• Non ci sono risultati.

Un tentativo di bonifica da parte dei Caetani

5. La “vulgata” della bonifica

3.2. Un tentativo di bonifica da parte dei Caetani

Pochi anni dopo l’esperienza medicea, sarebbe stato il duca Bonifacio Caetani, figlio di Camillo, a tentare un risanamento delle paludi. Questa volta, però, l’area oggetto dell’intervento era quella superiore, tra Sermoneta e Sezze, non interessata dai lavori di Giuliano de’ Medici. Secondo Gelasio Caetani, che nel Novecento ricostruì la storia del casato, il duca Bonifacio avrebbe stipulato un accordo con Sezze e Terracina, riuscendo ad ottenere un chirografo dal papa per l’attuazione del progetto. Ma sembra che le condizioni troppo gravose imposte dal tesoriere della Camera avessero spinto il duca a ritirarsi. Interessato a questi lavori sarebbe stato anche il cardinale Carlo Borromeo64, che il 28 maggio 1565 aveva acquistato, insieme ai cugini Marco Sittico65 e Annibale Altemps, parte dei possessi del du Bellay, passati nelle mani di un capitano fiorentino (Martino Martini)66. Nel documento inedito, qui riportato, insieme alla vendita delle paludi venivano ceduti anche i diritti sulle selve, sulla caccia e sulla pesca, ma soprattutto il controllo del porto di Badino:

Pertanto hoggi che siamo alli 28 Maggio 1565 (...) personalmente avanti a un testimone et me Notario il detto Capitan Martino Martini Gentilhuomo fiorentino di sua certa scienza e spontanea volontà non da forza o violenza alcuna sedotto o circonvinto, et in ogni meglior modo che di raggione può et vale et debbe valere (reservato ancora in quanto sia di bisogno al beneplacito di Nostro Signore Papa Pio) vendette (...) et in perpetuo cedette concedette transferì et mandò all’Illustrissimi et Reverendissimi Signori Carlo Cardinal Borromeo et Marco Sitico Cardinal d’Altemps et Illustrissimo signor Conte Anibale de Altemps et a ciascheduno d’esso per la terza parte et a tutti e singoli quelli alli quali a Signorie Illustrissime et suoi heredi et successori piacerà tutte e singole sue raggioni reali et personali utili et dirette, tacite et espresse, ipotecarie pignorative et in rem scripte quali esso Capitan Martino tanto congiuntamente quanto divisamente ha et che gli competerà per qualsivoglia causa et occasione, et in qualsivoglia modo tanto in et supra le dette Palude Pontine Diocesi di Terracina, o altra diocesi valli desicchate et non desiccate ridotte et non ridotte a colture con tutte silve, arbori da tagliare et non da tagliare, prati, pasculi, campi, fiumi, fondi etiam col porto detto di Bandino, le cacce, le pesche, et altre Iurisditioni, attioni, emolumenti, frutti67.

Gelasio Caetani ipotizzava che l’interesse del Borromeo per l’agro pontino fosse dettato esclusivamente da motivi di ordine finanziario, collegati all’acquisto del 1565. C’è da dire, però, che i terreni di cui il cardinale entrò in possesso si trovavano in tutta altra zona – in area terracinese – rispetto a quelli oggetto del nuovo piano di bonifica. I terreni venduti dal capitano Martini erano

62

Una parte delle proprietà del cardinale Du Bellay sarebbe stata ceduta al Collegio Germanico di Roma, cfr. Nicolai

De’ bonificamenti, cit, p. 133. In realtà il Collegio Germanico beneficiò, insieme con l’arciconfraternita della SS.

Annunziata della Minerva, di 70 rubbi di grano e cento scudi annui “de et super vallibus seu paludibus dessicatis in territorio Terracinesi”, cfr. O. Montenevosi, Un tentativo di bonifica pontina nel secolo decimo sesto, in A.S.R.S.P., LXXII, 1949, pp. 179-188.

