seicento (fino all’abolizione del nepotismo nel 1692), la carica di prefetto del Buon Governo spettò al cardinal nipote, che deteneva nel frattempo anche la direzione della Segreteria di Stato e la prefettura della Consulta. Come prefetto del Buon Governo, il nipote firmava la corrispondenza diretta ai governatori e alle comunità e, con l’aiuto del segretario, curava la materia “economica”, emanando disposizioni contro le quali era possibile fare ricorso presso la congregazione. Venne così delineandosi una specializzazione del cardinal nipote e del segretario nelle materie economiche, mentre quelle giurisdizionali erano decise collegialmente. Dunque il

nepote non emanava pronunce giudiziarie, ma curava i rapporti con i governatori e le comunità. Al

di là dello stretto legame cardinal nipote–pontefice, la documentazione amministrativa ha rilevato il costante intervento dei pontefici sull’attività del Buon Governo, suggerendo l’esistenza di un rapporto diretto tra il papa e il segretario della congregazione, indipendentemente dal cardinal nipote.

Alla congregazione furono affidate tutte le questioni relative alle comunità dello Stato, con giurisdizione anche su cardinali, compagnie, congregazioni, monasteri, chiese, ospedali, luoghi pii. Il Buon Governo esercitava dunque una giurisdizione su una platea di soggetti estremamente ampia, con frequenti conflitti giurisdizionali. L’oggetto del controllo del Buon Governo furono in primo luogo le comunità, i loro organi di governo e i singoli sudditi, quando entravano in rapporto con l’amministrazione comunitativa. Sebbene la Pro Commissa non facesse distinzione tra le comunità libere e quelle infeudate, che erano teoricamente tutte sottoposte al controllo della congregazione, nella realtà per tutto il Seicento molte comunità infeudate e le legazioni di Bologna e Ferrara sfuggirono al suo controllo. L’autonomia di zone così importanti dello Stato dalla giurisdizione del Buon Governo, sottolinea tutte le difficoltà di applicare un coerente progetto di unificazione amministrativa del territorio. Nel Seicento la frammentazione politica dello Stato ecclesiastico era ancora molto accentuata: l’azione del Buon Governo e di altre istituzioni centrali era dunque disugualmente distribuita. Se Bologna e Ferrara si limitarono a spedire saltuariamente qualche rendiconto alla Camera fino al riconoscimento delle loro prerogative in materia (1749), nel caso delle comunità infeudate la situazione si presentò disomogenea. Rimaneva incontestata l’autonomia dei feudi Colonna e Orsini, mentre alcune comunità feudali subirono controlli, registrati nelle carte

collettorie ovunque situate; giurisdizione esclusiva in tutte le cause, criminali e miste. Cesi dimostrò grandi abilità nell’amministrazione delle finanze, tanto da assicurarsi la fiducia anche dei quattro papi che successero a Sisto V. Clemente VIII lo creò cardinale nel 1596 e lo pose a capo di una commissione incaricata di riscuotere i crediti vantati dalla Camera nei confronti dei baroni romani. Altro incarico di responsabilità fu la presidenza della commissione cardinalizia incaricata del recupero del ducato estense. Morto Clemente VIII, la sua posizione in curia venne ridimensionata: prima Leone XI, poi Paolo V affidarono al Cesi incarichi di minor rilievo. Leone XI lo nominò governatore di Benevento. Paolo V lo destinò ad alcune congregazioni e nel 1611 alla riorganizzazione dell’Archivio vaticano. Tra il 1614 e il 1615 si ritirò nelle ville di Nettuno e Frascati. Con l’elezione di Gregorio XV sembrò che il cardinale potesse recuperare una posizione preminente: il papa era un suo estimatore e lo nominò subito vescovo di Tivoli, ma ben presto Cesi morì (1621). Cfr. A. Borromeo, DBI, cit, vol. 24 (1980), pp. 246-247.

99

della congregazione. Se nel 1605 le comunità mediatae subiectae erano ancora esenti, a partire dal 1623 si rintracciano i primi ordini diretti a comunità feudali. Nel 1626 tra le comunità sottoposte a controllo risultava anche Sermoneta80. Per non parlare delle comunità che godevano di un’autonomia puramente formale come Fermo, Terracina e Velletri, che furono sottoposte a un controllo molto più stretto. Terracina, sottoposta a governo “separato” affidato al tesoriere generale, fu costantemente soggetta ad interventi del Buon Governo, come dimostra la presenza di molti documenti contabili nell’archivio della congregazione81

.

