• Non ci sono risultati.

Le misurazioni e i livelli degli architetti: la visita del maggio 1623

5. La “vulgata” della bonifica

4.2. Le misurazioni e i livelli degli architetti: la visita del maggio 1623

L’intervento dei deputati romani non era stato davvero risolutivo: ad esempio, la lite tra Sermoneta e Sezze non era ancora risolta. Una lettera dell’archivio Caetani ci racconta qual era stato l’andamento della difficile trattativa:

32

N.M. Nicolai, De’ bonificamenti, cit, pp. 138. 33 N.M. Nicolai, De’ bonificamenti, cit, pp. 138-139. 34 Ibidem.

35 Ibidem: «detta tenuta va a finire sino a Gricillo et detta tenuta di Gricillo camina giù per la strada di Gricilli sino al fosso del Mazzocchio sulla qual tenuta fu detto esservi li Padri di S. Biagio dell’Anello, la Signora Ginevera Salviati et altri bonificatori».

36 Ivi, Editto dato in Sezze il 1° maggio 1623: «et essendosi visto che sin hora molti non hanno eseguito quanto è stato ordinato et già passato il termine prefissoli a far le loro denuntie».

167

Il negotio di Sezze è incaminato in forma, che spero, che se verrà ad alcun temperamento, si va ad informare li monsignori Spada e Varese sul fiume istesso, dove viddero il gran danno, che ne pativamo, poi volsero essere informati in Camera, e fu discusso e gridato dall’una parte e l’altra, come lei sa, e lì s’andò con le capitulationi, e sententie, che sono in questa materia, e i monsignori se mostrorno molto partiali, e volsero veder tutte le scritture37.

Quindi i rappresentanti romani, verificata di persona la condizione di quei territori, avevano controllato anche le antiche convenzioni tra le due comunità e – secondo il duca in modo partiale – vollero visionare anche tutte le scritture prodotte dalle due parti. La richiesta del duca Caetani era quella di arginare anche sulla propria sponda il fiume Cavata, che aveva argine esclusivamente sulla riva setina. Il duca sosteneva che gli antichi patti non contenevano un esplicito divieto in tal senso, ma i Sezzesi, ben conoscendo la conformazione del loro territorio, sapevano che tale arginatura avrebbe significato il continuo allagamento dei loro terreni, posti a un livello inferiore rispetto al Cavata. Gli stessi Varese e Spada non sembrarono convinti dalla tesi del duca:

dalla parte nostra [dei Caetani] non si battè altro che noi volevamo arginare come loro, già che nelle capitulationi antiche, non ci veniva negato, e li monsignori se mostrorno non potercisi negare, ma non vennero a dichiaratione, rimettendosi a Roma, e che fra tanto dal Breccioli loro architetto si facesse la pianta giusta con il discorso di quel che si poteva fare, a parte di quel che farà per le paludi a basso. Li feci fare una bella colatione (...) e se ne sono andati havendo lasciato il Breccioli con due altri architetti a far tutte le piante38.

Come suggerisce una frase al termine della lettera, l’intento del Caetani era forse di intimorire gli abitanti di Sezze per poi ottenere qualcos’altro: «ai Sezzesi è entrato un timor grande, che noi habbiamo ad arginare, e questa paura potrebbe far gioco per noi»39. Purtroppo non sappiamo quale fosse il vero intento del duca. Di fatto, la lite continuò e probabilmente convinse i deputati camerali a lasciare sul luogo alcuni architetti per un’esplorazione approfonfita di tutta la palude pontina: che partisse cioè dai pantani di Sezze per arrivare alle due foci di Levola e Badino, misurando e livellando i principali fiumi e terreni. Il 10 maggio del ’23, nel pieno di questo sopralluogo alle paludi, l’architetto Breccioli giunse a Fogliano e inviò una lettera al duca Caetani per un abboccamento. A rispondergli fu però la prima moglie del duca Francesco, Anna Acquaviva d’Aragona, che spiegava che il duca non poteva incontrarlo perché impegnato a Roma40

. Ma il duca fu comunque raggiunto, nel suo palazzo romano, dalla missiva del Breccioli e gli rispose subito. Nella risposta, il duca Francesco invitava l’architetto a trattenersi ancora nelle terre pontine, così da potergli mostrare la torre di San Felice, realizzata proprio su progetto del Breccioli41. Il duca ammetteva di essere già informato della venuta dell’architetto (come ci conferma la già citata lettera del cardinale Antonio di aprile) e offriva tutta la propria disponibilità42. Tuttavia, chiedeva all’architetto di passare da Cisterna, una volta finita la stesura della pianta, perché «havemo da ragionare»43. Il duca stava ricordando al Breccioli che, secondo un precedente accordo tra loro, dovevano discutere di alcune questioni. Possiamo supporre che il duca volesse discutere della vertenza con Sezze, convincendo Breccioli a scrivere una relazione favorevole al ducato. Relazione

37 Ivi, 12526, 23 maggio 1623, Lettera del duca Francesco al patriarca Luigi Caetani, riportata nell’inventario redatto da G. Caetani.

