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5. La “vulgata” della bonifica

3.6. I lavori di drenaggio

Più difficili da ricostruire sono invece le fasi dei lavori: stabiliti i capitoli di accordo con la Camera apostolica e delimitata l’area su cui intervenire, le fonti camerali e notarili poco ci raccontano delle

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Ivi, c. 354 v: «Illustrissimus et Reverendissimus Dominus Evangelista Pallottus S.R.E. Cardinalis et Sanctissimi Domini Nostri Datarius, eius eminenti auctoritate, qua plurimum prudentiae suae gratia pollet, facilique arduis in rebus dexteritate, negocium predictum magnifice adiuverit, (...) secunda sui favorit aura ad optatum portum dirigere adeo semper studuerit».

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Ivi, c. 360 v/361 r: «rubra centum terrae ad mensuram Romanam sitae in Agro Setino in loco quem dicunt Bottorione terminata ab uno latere fluminae Cavatella ab alio via Appia nunc aut nuncupata la Selce a superiori parte Terrenis domini Ascanii Fenitij et ab ima aliis Terrenis Dominorum Bonificatorum».

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C. Tempesti, Storia della vita e geste di Sisto quinto sommo pontefice dell’ordine de’ minori conventuali di san

Francesco, in Roma a spese de’ Remondini di Venezia, 1754.

219 N. M. Nicolai, De’ bonificamenti, cit, p. 137; L. Pastor, Storia dei papi nel periodo della Riforma e Restaurazione

cattolica: Sisto V, Urbano VII, Gregorio XIV e Innocenzo IX, (1585-1591), Desclée, Roma, 1955, vol. X, p. 79

220 G. Stoppini, Storia delle paludi pontine, cit, f. 80 r.

221 G. Botero, Discorsi intorno allo Stato della Chiesa, in Relationi universali di Giovanni Botero Benese. Diuise in

quattro parti. Arrichite di molte cose rare, e memorabili, e con l’ultima mano dell’autore. Aggiuntoui di nuovo La ragione di stato del medesimo, appresso i Giunti in Venetia, 1640, p. 675.

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operazioni sul campo. Dobbiamo quindi fare nuovamente riferimento agli avvisi di Roma e alle carte degli archivi locali.

I lavori consistettero principalmente nell’apertura del nuovo fiume Sisto che avrebbe sostituito il fiume Antico, interrito nel tratto terminale, nel portare le acque al mare. Il fiume Antico era stato il collettore delle acque superiori in epoca romana: la sua funzione era quella di far defluire le acque chiare del Ninfa e dei fiumi Teppia e San Nicola nei laghi costieri, attraverso il Rio Martino (altro canale di deflusso di origine romana), e le piene torrentizie del Cavata e Cavatella nel golfo di Terracina. Il corso di questo fiume, pur essendo tracciato su molte piante, rimane poco chiaro: infatti non coincideva perfettamente con quello del fiume Sisto e non si conosce il suo percorso nel tratto finale, fino al mare. Nel corso dei secoli, il fiume Antico sarebbe incorso in un progressivo deterioramento che ebbe come effetto finale l’interrimento dell’alveo: furono i depositi lasciati dalle acque di torrente ad innalzare il fondo del fiume, facendo perdere la pendenza necessaria al deflusso delle acque al mare222.

Il fiume Sisto si sarebbe innestato sul tratto finale del fiume Antico e in esso sarebbero confluite le acque della Cavata, nella quale sfociavano a loro volta i fiumi superiori. Attraverso poi il fiume Levola (od Olevola) le acque sarebbero giunte al mare attraverso l’omonima foce. Nei capitoli di accordo con la comunità di Terracina, Ascanio Fenizi si impegnò a che la foce di Badino non venisse riaperta. Come abbiamo visto, l’apertura della foce di Badino durante la bonifica medicea aveva scatenato le ire dei terracinesi che l’avevano ritenuta responsabile di una recrudescenza malarica e, nonostante i veti delle autorità pontificie, erano riusciti a interrarla e chiuderla. Consapevole di questo pericoloso precedente, Sisto V si era ben guardato dall’intervenire su quella foce, come testimonia il capitolo di accordo sottoscritto da Fenizi: «che Badino non si possa sturare poi che hoggi dì non ci si pensa senza licenza di Nostro Signore né far bocca ch’esca al mare di fiumare nove da stare al detto Badino»223. Esclusa qualsiasi operazione su quella foce, non rimaneva che intervenire sull’altro possibile sbocco, nella zona di Levola. I lavori cominciarono probabilmente nella piana pontina già nell’autunno del 1586, come testimonia un avviso del 18 ottobre:

Devono a quest’hora essere sul fatto alle paludi pontine da 2 mila zappatori, dovendone anche callar degl’altri un taglio di 14 miglia et larghe 7 canne, per mandare quelle acque al mare et disseccare quelle paludi, essendo perciò stato monsignor Fabio Orsino l’altro giorno lungamente dal Papa, come quello, che ha questo imperio principale, a mostrare col dissegno in mano a Sua Beatitudine il sito come sta et l’opera com’ha da andare224.