Oltre ai documenti contabili, nell’archivio sono custodite molte richieste e suppliche da parte delle comunità pontine al Buon Governo: autorizzazioni per avviare lavori di pulizia dei fossi o arginature di torrenti, che rientravano solitamente nelle spese straordinarie e dunque non erano inserite nelle tabelle sottoposte a controllo; questioni relative agli affitti comunitativi (affitti non corrisposti, che erano fondamentali per il saldo positivo del bilancio); denunce di abusi commessi a danno del territorio comunale. Più in generale, tutti gli elementi che potessero ledere le finanze o gli interessi delle comunità locali.

I cardinali che facevano parte del Buon Governo avevano essenzialmente una funzione di assistenza e non erano portatori di una volontà politica autonoma da quella del cardinal nipote e, quindi, del pontefice. Ciò nonostante, i porporati svolgevano almeno tre funzioni notevoli: partecipavano con la loro autorevolezza alle decisioni giudiziarie, erano ottimi conoscitori della macchina curiale, potevano fare da mediatori tra le istanze delle comunità e la congregazione.

Molti dei cardinali che fecero parte della congregazione del Buon Governo furono nominati giudici sulle paludi pontine o ricoprirono incarichi di rilievo nella congregazione delle paludi. Al momento della promulgazione della Cupientes, nel giugno del 1605, tra i membri del Buon Governo c’era Ottavio Bandini82 (1557-1629), che verrà nominato da Paolo V giudice sulle paludi nel 1616. Il cardinale era legato agli Aldobrandini e aveva collaborato stabilmente con il cardinal nipote Pietro: aveva alle spalle una lunga carriera amministrativa, ma con l’ascesa al soglio di Paolo V il suo ruolo venne ridimensionato, per essere rivalutato sotto Gregorio XV e Urbano VIII. Insieme a Bandini alla guida del Buon Governo c’erano altre creature degli Aldobrandini (Bartolomeo Cesi, Innocenzo del Bufalo, Domenico Ginnasi, Mariano Pierbenedetti, Domenico Toschi) che si distinguevano per la loro preparazione giuridica e tecnica. Tant’è che, nonostante la vicinanza alla famiglia del precedente pontefice, Paolo V fu soddisfatto della loro condotta e li riconfermò anche negli anni successivi. Nel 1609 fece il suo ingresso nella congregazione l’ex tesoriere generale Luigi Capponi (1583-1659), anch’egli giudice sulle paludi per volere di Urbano VIII. Capponi era un esperto politico ed ebbe una rapida carriera: grazie alla protezione di Leone XI era stato nominato tesoriere generale nel 1605, mentre Paolo V lo aveva creato cardinale ed ammesso nella cerchia dei suoi consiglieri più stretti. Nominato legato di Bologna nel 1614, ricevé l’incarico speciale di coordinare le diverse iniziative di bonifica per il territorio del delta del Po e di regolamentare i corsi d’acqua della regione83. Con l’ascesa al pontificato di Gregorio XV, Capponi fu nominato, nel 1621, arcivescovo di Ravenna. Era un buon conoscitore dello Stato della Chiesa, ma le sue precarie condizioni di salute non gli consentirono di recarsi a Roma quanto i molti impegni avrebbero richiesto.

Durante il pontificato di Urbano VIII furono ovviamente destinati al Buon Governo una serie di cardinali barberiniani: tra essi, Bernardino Spada e Lelio Biscia si erano interessati – a diverso titolo – delle paludi. Creati cardinali da Urbano VIII nello stesso concistoro del 19 gennaio 1626, i due ebbero però un peso ben diverso nella gestione delle paludi. Lelio Biscia (morto nel 1638) apparteneva a una dinastia di avvocati84, ma la sua carriera prima del cardinalato rimane poco nota: sappiamo che aveva acquistato un chiericato di Camera e che aveva ricoperto in anni diversi la

80 ASR, Archivio del Buon Governo, serie V, b. 8, c. 7 v. 81 Ivi, serie I, b. 42.

82 V. nota 57.

83 L. Osbat, DBI, cit, vol. 19 (1976), pp. 67-69.

100

carica di governatore85. Bernardino Spada (1594-1661) era un personaggio di grande spessore politico: era già stato prelato del Buon Governo, chierico di Camera, segretario di Consulta e nunzio in Francia (1624). Assunto al cardinalato, venne nominato legato di Bologna (1627-1631): ciò rese la sua partecipazione al Buon Governo puramente formale. Spada partecipò alla visita alle paludi del 1623 come chierico, da cardinale venne nominato giudice sulle paludi alla morte di Biscia e, infine, divenne prefetto della congregazione delle Acque (anni ’50). Nella sua lunga carriera l’attenzione per le acque e le paludi rimase una costante: fu l’unico, tra i cardinali, a poter vantare una conoscenza trentennale della materia, aspetto riconosciuto e apprezzato anche dai suoi contemporanei.