38

Ibidem. 39

Ibidem.

40 BAV, Chig.H.II.43, c. 430 r, Lettera di Anna Acquaviva duchessa di Sermoneta a Bartolomeo Breccioli, 10 maggio 1623: «Intendo per la sua come Vostra Signoria si trova a Fogliano, ma per esser andato stamani il signor Duca a Roma, non le posso responder altro, se non che posto domani sarà qui Sua Eccellenza e le avviserà quanto le occorrerà». 41 Ivi, c. 433 r: «Illustre signore son venuto in Roma, e qui ho ricevuto la sua da Fogliano, se costì Vostra Signoria se trattenesse più, potrà veder la torre».

42 Ibidem: già sapeva, che Vostra Signoria haveva da pigliar la pianta delle paludi pontine, e che haveva da entrar sul mio, e per questo haveva dato ordine al luogotenente di Sermoneta, che volendo Vostra Signoria persona prattica ci mandi un tal Sempronio, che è molto prattico. Se Vostra Signoria ne ha bisogno si facci intendere, sarà servita di quel che comanda».

168

compiacente che probabilmente Breccioli presentò alla congregazione, visto che qualche mese dopo il duca Caetani gli fece avere delle lettere di raccomandazione per il nipote Francesco, destinate ai conti Mamiani di S. Angelo in Lizzola, nel ducato di Urbino. Il cardinale Antonio ne aveva composta una per l’abate Mamiani, mentre il duca Francesco aveva scritto al fratello, il conte Angelo44.

La vertenza con Sezze rimase tuttavia irrisolta per molti anni: periodicamente troviamo traccia di nuove liti tra le due comunità. Nel corso dei decenni successivi si avvicendarono varie perizie: una delle più complete fu sicuramente quella del gesuita Eschinardi che portò alla stesura di una dettagliata carta topografica nel 1693. Solo nel 1704, però, con la visita del prefetto del Buon Governo, Imperiali, la questione venne definitivamente risolta.

Occorre però spendere alcune parole sulla figura del duca Francesco, nuovo duca di Sermoneta dal 1614, che si segnalò per i numerosi tentativi di rivitalizzare il feudo. Il duca, nel tentativo di risanare il bilancio familiare, cercò in questi anni di ripopolare i castelli di Ninfa e di San Felice. A Ninfa - un territorio malsano in balìa delle acque - i vari tentativi andarono a vuoto: dopo un primo trasferimento di abitanti da San Felice, nel 1615, il duca vi portò duecento nuclei familiari provenienti dall’Albania; e di nuovo, nel 1630, vi stabilì una comunità di fiamminghi. Ma il territorio era infestato dalla malaria e invece di registrarne il ripopolamento, se ne constatò l’alta mortalità. Esito migliore ebbe il tentativo di rivitalizzare San Felice. Qui venne adottata una strategia più complessa: accanto al trasferimento di nuovi abitanti, infatti, si fecero lavori di bonifica e si costruirono nuovi edifici. Addirittura nel 1626 il duca avrebbe tentato di introdurre l’arte della seta nella cittadina. Tra il 1622 e il ’23, con l’aiuto dell’architetto Breccioli, restaurò le mura del castello e della rocca di Sermoneta e fece costruire la torre a Fogliano. Il tentativo di miglioramento ambientale si svolse, però, in un clima psicologico di grave frustrazione da parte del duca Francesco45. Il quale decise, tra le altre misure, di inasprire la tassazione nei feudi provocando una grave sommossa popolare. Furono soprattutto gli abitanti di Sermoneta a ribellarsi, nel dicembre del ’23, all’imposizione di una nuova colletta. L’autorevole zio del duca, il cardinale Antonio, riuscì nella mediazione con i sermonetani, placando il tumulto. Tuttavia, l’episodio della sollevazione di Sermoneta, l’indebitamento crescente, la recrudescenza delle liti con Sezze, avrebbero spinto il duca a vendere il ducato. Sembra infatti che nel 1627 il Caetani valutasse seriamente la possibilità di vendere il feudo di Sermoneta, che gli avrebbe fruttato non meno di un milione di scudi d’oro46

