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5. La “vulgata” della bonifica

3.7. Gli esiti della bonifica

Nella primavera del 1589 i lavori erano quasi terminati: secondo quanto testimonia un avviso di Roma, nel marzo 1589 vennero inviati a verificarne gli esiti il conterraneo del papa Fabio Biondo, all’epoca patriarca di Gerusalemme e prefetto del palazzo apostolico, e il fidato architetto Domenico Fontana (all’epoca cavaliere della Guglia):

Secondo la relatione, che faranno il patriarca Biondo, il cavaliere della Guglia et altri ingegnieri andati a vedere le paludi Pontine, che sono in buon termine di desiccarsi, (...) et fra 20 dì si finirà l’alveo, che chiamano fiume Sisto largo otto canne [16 metri] et lungo 20 miglia [40 chilometri], non mancando che 20 giornate da farlo sboccare alla marina, con spesa di 100 mila scudi. Un altro alveo nuovo si farà dall’altra parte, ma di poca spesa, essendosi fatto il più importante, che apportarà l’utile233.

Nel giugno 1589, il principale canale emissario, il «fosso Sisto», entrò in funzione: secondo i racconti dei contemporanei, le paludi limitrofe si sarebbero asciugate in poco tempo e, già nel mese

229 ASR, Congregazione del Buon Governo, serie II, b. 4503, (Sezze): Ascanio de Liliis nel 1630 risulta depositario delle entrate di Sezze.

230 ASLT, Not. Sezze, prot. n. 344, c. 158 v.

231 Ivi, prot. n. 364, c. 314 r, 4 febbraio 1589: «...facere promissi in flumine Sixto subtus colonella et supra Marnam sub die 27 mensis octobris 1588 per acta infrascripta».

232 Ivi, Not. Terracina, b. 6, prot. n. 23, c. 69, 20 marzo 1590. 233 BAV, Urb. Lat. 1057, cc. 131 e ss., 15 marzo 1589.

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seguente, ben 4600 ettari sarebbero stati pronti per essere messi a coltura. Gli avvisi di Roma raccontano che altri 14.000 rubbia sarebbero state drenate nel corso dell’anno seguente234

: numeri da accogliere con il beneficio del dubbio, ma pur sempre indicativi dell’ordine di grandezza. È molto probabile, infatti, che fosse l’abile propaganda sistina a diffondere queste misure esorbitanti. Se volessimo attenerci a documenti più affidabili, infatti, dovremmo fare riferimento al rogito notarile stipulato tra i membri della compagnia di bonifica per dividere i terreni risanati. Quel che è certo, è che nel luglio del 1589 i bonificatori poterono spartirsi i frutti della bonifica: come fa fede la relativa pianta, erano state strappate alla palude 2.090 rubbia di terreno, ripartite tra i soci in cinque parti. Stiamo parlando di circa 4.000 ettari: una quantità di tutto rispetto e comunque notevole, se si considera che negli anni seguenti non si riuscirà a fare altrettanto bene.

Grande entusiasmo suscitò a Roma la notizia della riuscita impresa di Fenizi. Tanto che il papa volle recarsi sul luogo235. A raccontarci le tappe di questo viaggio sono di nuovo gli avvisi: accettiamo quindi questo racconto, con la consapevolezza che non si tratta di fonti pienamente attendibili. Non dimentichiamo, infatti, l’abilità del pontefice nell’orchestrare una propaganda trionfalistica delle sue imprese. Sembra dunque che ai primi di ottobre venisse organizzata la spedizione, con la partecipazione di molti cardinali236. Attraverso la via Appia, il papa giunse prima a Marino dove, ospite del cardinale Ascanio Colonna, si fermò per il pranzo. Poi proseguì per Velletri, accompagnato dai cardinali Onorato Caetani, Sauli, Gallo, Colonna, Pallotta e Montalto: gli ultimi due avevano partecipato attivamente all’impresa di bonifica. Il giorno seguente il papa era stato ospitato dal duca di Sermoneta Onorato Caetani: sembra che il duca attendesse con ansia la visita del papa237. Il giorno dopo giunse a Sezze, dove la tradizione racconta che Sisto V, percorsa la strada che saliva al monte di Trevi, si fosse seduto su una pietra e avesse abbracciato con lo sguardo l’intera pianura. Non sappiamo quanto di vero ci sia in questo racconto, sta di fatto che ancora oggi quella pietra viene chiamata «sedia di Sisto».