63 Su tutta la questione cfr. A. Bianchini, Storia di Terracina, Terracina, 1952, pp. 236-240. 64 M. De Certau, DBI, cit, vol. 20 (1977), pp. 260-269.

65 B. Ulianich, DBI, cit, vol. 2 (1960), pp. 551-557.

66 ASR, Cam. II, Paludi Pontine, b. 1, f. “Istromenti riguardanti diverse vendite di terreni pel disseccamento delle Paludi Pontine raccolti in questo volume”. Nicolai ricostruisce tali passaggi di proprietà senza far riferimento ai documenti (cfr. De’ bonificamenti, cit, p. 133).

118

infatti limitrofi alla tenuta Gottifredi poi Gavotti (infine Gabrielli), posta tra le proprietà di Piperno e quelle di Terracina.

Figura 5. ASR, Coll. Disegni e Piante, cart. 116, n. 23

Che il cardinale Borromeo avesse degli interessi economici in quest’area è confermato da un breve dello zio, Pio IV, del 24 agosto 1562: l’atto destinava i redditi e i frutti dell’episcopato terracinese al Borromeo68. Inoltre, dal giugno 1564, Borromeo ricoprì la carica di governatore di Terracina, per lui eccezionalmente vitalizia69. Gli interessi del cardinale per l’area pontina risalirebbero dunque al ’62. Quindi il breve carteggio, avviato già nel 1563, con Bonifacio Caetani per sollecitare un’azione di risanamento, sarebbe legato al ruolo eminente ricoperto dal cardinale. Probabilmente il cardinale, invece di avviare un piano di bonifica su larga scala, cercò di stimolare le iniziative dei singoli: oltre a questa iniziativa, infatti, Borromeo sosterrà anche quella della comunità di Sezze, autorizzandola con un motu-proprio a vendere i suoi pantani per un drenaggio.

Sono gli anni della “conversione”, in cui Borromeo si trasformava da cardinale brillante e mondano ad austero prelato. Radicale cambiamento coronato prima dall’ordinazione sacerdotale del 17 luglio 1563, poi dalla consacrazione a vescovo il 7 dicembre, nel giorno di Sant’Ambrogio. Tuttavia secondo Pastor l’interessamento per la questione delle paludi confliggerebbe con la nuova attitudine del cardinale, che non avrebbe avuto ragione di escogitare nuove forme di arricchimento70. Può darsi, però, che il cardinale fosse mosso dall’intento non tanto di arricchirsi, quanto di contribuire al risanamento dell’area. Per spiegare l’interesse del cardinale si possono richiamare altre circostanze: intanto la conoscenza dei luoghi, acquisita durante le battute di caccia di cui il cardinale era appassionato. Senza dimenticare la carica istituzionale ricoperta in quegli anni dal Borromeo che, in

68 ASLT, Not. Terracina, prot. n. 21, cc. 235-238; in L. Ployer Mione, Contributi per una storia..., cit, p. 428. 69 C. Weber, Legati e governatori, cit, p. 398: «C. card. Borromeo gubernator ad vitam 3.6.1564».

70 L. Pastor, Storia dei Papi…, Desclée, Roma, 1958, vol. VII, p. 325: «sembra strano che proprio in quell’anno egli si dedicasse ad escogitare nuove forme di arricchimento, a meno di non prestar fede alle malignità del cugino Marco Sittico, che in quello stesso periodo lo accusava di spilorceria e avidità».

119

qualità di referendario, esaminava le suppliche rivolte al papa: è probabile che avesse letto le richieste di Sermonetani e Sezzesi i quali, colpiti dai successi della bonifica medicea, premevano per un analogo intervento anche nei loro territori.