. La vendita poteva risolvere definitivamente l’indebitamento dei Caetani e permettere migliori acquisti nel Regno di Napoli, geograficamente contigui ad altri possedimenti. I Caetani avrebbero finalmente composto una grande signoria nel Mezzogiorno e sarebbero ascesi al vertice della nobiltà meridionale. La vendita, però, si presentava come un atto non «onorevole». Innanzitutto poiché avrebbe tradito gli sforzi dei predecessori i quali, pur versando in condizioni economiche peggiori, mai avevano accarezzato tale proposito. Ma soprattutto, la famiglia avrebbe perso il proprio prestigio a Roma, presso i pontefici. Il che voleva dire sia una generale perdita di «credito» nella città, sia una maggiore difficoltà nelle carriere ecclesiastiche e una conseguente diminuzione di benefici e pensioni. Infine, il passaggio al Regno di Napoli comportava un definitivo assoggettamento a Madrid, poiché i Caetani sarebbero divenuti sudditi della corona spagnola: ciò, invece di avvantaggiarli, li avrebbe accomunati a tutti gli altri baroni meridionali. Nella gerarchia dell’onore, il casato avrebbe così perso quel carattere peculiare che lo aveva contrassegnato per anni: far parte cioè della baronia romana avendo anche possedimenti nel Regno. Inoltre, alla speciale posizione geografica del feudo, alla frontiera dello Stato della Chiesa, corrispondeva un

44 Ivi, c. 437 r, lettera del duca di Sermoneta a Bartolomeo Breccioli, 22 ottobre 1623: «Illustre Signore mando a Vostra Signoria una lettera del signor Cardinal all’Abbate Mamiani, et un’altra mia al conte Angelo suo fratello in raccomandatione di suo nepote Francesco come lei desidera».

45 AC, Fondo Generale, n. 47198, 24 aprile 1624: «Sto tale hoggi che se non fusse vergogna per disperazione piangeria come ragazzo, et faria qualche pazzia (...) quando io penso con star a sparmiare per pagare questi debiti, che io sia anco privato del vitto cotidiano è cosa che smanio e sto per dar la testa al muro»

169

ruolo politico unico di mediazione tra papato e regno. Il vantaggio economico mai avrebbe potuto compensare la perdita di reputazione che questo ruolo assicurava. Dunque furono prevalentemente ragioni di prestigio e di onorabilità a convincere il duca a mantenere la signoria nello Stato ecclesiastico. Da un lato, il casato avrebbe così mantenuto un rapporto privilegiato con il papato, che avrebbe garantito alla famiglia la presenza costante in curia, indipendentemente dal pontefice regnante. Dall’altro, i Caetani avrebbero continuato a prestare il proprio servizio e la propria fedeltà alla monarchia spagnola, senza divenirne semplici vassalli47.

Dicevamo del sopralluogo alle paludi da parte dei tecnici, nel maggio del ’23: su di esso le carte camerali dicono poco. Quel che colpisce è la totale mancanza di riferimenti a entrambe le visite del ’23 nella bibliografia: neanche a dirlo, non vi è alcun cenno negli autori ottocenteschi, Nicolai e nemmeno Tito Berti (autore di un’interessante monografia sulle Paludi Pontine48). Ma le visite del ’23 mancano anche negli autori che più recentemente hanno studiato i tentativi di bonifica49

. Qualcuno ha rintracciato nell’archivio della congregazione delle paludi i bandi emanati da Varese e Spada, spiegandoli semplicemente come un tentativo di «rimettere in ordine il circondario» delle paludi50. Mentre i bandi servivano alla congregazione proprio in vista del nuovo tentativo di bonifica, sia per conoscere meglio il territorio sia per sapere quali proprietari e quali beni espropriare. Inoltre erano provvedimenti legati alla visita di aprile, che si era limitata per lo più al territorio setino. Non stupisce, quindi, che la relazione della visita dei periti (di maggio) si trovi in un’altra sede: in un codice della collezione Chigi, custodito presso la Biblioteca Vaticana. Qui, sotto la dicitura “Paludi Pontine 1623”, sono raggruppati gli appunti e gli schizzi degli architetti, con le misurazioni e i livelli raccolti nelle paludi. Proprio in questo codice si dichiara, nelle prime carte, quale fosse l’intento del sopralluogo, oltre alla stesura della già citata pianta:

Si desidera sapere se le Paludi Pontine tutte, o parte siano capaci di bonificatione, e quando ne sian capaci, qual sia il modo più a proposito di bonificarle, e successivamente quanta sia per essere la spesa, e quanto l’utile di essa bonificatione51.