Papa Peretti proseguì il suo viaggio verso Terracina e il 13 ottobre sostò a Piperno, ospite a pranzo nella villa San Martino del cardinale Tolomeo Gallio (dove una lapide ricorda il passaggio di Sisto V). Lasciati diversi doni alla città, Sisto V ripartì alla volta di Terracina. Qui il papa si tratterrà per due giorni presso i confratelli del convento di San Francesco. Infine, recatosi al porto di Terracina con il suo segretario, il nunzio Gloriero e il cardinale Caetani, incontrò il figlio del viceré di Napoli, che si complimentava a nome del padre per la felice impresa238.

Il resoconto di questa visita ci è stato tramandato anche dai biografi del papa e da Sisto V stesso: è proprio Peretti che, nel concistoro del 25 ottobre 1589, avrebbe raccontato agli altri cardinali il viaggio nelle paludi239. I toni erano sempre trionfali: riuscita la bonifica, si sarebbe passati al rifacimento del porto di Terracina; il banditismo era ormai debellato e le popolazioni adoranti

234 Ivi, Urb. Lat. 1056, c. 43 v, 27 gennaio 1588: «A Settembre prossimo si tiene che saranno diseccate le paludi pontine tanto nominate presso Sezze, et Piperno, facendosi però acquisto di circa 14 mila rubbia di terreno arativo fertilissimo». 235

BAV, Urb. Lat. 1057, 20 settembre 1589, c. 607 v: «Si ragiona, che fatto San Francesco Nostro Signore andarà a Terracina per molti buoni effetti».

236 Ivi, 23 settembre 1589, c. 611 r: «Si è dato prinicipio alle previsioni del viaggio di Terracina, che vuol fare Nostro Signore alli 5 di Ottobre prossimo. Andando con S. Beatitudine li cardinali Caetano, Sauli, Datario, Sforza, Montalto et Ascanio».

237 AC, Lettere del Peranda, 7 ottobre 1589, p. 159: «Il duca Onorato è a Cisterna e non fa altro che prepararsi per ricevere Sisto V».

238

BAV, Urb. Lat. 1057, 21 ottobre 1589, cc. 658 r/v: «Nostro Signore in Velletri hebbe da quella communità (...) spese opulentissime, ospitalità e regali maggiori che far si potessero da quel Popolo, non meno che a Marino da signori Colonnesi, altrettanti a Sermoneta, et Sezza, dove il Nuntio Gloriero si presentò con li rinfrescamenti. (...) In Terracina il papa ordinò che si nettasse quel Porto per ponerlo in uso».

239 ASV, Acta Cons., 50, 25 ottobre 1589, c. 287: «Die 25 octobris feria IIII 1589 fuit Consistorium secretum in quo Pontifex dixit, Venerabiles Fratres, nos complevimus profectionem nostram. Nos invenimus omnes loetus et acclamantes, et congratulantes de tranquillitate. Quod vidit loca desiccanda, et desiccata, et oculis nostris, inquit, vidimus et manus nostre contractaverunt».

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acclamavano il papa240. La realtà fu probabilmente diversa e sicuramente più dura: durante il viaggio, infatti, il papa contrasse la malaria e morì il 27 agosto 1590, quasi un anno dopo la visita. Le piogge torrenziali dell’inverno 1589-90, stagione caratterizzata da intense precipitazioni che misero a dura prova anche i raccolti di grano241, avrebbero compromesso irreparabilmente i lavori compiuti. La pioggia cominciò nell’autunno 1589: la conseguenza più immediata fu un’esondazione del Tevere, ma in realtà gli effetti negativi furono molti, dalla grande carestia del 1590 al fallito prosciugamento delle paludi pontine. Ecco, infatti, quanto scrive un “giornalista” romano il 4 aprile 1590:

È ben vero che le Paludi Pontine prosciugate l’anno scorso (...) son ritornate nello stato primitivo per le piogge incessanti; e si calcola che piove da più di duecento giorni senza sosta. Queste piogge però non avrebbero causato tanti danni [alle Paludi Pontine] se le alte maree non avessero impedito il deflusso delle acque attraverso i due fiumi creati allo scopo242.

