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5. La “vulgata” della bonifica

2.2. Le Congregazioni sulle acque

All’interno dell’amministrazione pontificia possiamo individuare almeno quattro congregazioni (senza contare i rispettivi tribunali) che si occupavano di acque. Una materia, questa, estremamente variegata, la cui stessa natura generava ambiguità. I pontefici e anche gli organi amministrativi romani, nello sforzo di contenere tale genericità, istituirono tra XVI e XVIII secolo la già nominata

Congregatio super viis fontibus et pontibus, la Presidenza di Acque e Strade, la Presidenza degli

Acquedotti Urbani e la Congregazione delle Acque. Se, con tale spezzettamento, alcune competenze trovarono una definizione certa, in altri casi la compresenza di più congregazioni generò sovrapposizioni, rallentando di fatto la capacità di intervento del potere centrale.

Occorre, dunque, provare a definire cosa si intendesse con la generica targhetta di “acque”. Le acque, in una città come Roma, erano state innanzitutto acque da bere: le autorità si erano occupate, però, non soltanto dell’arrivo dell’acqua in città con la costruzione di acquedotti, ma anche dell’ approntamento di una complessa rete urbana composta da un apparato di distribuzione (castelli di raccolta, bottini, condotti e fistole) e di smaltimento (canali di deflusso e reti fognarie). In alcuni casi, poi, le acque reflue avevano dato luogo ad altre forme di sfruttamento di carattere produttivo (nelle lavorazioni tessili) o energetico (per far muovere delle macine) con conseguente interessamento della congregazione deputata alle acque, costretta a intervenire per evitare abusi e per garantire il normale servizio. Vista l’importanza dell’approvvigionamento idrico per il mantenimento di buone condizioni igienico-sanitarie, nonché il carattere simbolico dell’acqua nella religione cristiana, le prime magistrature si concentrarono sulle questioni legate alla conduzione di acque potabili a Roma. Le prime attività furono quindi strettamente connesse con le operazioni dei magistrati delle strade, per la semplice ragione che i condotti urbani erano quasi sempre interrati: la loro sistemazione comportava ovviamente la rottura del manto stradale e il suo conseguente riattamento.

Se fino al pontificato di Martino V la competenza su acque e strade della città di Roma era affidata alle magistrature cittadine, con la costituzione Etsi in cunctarum (1425) cominciò l’ingerenza pontificia in questa materia. Lentamente la legislazione su strade e acque passò dal controllo municipale (i maestri di strada) all’amministrazione camerale: in particolare alla tutela del camerlengo, della Camera apostolica e a una sua ramificazione, la Presidenza di Acque e strade. Il percorso fu lento e soprattutto poco lineare: nella seconda metà del Quattrocento, Paolo II decise di includere i maestri delle strade tra i salariati della Camera apostolica, mentre nel 1480 la magistratura municipale venne riorganizzata e posta alle dipendenze del cardinale camerlengo, a sua volta messo a capo del Tribunale delle strade. Leone X, nel 1513, confermò alcuni privilegi già concessi da altri pontefici alla magistratura romana in materia di acque e strade e le destinò i proventi della gabella del vino. Giulio III sottopose la magistratura municipale al controllo della Camera apostolica (sindacato) quindi affidò la cura delle strade a un chierico di Camera che, estratto a sorte, variava ogni anno. Fondamentale per il passaggio dalla gestione municipale a quella camerale degli acquedotti urbani di Roma fu quel quarantennio (1570-1612) in cui i pontefici, rifacendosi ai modelli della classicità, ricostruirono – ma in realtà costruirono ex novo - i tre

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principali acquedotti cittadini (Vergine, Felice, Paolo). Ciascun papa che aveva promosso la costruzione dei tre acquedotti, rispettivamente cioè Pio V, Sisto V e Paolo V, istituì anche un’apposita congregazione deputata al mantenimento dei condotti e alla regolare distribuzione delle acque. Nel 1567 Pio V, per una più attenta gestione dell’acquedotto ma soprattutto per sottrarre al controllo municipale il rifornimento idrico della città, istituì una congregazione cardinalizia dell’acqua Vergine: si trattava di un organo collegiale misto composto da due cardinali sovrintendenti, il presidente delle Strade, i Conservatori della città, uno o due architetti del popolo romano, il commissario generale della Camera apostolica, il tesoriere generale (poi sostituito dal camerlengo), dieci nobili romani eletti dal popolo, due deputati super Aquae Salonis e il notaio dei maestri delle strade15.