Venivano poi date agli architetti visitatori una serie di altre consegne, sempre concernenti il bisogno di informazioni e delucidazioni sullo stato delle paludi: «duvranno primieramente procurare d’haver luce al possibile stato, nel quale si trovavano i paesi de la bonificatione e i convicini del tempo che cominciò detta bonificatione»52. Non mancava quindi il riferimento alla bonifica precedente, della quale gli architetti dovevano approfondire le modalità: «con che regola, e methodo fosse intrapresa da principio detta bonificatione, e successivamente che fiumi sian stati aperti o serrati, che argini, che scoli siano stati fatti». Infine, si chiedeva ai visitatori di capire quali erano stati gli errori commessi sia durante la bonifica che dopo di essa. Inoltre, veniva chiesto ai tecnici di misurare quanti terreni avessero effettivamento tratto giovamento dalle precedenti operazioni di drenaggio. Dunque una vera ispezione per controllare gli effetti della bonifica sistina e il successivo operato dei soci bonificatori.

Seguivano poi una serie di dettagliate indicazioni su quali elementi inserire nella pianta: il circondario di bonifica, i terreni a grano distinti dai pascoli e dai terreni incolti, i fiumi con le loro «svolte e rotture» degli argini. In particolare, dovevano essere rappresentati nel dettaglio gli alvei del fiume Antico e del rio Martino53. Una particolare attenzione era infine riservata alle peschiere:

47

Ivi, p. 215.

48 T. Berti, Paludi Pontine, cit, p. 110-112.

49 Non è citata nemmeno nel volume collettaneo del 1995 a cura di G.R. Rocci, Pio VI..., cit. 50 A. Folchi, Le paludi pontine, cit, p. 28.

51 BAV, Chig.H.II.43, c. 385 r. 52 Ibidem.

53 Ivi, c. 386 r: «Non solo duvranno apparire in pianta i fiumi hoggidì correnti, o stagnanti, ma anco l’alveo del fiume antico, o d’altro, che si trovasse ripieno e così ancora il rio martino».

170

la pianta avrebbe riportato il numero complessivo di tali impianti, le loro denominazioni ma soprattutto quanto rendevano annualmente e chi erano i loro proprietari54.

Lo scopo della visita era principalmente quello di accertare «se le paludi sono capaci di bonificatione, o no» e quali fossero le soluzioni più opportune, cioè «se ha bene caminare con le regole vecchie, e attendere a mantenere gl’alvei, e scolatori già fatti, o pure farne de nuovi, serrarne de vecchi, slargarli fortificargli». Seguiva poi una raccomandazione interessante:

Intorno a che quando sovenisse alcun pensiero di cavare alvei nelo stato di Cisterna o Sermoneta con servirsi per esempio del rio Martino, fium’Antico, o altro, se ne dovrà fare un discorso a parte, e non per questo lasciar di proporre altri rimedij con presupposto, che non si voglia metter mano in altro territorio che ne i territorij di Sezza, Piperno e Terracina55.

Quindi, un eventuale progetto di bonifica avrebbe dovuto interessare esclusivamente i territori delle tre comunità di Sezze, Piperno e Terracina, accantonando ipotesi di intervento sui fiumi del ducato Caetani. Un’azione sui territori appartenenti ai duchi di Sermoneta richiedeva infatti una trattativa più complessa. Analoga indicazione veniva data per lo sfogo delle acque, che doveva avvenire a Levola: anche se non dichiarato esplicitamente, si suggeriva di evitare operazioni a Badino56. Gli architetti erano poi incaricati di stimare tempi, costi, numero di operai, e persino di bufali, necessari alla bonifica. Il progetto avrebbe dovuto risanare innanzitutto le tenute poste dentro il circondario («del cardinale Montalto, Giovan Batta Garzonnio, Giesuiti e altri») e poi quelle degli adiacenti. In una istruzione analoga alla precedente, venivano suggeriti anche i probabili interventi. Ad esempio, gli architetti si dovevano soffermare sui fiumi Cavata, Cavatella e Torre per valutare quanto sarebbe costata la loro ripulitura e se fosse necessario arginare le ripe del Cavata, considerando anche la possibilità di ripristinarne il percorso antico57. Si pensava quindi di sistemare nuovamente il fosso della Salcella, insieme ai tre fiumi citati, per migliorare le condizioni delle tenute Muti, Gigli, Garzonio e dei Gesuiti58. Già si pianificava la ripulitura del letto del fiume Sisto dagli alberi e arbusti che vi erano cresciuti, la sistemazione dei suoi argini in modo da «ridurlo al suo solito letto»: gli architetti erano incaricati di stimare il costo non solo di queste operazioni, ma di quanto «utile si cavaria dal taglio della legna»59. I visitatori avrebbero valutato la possibilità di far arrivare a mare le acque del Sisto mediante il fiume Antico; avrebbero poi stabilito se l’arginatura del Sisto potesse portare beneficio ai pantani setini.