È lo stesso menante a fornirci una spiegazione tecnica plausibile: sarebbe stato principalmente il mare ingrossato a provocare il riallagamento della parte bonificata, impedendo ai fiumi di sfociare a Levola. Andava così perduto il risultato di tre anni di lavoro. Stando alla data dell’avviso, 4 aprile 1590, ancor prima della morte di Sisto V gran parte della zona prosciugata era tornata allo stato di palude. In giugno, i rovesci continuavano ancora e non mancarono le grandinate.

È stato inoltre ipotizzato che profondità e pendenza del fosso Sisto non fossero state calcolate esattamente e che gli argini ai lati del fiume non fossero commisurati alla sua grandezza. Nicolai spiega, con una lucida disamina, le conseguenze di questo errore, che di fatto riportò la pianura ad impaludarsi243. Le acque dell’Ufente e dell’Amaseno, che prima sfociavano rapidamente a Badino, adesso erano costrette in un lungo percorso fino alla foce di Levola: qui, riunite alle acque del fiume Sisto, raggiungevano il mare. Tuttavia il lungo percorso di Ufente e Amaseno finiva per aumentare le loro esondazioni: nel quadrante superiore, infatti, i due fiumi avevano portata considerevole e corso veloce ma non riuscivano a confluire nei più piccoli canali inferiori, allagando le campagne circostanti. La mancanza del giusto declivio nel collettore principale, il Sisto, aveva dunque finito per danneggiare anche i corsi dell’Ufente e dell’Amaseno, che prima presentavano minori problematiche. Le esondazioni nel settore superiore avevano poi un’altra grave conseguenza: diminuendo l’apporto di acque al Sisto, questo non aveva la spinta necessaria ad aprirsi un varco tra le sabbie marine. Il porto di Levola, infatti, tendeva naturalmente ad insabbiarsi e senza un flusso considerevole di acque la sabbia portata dal mare avrebbe avuto la meglio, come in effetti accadde. Una volta chiusa questa foce, il Sisto cercò un altro sbocco spargendo però le proprie acque in quell’area. Le acque del Sisto, complice la pendenza del suolo, finirono per ingrossare i corsi d’acqua superiori, come la Cavatella: dunque invece di alleggerire questi corsi d’acqua, il Sisto finì per implementarli. La Cavatella, a sua volta, condusse le acque in eccesso nell’Ufente e questo all’Amaseno: i fiumi esondarono anche nel quadrante inferiore.

Certamente, la morte del pontefice assestò un colpo d’arresto ai lavori: forse, con Sisto V ancora in vita, i danni causati dalle piogge sarebbero stati riparati e le operazioni di drenaggio sarebbero continuate. Tuttavia sarebbe sbagliato ritenere che Sisto V non ebbe il tempo di intervenire: il papa morì infatti ad agosto, ma le piogge si erano verificate in primavera. Sta di fatto che le attività andarono progressivamente esaurendosi, complice anche la malattia di Fenizi: probabilmente si trattava di malaria. Fenizi fece testamento nel dicembre 1591, disponendo di essere sepolto nella

240 Ivi, 28 ottobre 1589, c. 670 r: «Nel Concistoro di Mercore Nostro Signore diede conto al Collegio del viaggio di Terracina con molta consolazione de suoi Popoli et sodisfattione di Sua Santità (...) disse di esserle piaciuta fuor di modo la diseccatione delle paludi Pontine, che sariano di molto utile et grassezza a questa città et a tutto lo Stato ecclesiastico et che aveva visto li due porti di Terracina et di Anzo».