Il ruolo del Borromeo fu principalmente quello di mediatore tra i Caetani e il papa: a testimoniarlo alcune lettere tra il cardinale e il duca71. Nel breve carteggio con casa Caetani per la questione delle paludi, compare anche un altro mediatore, il vescovo di Terracina Ottavio Rovere, preziosa fonte di informazioni per Carlo Borromeo se non addirittura principale proponente del problema all’attenzione pontificia. Il vescovo Rovere cercò di convincere il duca Bonifacio ad adoperarsi per la bonifica, opera «utile alli territori contigui» e, per essere in questo senso più persuasivo, spinse i terracinesi a vendere alcuni loro terreni intorno al lago di Paola al duca Caetani. Un luogo definito dal vescovo «sterilissimo e di niun frutto, che si affittava prima dieci scudi l’anno»72 ma che, a dispetto di questa valutazione, venne venduto per ben 3000 scudi. Il possesso di tale appezzamento rientrava effettivamente nella logica del piano di bonifica, consistente nel deviare i corsi dei fiumi Ninfa, San Nicola e Teppia nel rio Martino e, tramite questo, nel lago di Paola (anche chiamato lago della Sorresca). Ma l’alto costo era anche legato al valore strategico (e non solo) che il possesso del tumoleto e del lago di Paola rappresentava per i Caetani. Come abbiamo già visto, da sempre il casato mirò a dare una continuità geografica ai propri possessi: in questo modo i Caetani si appropriavano finalmente dei tre laghi litoranei. Questo voleva dire poter esercitare il proprio controllo su tutto il settore costiero, senza contare gli introiti derivanti dall’appalto della pesca. Non a caso, il duca si fece carico anche delle spese notarili: «ditto illustrissimo Signore ultra li predetti tre milia scudi se contenta di pagare tutte le spese et scritture che ci andarando sì in Roma come fuora»73. Non era la prima volta che i Caetani cercavano di impadronirsi di quel territorio: nel 1550, ad esempio, i Caetani avevano cercato di ottenere dalla comunità di Terracina l’affitto dei pantani e del tumoleto del lago di Paola, senza però riuscirvi74.

Il 23 marzo del 1563 il sindaco della città di Terracina, Antonio Tonto, d’accordo con gli «ambasciaturi» della città (i due analfabeti Sebastiano della Bella e Troiano Caruso) e dietro autorizzazione del consiglio cittadino, scrisse al duca Bonifacio di aver valutato positivamente la sua offerta e di concedere in enfiteusi perpetua il terreno «tra lago e mare», al prezzo di tre mila scudi in moneta. Nell’accordo si delimitava genericamente il terreno in questione:

... con li infrascritti termini che il preditto Sebastiano dà: cioè il tra Mare e lago incomenzando da Paola per quanto porta il territorio de Terracina per le Tommoleta, con il pantano ch’è in ditto Tommoleto, per insino a una fossella che ce corre l’acqua del lago de Santa Laria che riesce al lago di Caprolace, et la ditta fossella s’intenda per confini cioè dalla prefata fossella verso il mare e Tommoleta sia del preditto illustrissimo Signore insiemi con tutta l’acqua di detta fossella et tutto il resto della banda della Maretima sia della comunità di Terracina75.

Per capire meglio la spartizione possiamo fare riferimento alla mappa del Meyer che, pur essendo cronologicamente successiva, riporta con precisione l’area dei laghi e indica il «tumoleto».

71 M. T. Bonadonna, Appunti sulle bonifiche, cit, p. 587. 72 Archivio Caetani, Fondo generale, 1563, c-7178 n. 56. 73 Ivi, 185150, 23 marzo 1563, Cisterna.

74 Ivi, 175566, 2 giugno 1550: «Umilissime messer Cola Sanio sindico di questa Comunità, al quale havemo dato commissione di esponer a Vostra Signoria Illustrissima quel che se è risoluto torno alla richiesta ci fe delli nostri pantani e tumoleti. Siché da lui intenderà il tutto».

120 Figura 6. Le paludi pontine delineate da Cornelio Meyer et novamente intagliate da G.B. Falda 1678, nella Stamperia di Bartolomeo Lupardi Stampatore Camerale, 1679.