Una figura poco conosciuta, ma che rappresentava invece il «cardine» della congregazione, è quella del segretario del Buon Governo. Più in generale, occorre rilevare come la figura del segretario di congregazione sia stata molto trascurata dalla trattatistica sugli uffici curiali. Come ha rilevato recentemente Stefano Tabacchi, sembra che nella cultura seicentesca il segretario di congregazione, pur rivestendo un incarico di primo piano, venisse considerato al pari del segretario di lettere come cioè un curatore di corrispondenza. Sarebbe altresì sbagliato attribuire a questa figura un ruolo eminente nel passaggio da un’amministrazione patrimoniale a una moderna, considerata la realtà clientelare della Curia romana.

Il segretario gestiva le attività della congregazione: curava la corrispondenza con le comunità, controllava la computisteria, sottoponeva al cardinal nipote i documenti da firmare. Il papa e il cardinal nipote dovevano avere piena fiducia nel segretario: tale fiducia si fondava non solo sulle capacità tecniche, ma su un rapporto di subordinazione padrone-cliente. Era essenziale quindi che il segretario avesse un legame forte con la famiglia pontificia. Tuttavia, e per la specializzazione tecnica e per il formarsi di una giurisprudenza interna alla congregazione, il segretario raggiunse una certa autonomia dal cardinal nipote che si affermò pienamente sul finire del Seicento.

Anche per i segretari del Buon Governo è possibile evidenziare una condivisione di incarichi con i congregati sulle acque. Ma se per la congregazione del Buon Governo è stato possibile rintracciare tutti i segretari, per la congregazione delle Acque la ricostruzione è più incerta per varie ragioni: nei repertori cui si fa riferimento per ricostruire le vicende biografiche dei curiali (Cardella, Jaitner, Weber, per citarne alcuni), le cariche inerenti a congregazioni sulle acque sono raramente considerate; non esistono inoltre raccolte biografiche sui segretari delle acque né sono state approntate in tempi moderni. Gli intervalli cronologici che qui fornisco sono il risultato dello spoglio parziale delle carte d’archivio, e perciò suscettibili di errore.

I primi quattro segretari del Buon Governo furono nominati – anche in contemporanea - segretari della congregazione delle Acque. Fu il caso del primo segretario del Buon Governo, Odoardo Santarelli (1565-1636): assunta la carica di segretario del Buon Governo nel 1605, gli fu poco dopo assegnata la stessa carica nella congregazione delle Acque. Santarelli si espresse su alcuni progetti di bonifica del ferrarese, senza occuparsi però delle paludi pontine: tuttavia il suo rimane un caso emblematico della commistione di incarichi tra membri del Buon Governo e membri della congregazione delle Acque. Dopo di lui, infatti, molti segretari seguirono la prassi di ricoprire (contemporaneamente o a pochi anni di distanza) il medesimo incarico nella magistratura delle acque. Dopo l’allontanamento di Santarelli, alla segreteria del Buon Governo fu chiamato Giovanni Giacomo Bulgarini, in carica dal 1618 al 1620. Bulgarini, originario della Marca, aveva svolto a lungo la funzione di notaio della Camera apostolica. In data non precisata divenne referendario di Segnatura e fu agente della Marca. La sua presenza nella congregazione del Buon Governo fu episodica, tanto che dopo solo due anni preferì abbandonare l’incarico per l’ufficio venale di prefetto delle minute dei brevi. Nel 1626 fu governatore di Città della Pieve. Ma a lungo si era occupato e specializzato nel campo delle acque: nel primo decennio del Seicento era stato membro

85 C. Weber (a cura di), Legati e governatori dello Stato pontificio (1550-1809), Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, Roma, 1994, pp. 216-217.

101

della Presidenza dell’acqua Paola e visitatore dell’acquedotto86

, mentre dal 1629 al 1642 aveva ricoperto la carica di segretario delle acque. Nonostante la sua lunga carriera amministrativa non venne eletto al cardinalato.