241 E. Le Roy Ladurie, Histoire du climat, cit, pp. 115 e 225-237. 242 BAV, Urb. Lat. 1058, 4 aprile 1590, c. 160.

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chiesa di S. Bartolomeo fuori le mura di Sezze244. Morto anche Fenizi, l’impresa venne praticamente abbandonata: non verranno nemmeno attuati quei lavori di manutenzione che, secondo i pareri tecnici sei-settecenteschi, avrebbero potuto conservare parte dei risultati ottenuti.

Un problema fondamentale delle bonifiche di antico regime era infatti costituito dalla manutenzione: vale a dire la conservazione di un ordine territoriale che, dopo l’intervento bonificatore, diventava a tutti gli effetti artificiale. Innalzamento e riparazione di argini, scavo di letti fluviali, prosciugamento di stagni e paludi – pur senza considerare le manomissioni degli uomini – erano interventi che modificavano le dinamiche naturali spontanee di quei luoghi. Per mantenerle occorrevano o una sorveglianza costante, con relative spese di riparazione là dove la natura produceva i suoi guasti, oppure l’incorporazione piena delle vecchie dinamiche territoriali nelle nuove logiche di un’economia agraria avanzata. Nel primo caso, la cosa si rivelava difficile intanto per la penuria di capitali. Ma anche perchè vasti tratti di quelle campagne rimanevano disabitati per buona parte dell’anno, nei mesi in cui infuriava la malaria. Gli eventi meteorici che rompevano gli equilibri artificiali della bonifica non trovavano un pronto intervento riparatore, perché non esisteva una presenza capillare di uomini sul territorio. E quindi il ritorno allo status quo

ante era, per così dire, il piano inclinato verso cui il territorio tendeva, senza vigilanza e interventi

costanti. Non bisogna d’altra parte dimenticare che, come accadeva del resto nel Regno di Napoli, presso i luoghi paludosi non sorgevano popolose e ricche città, dotate di capitali mobiliari, come nella pianura padana, ma piccoli villaggi dominati da grandi feudatari.

Solo il secondo caso avrebbe creato una condizione di stabilità, modificando però radicalmente l’habitat: aspetto che non appariva, all’epoca, alla portata del potere papale. Per rendere stabile il prosciugamento, infatti, sarebbe stato necessario non solo realizzare opere idrauliche e di drenaggio, ma insediare sulla terra larghe comunità di contadini, proprietari o fittuari di appezzamenti agricoli, vitalmente interessati a conservare, con la produzione agricola, l’equilibrio asciutto perché fonte di reddito costante e di salubrità per le proprie famiglie. Ma questo avrebbe significato anche una riforma fondiaria allora impensabile. Un sapere tecnico, una forza economica e un ardimento politico, che solo molto tardi si affermarono in quelle terre, molto oltre la stessa bonifica di Pio VI, grazie agli sforzi di un grande stato unitario: precisamente agli inizi del XX secolo, quando la bonifica divenne “integrale”. Essa, infatti, divenne non solo bonifica idraulica, come era stata per secoli, ma anche igienica, agraria, sociale, territoriale245. Si operava cioè ben al di là del ristretto ambito igienico-idraulico, in uno sforzo di pianificazione territoriale246. Un intervento che modificava alla radice il rapporto uomo ambiente, assoggettando quest’ultimo alle condizioni dell’economia agricola moderna247

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244 ASLT, Not. Sezze, prot. n. 335, c. 93 r, 11 dicembre 1591, Ascanio Fenizi, malato, stipula il proprio testamento, stabilendo di essere sepolto nella chiesa setina di S. Bartolomeo extra muros sotto la cappella dei signori Barattis. 245 N. Mazzocchi Alemanni, La conquista agricola dell’Agro Pontino. Aspetti tecnici,economici e sociali, Roma 1938, pp.3-14, ora in P. Bevilacqua, M. Rossi Doria (a cura di), Le bonifiche in Italia, cit, p. 327.

246 A. Serpieri, La bonifica nella storia e nella dottrina, Edagricole, Bologna, 1991, (ed. orig. 1947).

247 M. Stampacchia, Ruralizzare l’Italia! Agricoltura e bonifiche tra Mussolini e Serpieri (1928-1943), Franco Angeli, Milano, 2000.

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CAPITOLO QUARTO

LE PALUDI NEI SECOLI XVII

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XVIII