Non abbiamo altre notizie sull’andamento dei lavori fino al febbraio dell’87, quando un avviso ci dice che erano al lavoro più di 1.400 operai e che l’essiccazione di oltre 4.000 rubbia di terreno coltivabile a grano sarebbe ultimata nel giro di tre mesi, già a maggio225. Ma in realtà i lavori proseguiranno ancora, per concludersi definitivamente solo nel 1589. A gennaio del 1588 si cominciò a lavorare alla foce: «il letto, che si fa al fiume scolatoio alla marina per disseccare dette paludi largo forsi tre canne si chiamarà Sisto, et vi lavorano hora mille persone di continuo a costo di alcuni gentiluomini»226. Nel marzo dell’88, i lavori sono ancora in corso e, a causa di una lite, è morto anche un operaio227. Nell’aprile del 1588 uno dei biografi di Sisto V, Gualtieri, scriveva che il fiume scavato, lungo quasi venti miglia, rappresentava un «monumentum gloriosissimum» alla grandezza del pontefice e perciò sarebbe stato chiamato “Sisto” in suo onore228

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222 P. Buonora, Il “progetto della Natura”, cit, p. 302. 223

ASR, Cam. II, Paludi Pontine, b. 1, 1° maggio 1586, pubblicato in D. Chiari, Il territorio pontino, cit, p. 130. 224 BAV, Urb. Lat. 1054, Avviso del 18 ottobre 1586, c. 463.

225 Ivi, Urb. Lat. 1055, Avviso del 25 febbraio 1587, c. 65: «Si fa conto che a questo Maggio sarà disseccato uno spatio per più di 4000 rubbia di grano essendo hora in opera a questa impresa più di 1400 huomini, i quali hanno purgato quasi tutto quel grandissimo alveo».

226 Ivi, Urb. Lat. 1056, Avviso del 27 gennaio 1588, c. 36 v. 227 ASLT, Not. Sezze, prot. n. 354, c. 37 v, 22 marzo 1588. 228 BNCR, G. Gualtieri, Ephemerides, cit, c. 178.

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Al finanziamento dei lavori partecipavano alcuni personaggi attivi già da anni sul panorama pontino: in particolare la famiglia Garzonio, che aveva acquistato svariate tenute a partire dal 1518, o la famiglia de Liliis, proprietaria nel complesso di tre «soldi» di terreno da bonificare e che manterrà, ancora in pieno Seicento, un ruolo eminente nell’economia locale229. Nell’ottobre del

1588 Garzonio e de Liliis concordarono lo scavo del fiume Sisto procedendo a ritroso, partendo cioè dalla foce di Levola e proseguendo verso l’entroterra: «dalla banda verso li monti di Terracina in su verso la Marna»230. Tale lavoro è concluso nel febbraio del 1589, quando i due finanziatori provvedono al pagamento degli operai che sono intervenuti nel settore «subtus colonnellas et supra Marnam»231.

Nel marzo del 1590, quando ormai la bonifica era pressoché conclusa, i soci bonificatori non esitarono a sfruttare le peschiere sparse negli acquitrini: proprio coloro che avrebbero dovuto difendere il nuovo fiume dall’edificazione di strutture ma soprattutto dalla manomissione degli argini, concedevano a terzi l’appalto dello ius piscandi nella peschiera fossella del Pero e nel fiume Sisto. Nell’atto di stipula i bonificatori proibivano ai pescatori l’uso di «passuni», le incannucciate fissate sul fondo dei fiumi per indirizzare il pesce verso le reti, che provocavano restringimenti e innalzamenti degli alvei. Ma nulla stabilivano in merito alla protezione degli argini del Sisto. Addirittura, i bonificatori stessi autorizzavano i «bufalari» al proprio servizio a «pigliare del pesce per uso loro et delli padroni»232. A differenza di quanto normalmente accadeva in altri contesti di bonifica, dove il passaggio del bestiame era rigorosamente vietato, qui intere mandrie di bufale potevano calpestare gli argini appena innalzati, con il beneplacito degli stessi bonificatori. Da un lato perché le bufale erano, sin dall’epoca medievale, utilizzate per tenere puliti gli alvei fluviali: immerse nei corsi d’acqua riuscivano, con il loro calpestìo, a strappare la rigogliosa vegetazione che vi cresceva, contribuendo così ad agevolare lo scorrere delle acque. Dall’altro perché era in uso, in questi luoghi, ricorrere a questi animali per pescare: si facevano camminare le bufale in modo da intorbidare l’acqua e spingere il pesce verso specchi di acque chiare dove erano collocate le reti. Inoltre, pochi erano gli abbeveratoi sparsi per il territorio: il bestiame finiva così per abbeverarsi direttamente nei fiumi.