Un’altra valutazione essenziale doveva rigurdare «l’opritura del Porto di Levola», in relazione ai costi e alle tecniche da adottare. E un altro intervento da considerare era lo sbancamento di «un’isoletta al Porto di Badino» – cioè in corrispondenza dell’altra foce al mare – per assicurare un miglior sfogo delle acque.

54 Ibidem: «Parimente duvranno apparire in pianta le peschiere, che hoggidì sono per le Paludi così in numero come in grandezza, co’ i nomi di esse peschiere, e di chi le possiede (...) che entrata rendano, o possano rendere i terreni, peschiere et altro posto dentro il circondario cosa per cosa distintamente».

55 Ibidem.

56 Ibidem: «Così ancora se metta conto aprir la bocca ne l’evola, o no, e aprendola se si deva fare con palificate, o senza nel sito di prima, o altrimenti».

57

Ivi, c. 388 r: «Si havrà l’occhio con notare il bisogno del fiume Cavata, Cavatella, e Torre, circa la lor’espurgatione, notando la spesa che sarà per andarvi, il bisogno dell’arginatura della Cavata, e l’introdurla in parte nell’alveo antico». 58 ASR, Cam. II, Paludi Pontine, b. 2, f. “1641”, cc. non numerate: «Il collegio dei Padri della Compagnia di Giesù possiede rubbia trentacinque di terreno in circa parte seminatorio, e parte paludoso, nel luogo detto la Tenuta commune, addiacente al Circondario della Bonificatione, che da capo confina con la strada di Bocca del fiume; da piedi con le paludi di Marcantonio Incasati. Da una banda il fiume della Schiazza, dall’altra il fiume Rosciolo, e Signori Pietrantonio, e fratelli Gigli. Qual terreno comprò dal quondam Mutio Giglio di Settembre 1622 si come per Instrumento pubblico. E più possiede rubbia trenta terreno inculto nella tenuta chiamata la Selce addiacente al Circondario che confina con li beni del signor Gio Batta Garzonio, fiume della Torre, e fossato detto di S. Iacomo, come per Instrumento pubblico al quale si habbia relatione di compra a favore di detto Collegio».

171

Gli architetti avrebbero quindi soppesato le possibilità di prosciugare e mettere a coltura le tenute comprese nel circondario, valutando per ciascuna quanti «sfogatori» (canali di scolo) sarebbero serviti, ad eccezione però della tenuta del Montalto per il quale evidentemente era previsto un trattamento di riguardo60.

Purtroppo di questa istruzione non conosciamo gli autori: il documento si chiude con l’indicazione della data (2 maggio 1623) e del luogo di provenienza, Sezze. Se gli autori fossero stati i cardinali di una congregazione pontificia sarebbe stata più logica la provenienza da Roma, ma sappiamo che alla visita presero parte i monsignori Varese e Spada come rappresentanti pontifici: probabilmente rimasero di stanza a Sezze mentre gli architetti si inoltravano nei pantani. Quindi potrebbero essere proprio i due monsignori gli autori del documento. Mentre si può escludere con sicurezza il vescovo, poiché citato nella lettera come destinatario di un bando per gli ecclesiastici.

Gli architetti avviarono così le misurazioni e le livellazioni, che troviamo appuntate nel manoscritto vaticano. Non mancò, prima, un’osservazione più generale del sistema idrografico setino da parte dell’architetto Breccioli:

Relatione de Bartolomeo Breccioli Architetto del Stato che si ritrovano li fiumi che passano per le padule Pontine in territorio di Sezze Piperno e Taracina e prima se incomincia dal fiume della Cavata in loco scontro la torre de Sezze detta la torre Petrata e in questo fiume entrano il fiume Tepia torrente, quale ha origine dalle montagne di Cori, il fiume de Ninfa, quale nasce a Ninfa a piedi la montagna, il fiume detto il Portatore de San