L’accordo non era ancora una vera vendita, anche se ovviamente l’«affitto perenne» preludeva a un affrancamento definitivo. È evidente, però, tutta la debolezza di Terracina: ormai rappresentata da semi-analfabeti e pericolosamente sottomessa al potere dei Caetani. In questa prospettiva ben si comprendono le ragioni che portarono, nel giro di dieci anni, al suo commissariamento: rischiava di essere inclusa nel ducato dei Caetani, che avrebbero raggiunto il dominio politico e geografico su quasi tutta la regione pontina. Ma il papato non poteva tollerare un tale rafforzamento, per lo più ai confini con il Regno di Napoli. Sebbene la famiglia Caetani fosse fedele alleata del papa, infatti, era pur sempre filo-spagnola: il suo consolidamento poteva rappresentare un errore strategico per la sicurezza di Roma.

Per la conclusione della vendita era inoltre necessaria l’autorizzazione del pontefice: da notare che fu la comunità di Terracina a chiedere tale consenso76. Pio IV avrebbe concesso il proprio beneplacito, ma a patto che si tentasse una bonifica. Una lettera del vescovo di Terracina, Ottavio Rovere, a un agente dei Caetani chiarisce l’andamento della transazione: «Io ho avvertito monsignor illustrissimo Datario a ciò mandi a monsignor Illustrissimo e Reverendissimo Bonromeo comu[n]’ patrono il motu proprio segnato da Nostro Signore per il quale si permette alla Comunità

121

di Terracina che possa vendere all’Illustrissimo Bonifatio Caetano pro pretio iter eos convento ut conveniendo, una tenuta detta tra mare et lago»77. Dunque il cardinale Borromeo fece da tramite tra il papa e il duca Caetani per la concessione del motu proprio a patto, però, che il duca portasse avanti il progetto di bonifica sostenuto dal cardinale:

hac lege adiecta [con l’aggiunta di questa condizione], che signor Illustrissimo Bonifatio sia obbligato (...), di

far quelle megliorationi al paese di Sezza di Piperno et di Terracina che dall’Illustrissimo et Reverendissimo cardinal Bonromeo sarà dichiarato, considerato la pianta del paese s’è trovati espediente che seguendo il disegno antico sua Signoria illustrissima diverta fra quattro anni il fiume di Nemfa, di S. Niccola et della Teppia, et li conduca per il Rio Martino alla Torre di Paula, a ciò non percutino et inundino più quella fertilissima pianura, come si può vedere per il disegno mostrato a sua Santità et all’illustrissimo et Reverendissimo cardinal Bonromeo78.

Purtroppo non è stato possibile rintracciare tale disegno: è comunque chiaro quale fosse il piano di bonifica, ed è rilevante che venisse considerato un «disegno antico». Borromeo stava portando avanti il progetto di bonifica leonardesco? Rimane il dubbio, anche perché Leonardo prevedeva di sfruttare l’assai più vicino lago di Fogliano piuttosto che quello di Paola. C’è da dire, in proposito, che il lago di Fogliano costituiva, con i suoi affitti della pesca, una voce molto consistente nel bilancio di casa Caetani. In una Memoria di tutte l’intrate del Stato dell’Illustrissimo signor di

Sermoneta79 del 1525, Fogliano rappresenta la peschiera più redditizia, rispetto ad analoghi possedimenti della famiglia. Su una rendita complessiva di 11.232 ducati, lo «Stagno di Fogliano» contribuiva quasi per il 10% , con i suoi 1.032 ducati:

Memoria di tutte l’intrate del Stato dell’Illustrissimo signor di Sermoneta

Tivera ducati 700

La Dovana di Nymfa 1500

Santo Donato, Zennito, la Defesa s.to Felice 1000

Il Stagno di Fogliano 1032

Lo Prato di Acquapuzza e Tufette 150

Il Ponte della Truova e Piscinali 126

La Pescara delli Monti 165

Le entrate più consistenti del bilancio – quelle cioè che superavano i mille ducati – erano costituite dalla dogana di Ninfa, dalle rendite di Cisterna (2.000 ducati) e dalla gestione dei mulini (1.400 ducati). Seguivano poi Fogliano, le aree in parte paludose di San Donato e Zenneto (con peschiera) e infine la rendita del grano (1000 ducati). Capiamo, a questo punto, perché i brevi di Leone X non avessero convinto il duca Guglielmo. La deviazione nel lago, attraverso il collettore Martino, di tutte le acque superiori avrebbe messo a repentaglio le attività di pesca: troppo alto il rischio di alterare i delicati equilibri lacustri, basilari per la riproduzione del pesce. Nel 1623 la pesca sul lago risultava ancora la più redditizia con i suoi 3100 scudi di rendimento annuale80.

I Caetani, di fronte alla ghiotta possibilità di acquistare il tumoleto e il lago di Paola - si mostrarono inizialmente disponibili all’intervento, ma di fatto ne rinviarono l’esecuzione finché non venne abbandonato. Il progetto di bonifica viene solitamente attribuito al Bombelli, anche se probabilmente l’intuizione iniziale non fu sua: del progetto già si discute nel 1563, mentre il matematico Bombelli giunse a Roma solo nel 1567. Inoltre, come detto, l’idea di sfruttare la direttrice del rio Martino per ricevere le acque superiori era stata formulata già in occasione della bonifica medicea.

77 Ivi, c-7178 n.56, 1563. 78 Ibidem.

79 Ivi, 122714, 1525, cc. non numerate, copia.

80 BAV, Cod. Chig.H.II.43, c. 501 r: «Peschiera del lago di Fogliano dell’Eccellentissimo Signor Duca di Sermoneta s’affitta libbre 500 di Pescie grosso che a valutarlo giulij doi la libra monta scudi 100 e più scudi 3000 che in tutto sono scudi 3100».

122

La scusa dei Caetani per rimandare l’inizio dei lavori fu proprio quella di non poter disporre di tecnici all’altezza del problema: nemmeno quando il casato ebbe al proprio servizio un matematico come Raffaele Bombelli – reduce peraltro dalla riuscita bonifica della Val di Chiana – i lavori vennero avviati. A dissuadere il duca Bonifacio dal tentare una tale impresa erano state, probabilmente, anche le stime delle spese che avrebbe dovuto sostenere. Nel giugno del 1564 il papa non aveva ancora firmato il motu proprio: il duca allora – pur di ottenere il beneplacito papale all’acquisto del tumoleto - si impegnava ufficialmente ad avviare il piano di regolazione delle acque. Una lettera del duca Bonifacio al nuovo vescovo di Terracina, Francesco Beltramini81 – in data 5 giugno 1564 – mette in luce il sottile gioco delle parti in atto tra il duca e il papa:

Hieri recevetti la sua delli tre, in resposta li dico et con tutto che questo negotio de tirar queste acque che sono nocive alli territorii de vicini, ve sia di una grossissima spesa, perciò io me forsarò di far cosa che sia grata, et alla Santità di Nostro Signore et utile alli territori contigui, dechiarando che le acque che parturiscono inundationi non solo nel mio paese, ma ancora alli vicini apportano piene grossissime et tingeno d’impedi[men]to gran parte dei lor territorii, sono le acque del fiume de Ninfa, et della Teppia, le altre sono fiumicelli che non pigliano piena ne fanno nocumento alcuno, ansi darriano danno alla ricognizione dei confini a levarli, dal loro letto ordinario, si come potrà far vedere il Reverendissimo Boromeo essendo reposta in sua Santa Reverendissima iusta dechiaratione, et li homini del paese ne faranno fede, ne bisogna che essi corra[n]’ da me a furia, essendo el negotio importantissimo et so[n]’ certo che Sua santità non mancharà come per l’altra mia li scrissi di farmi delle gratie senza suo dispendio et favorire questa mia volontà, et spero in Vossignoria che se affaticarà per me con la santità Sua et me sarrà caro di intender quando serrà segnato il motu proprio et haver ne copia, come ad me sarrà caro andando lei a Terracina passando de qui di vederla, et con questo fine resto sempre a suo servitio che Nostro Signore iddio la contenti, dalla Cisterna alli 5 de giugno 1564.