Il successivo segretario del Buon Governo fu Diomede Varese (1620-1623), che aveva partecipato alla visita alle paludi del ’23 come deputato sopra le paludi: nipote del cardinale Pompeo Arrigoni e cugino del cardinale Ciriaco Rocci, dopo aver conseguito la laurea a Bologna ebbe una lunga carriera curiale. Nel 1608 fu nominato avvocato concistoriale, nel 1616 referendario di Segnatura. Nel 1621, in sede vacante, fu governatore di Borgo per poi divenire segretario del Buon Governo. Fu segretario della congregazione sul Tevere87. Nei due anni successivi (1623-25) fu governatore della provincia di Campagna e Marittima e poi della Marca (1625-27). Rimase prelato della Consulta fino alla morte, avvenuta nel 1652. Anche suo nipote, Pompeo, venne avviato alla carriera ecclesiastica divenendo nunzio e uditore di Rota e anche Pompeo risulta membro della congregazione delle paludi, nel 165588.

Giovambattista Spada, appartenente a una nobile famiglia di mercanti lucchesi, si trasferì nel 1606 a Roma per iniziare la carriera curiale con l’aiuto dello zio, Giambattista senior, affermato giurista che ricopriva la carica di avvocato concistoriale e fiscale. Alla morte del senior, Urbano VIII impedì a Giambattista di succedere allo zio nella carica avvocatizia. Il papa, infatti, intendeva assegnare la carica di avvocato fiscale a un suo protetto (Antonio Cerri) e offrì in cambio allo Spada la segreteria del Buon Governo, che Spada esercitò tra il 1623 e il 1629. Giambattista fu poi segretario di Consulta (1629-1635) e segretario della congregazione di sanità all’epoca della peste del 1630: tra il 1635 e il 1643 ricoprì il delicato incarico di governatore di Roma. Nel 1640, l’interdetto posto contro la repubblica di Lucca, sua città natale, rallentò notevolmente l’ascesa alla porpora. Un ulteriore ostacolo venne dallo scontro tra Innocenzo X e i Barberini, a seguito della morte di Urbano VIII. Spada ricoprì ancora altre prestigiose cariche prima di diventare cardinale: fu segretario di Stato (1643-1644) e presidente di Romagna (1644-1648). Con la riconciliazione dei Barberini col pontefice, avvenuta nel 1652, anche i loro clienti poterono sperare in avanzamenti di carriera. Così avvenne per lo Spada, che nel 1654 fu creato cardinale da Innocenzo X. Nel 1655 risultava essere prefetto della congregazione delle paludi pontine: o meglio, c’è uno Spada a capo della congregazione delle paludi ma non è chiaro se si tratti di Giovambattista o se sia ancora lo zio Bernardino. Nonostante questa incertezza, bisogna rilevare che all’interno di questa famiglia i membri avviati alla carriera curiale assunsero spesso e volentieri qualche incarico sulle acque. Potremmo anzi affermare che la famiglia si specializzò in questo settore: anche il cardinale Fabrizio Spada, seguendo le orme di zio e prozio, fece parte della congregazione delle paludi e partecipò alla visita alle paludi svoltasi nell’aprile del 170489

.

Da questa disamina appare evidente come i membri delle congregazione delle Acque e delle paludi fossero tutti curiali estremamente esperti, scelti tra i tecnici più preparati. Anche se, chiaramente, la competenza amministrativa non poteva prescindere dalla fedeltà personale al pontefice che li aveva creati: su undici cardinali chiamati dal pontefice regnante a giudicare sulle paludi, sei erano creature del papa. Serra, Filonardi e Lancellotti erano stati creati cardinali da Paolo V Borghese e da lui deputati alle paludi; lo stesso era accaduto al cardinale Sacrati, creato da papa Ludovisi e nominato giudice durante il suo pontificato. Uguale iter anche per Biscia e Sacchetti – all’epoca di Urbano

86 ASR, Presidenza degli Acquedotti Urbani, b. 1. 87

K. Jaitner, Die Hauptinstruktionen Gregors XV. Für die Nuntien und Gesandten an den europäischen Fürstenhöfen,

1621-1623,M. Niemeyer, Tübingen, 1997, p. 364.

88 ASR, Cam. II, Paludi Pontine, b. 4, c. 88 r: «All’Illustrissimo et Reverendissimo Signore Monsignor Varese in Congregazione delle paludi pontine. 6 agosto 1655».

89 Ivi, carte a stampa, Visita fatta dal cardinal Spada per esaminare le difficoltà sorte fra il duca Odescalchi

bonificatore delle Paludi ed i cittadini di Terracina, 4 aprile 1704: «Eminentissimus et Reverendissimus Dominus