La congregazione pro viis, pontibus et aquis curandis istituita da Sisto V nel 1588 aveva autorità amministrativa e giurisdizionale e facoltà amplissime su strade, ponti, acque e particolarmente sulle acque condotte nella città di Roma. Alla congregazione sistina non era stato dato il solo potere giurisdizionale, ma anche l’incarico di eleggere annualmente, tra i cittadini romani, due visitatori che ogni tre mesi avrebbero ispezionato l’acquedotto da un capo all’altro16

. I visitatori – che ricevevano un compenso per le ispezioni - avrebbero riferito alla congregazione con un rapporto sullo stato di conservazione dei condotti. La congregazione aveva pertinenze e composizione simili a quelle della Vergine, anche se nel giro di pochi anni finì per concentrare la sua attenzione sul Tevere nonostante tra le sue competenze rientrasse la cura dell’acquedotto Felice. Nel 1590, infatti, con la costituzione Supremi cura regiminis, Sisto V aveva conferito alla congregazione anche la tutela della nuova acqua Felice – che arrivava a Roma attraverso l’omonimo acquedotto voluto dal papa (e non a caso recante il suo nome di battesimo) - assegnandole novantuno luoghi di monte per la sua manutenzione. A questa congregazione furono affidate anche il controllo e la manutenzione delle strade dello Stato. Le competenze sui lavori relativi ad acque e strade finirono spesso per intrecciarsi con le competenze della corrispondente istituzione camerale, la Presidenza delle Strade: la congregazione di matrice sistina non riuscì dunque a occuparsi di un settore come quello delle strade, già ampiamente coperto dal funzionamento della ben organizzata presidenza camerale. La

pro viis, pontibus et aquis curandis spostò dunque l’oggetto della sua attività sulle più trascurate

acque: tuttavia, anche in questo caso fu costretta a concentrarsi più che altro sulle acque di Roma, specialmente l’acqua Vergine e il fiume Tevere. Ciò nonostante la Congregazione non ebbe lunga vita ed andò lentamente in desuetudine.

Tra il 1597 e il 1645 il camerlengo continuò ad occuparsi di acque urbane, emettendo i provvedimenti per la cura e la conservazione dei condotti e concedendo le once d’acqua ai richiedenti. Sostituito per due lustri da un chierico di Camera per volere di Innocenzo X, il camerlengo tornò a occuparsi dell’approvvigionamento idrico urbano dal 1655 e per tutto il XVII secolo.

La congregazione dell’acqua Paola venne fondata da Paolo V il 13 settembre 1612 con la Bolla In

Sede Beati Petri: era composta dal Tesoriere generale, dal praeceptor dell’Ospedale di S. Spirito,

dal Commissario generale della Camera apostolica e da un presidente (il primo fu il cardinal nipote Scipione Borghese). Le competenze di questa istituzione furono le stesse delle precedenti: conservazione dei condotti, concessione e vendita di once d’acqua, imposizione di multe, controllo da parte di due visitatori. La Congregazione poteva esercitare un potere giurisdizionale contro chi violava le norme stabilite dalla costituzione o recava dolosamente danni agli acquedotti, ma l’esecuzione delle pene comminate era affidata al governatore di Roma. Anche in questa magistratura venivano periodicamente eletti dei visitatori (un chierico di camera deputato

15 E. Marconcini, La magistratura delle acque e sua evoluzione dal XIV secolo al 1860, in A.M. Liberati Silverio, G. Pisani Sartorio (a cura di), Il trionfo dell’acqua. Atti del convegno: gli antichi acquedotti di Roma: problemi di

conoscenza, conservazione e tutela. Roma 29-30 ottobre 1987, pp. 258-265, p. 260.

16 N. M. Nicolai, Sulla presidenza delle strade ed acque, e sua giurisdizione economica opera di Niccola Maria Nicolai

divisa in due tomi contenente il testo delle relative leggi, regolamenti, istruzioni, e dettagli di esecuzione ecc. con indice de’ capitoli, e delle materie, Stamperia della Reverenda Camera Apostolica, Roma, 1829.

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dell’acqua e due cittadini romani) con il compito di controllare lo stato dell’acquedotto e riferirne in Congregazione. Anche papa Borghese stanziò 200 luoghi di monte per la cura e la manutenzione dell’acquedotto.

Ognuna delle acque (Vergine, Felice, Paola) aveva una notevole serie di uffici o cariche, non sempre molto chiare e talora confuse tra loro: prefetto, soprintendente, giudice, commissario, segretario, revisore, custode17. Ma a partire dal 1701 si ovviò a tale moltiplicazione di uffici grazie al chirografo di Clemente XI (1700-1721) che unificò le tre congregazioni in un’unica Presidenza degli Acquedotti Urbani.