Come fratello Bonifacio Caetano82.

La richiesta di Bonifacio è molto chiara: si sarebbe fatto carico della «grossissima spesa» necessaria a ristabilire l’ordine idrico, a condizione di ottenere dal pontefice il via libera per l’acquisto del «tumoleto». La mediazione del vescovo di Terracina – non più Rovere, ma Beltramini reduce dalla nunziatura in Francia83 – fa sì che il duca sia piuttosto esplicito nelle sue richieste: per essere più persuasivo, Caetani sottolinea come al papa basterà semplicemente firmare un motu proprio, senza doversi far carico di ulteriori spese («senza nessun dispendio»). Sorprende anche la piena consapevolezza da parte del duca delle condizioni del territorio e dell’origine degli allagamenti: principali colpevoli i fiumi Teppia e Ninfa, che attraversavano gran parte del suo feudo.

Questa lettera di giugno sortì probabilmente l’esito sperato, poiché due mesi dopo – in un’altra lettera sempre indirizzata al vescovo Beltramini – il duca risulta essere in attesa di «haver in mano il motu proprio»84. Dunque il papa ha autorizzato la vendita e, infatti, Bonifacio sta scrivendo al vescovo proprio per ringraziarlo del suo operato. Nel frattempo Beltramini è in trattative con i terracinesi per la cessione della tenuta «tra mare et lago». Convincerli non è stato facile, come testimonia il duca Caetani: «hebbi questi giorni la lettera di vossignoria per la quale ho conosciuta la fatiga che essi ha presente per effettuare il negotio ch’è tra me, et la Città di terracina della tenuta tra mare et lago di che nela rengratio infinitamente»85. L’acquisto risulta in fase conclusiva solo a gennaio del 1565, quando la comunità di Terracina invitò il duca a versare la somma dovuta non a mediatori ma direttamente nelle proprie casse86.

Nella missiva dell’agosto ‘64, Bonifacio faceva riferimento anche a un’altra questione, che si agitava con la comunità di Sezze. I setini avrebbero dovuto ridurre l’argine di un fiume di confine, il fiume delle Tartalette: in violazione di alcuni capitoli di accordo stabiliti con i Caetani quindici

81

Cfr. R. Zapperi, DBI, cit, vol. 8 (1966), pp. 75-78.

82 AC, Fondo generale, c-7299, 5 giugno 1564, Cisterna, Bonifacio Caetani a monsignor Francesco Beltramini. 83 D. A. Contatore, De Historia Terracinensi..., cit, l. IV, cap. III, p. 419.

84 AC, Fondo generale, c-7312, 4 agosto 1564, Cisterna, il duca Bonifacio al vescovo di Terracina: «Hora stassi aspettando di haver in mano il motu proprio, co’ la dichiaratione di Mons. Reverendissimo Boromeo, per possermi metter all’ordine, et dar principio a far lavorare per metter a Paula, lo fiume di Nenfa con quello di S. Nicola».

85 Ibidem.

123

anni prima, infatti, la comunità aveva rafforzato le arginature, per difendersi dagli allagamenti87. Il duca, però, aveva provveduto a danneggiare tali difese88, affermando che i setini non potevano avanzare diritti particolari su quei territori, godendo soltanto il diritto di pascolo. Ma l’episodio aveva di fatto riaperto una questione delicata, che rimarrà insoluta per diversi anni (ne troviamo