• Non ci sono risultati.

Una lunga fase di stallo: le proroghe e le liti (1601-1623)

5. La “vulgata” della bonifica

4.1. Una lunga fase di stallo: le proroghe e le liti (1601-1623)

Le ricostruzioni tradizionali delle vicende legate alla bonifica tendono, giunte a questo punto, a saltare direttamente ai tentativi di bonifica della metà del Seicento, durante il pontificato Barberini. Anche in questo caso è la versione di Nicolai a influenzare gli autori successivi. Nella sua opera, infatti, l’abate accenna ad alcune rivendicazioni dei locali nei confronti dei soci bonificatori. Ma liquida rapidamente la questione, con una spiegazione decisamente di parte:

Attesa la confusione delle cose, e la diversità de’ pareri, non parve prudenza rimettere in possesso di quegli inondati terreni, di cui erasi già una volta fatta la separazione, gli antichi padroni, come appunto essi dimandavano: poiché mentre gli uni inclinavano ad asciugarli per la coltivazione, ed altri a mantenerli paludosi per la pesca, la opposizione de’ fini, e la necessaria contrarietà delle operazioni avrebbe recato un pregiudizio considerabile a tutto il territorio pontino. Inoltre (...) parea cosa troppo dura ed aspra troncare a un colpo ogni speranza a tante persone, che con lodevole consiglio aveano versato somme grandissime di denaro nell’asciugamento delle paludi1

.

La congregazione delle paludi e, in generale, le autorità romane avrebbero adottato, secondo Nicolai, la decisione migliore: lasciare il circondario nelle mani dei soci bonificatori avrebbe comportato la sua messa e coltura e, dunque, il proseguimento della bonifica. Mentre la restituzione ai precedenti proprietari avrebbe incentivato il riallagamento di quei terreni. Era ovviamente una congettura, che serviva a Nicolai per giustificare l’operato della Camera apostolica. Nei loro reclami, gli ex proprietari non rimpiangono affatto i loro terreni inondati, semmai il contrario. Sentimento comune tra gli ex proprietari era, infatti, il disappunto per l’insuccesso dei lavori di bonifica che invece di ridurre l’estensione dell’allagamento avevano finito per aumentarla. Gli ex proprietari dei terreni del circondario, infatti, erano per lo più abitanti delle comunità vicine che volevano semplicemente rientrare in possesso dei loro beni, sperando finalmente di coltivarli. Mentre, occorre ricordarlo, i membri della compagnia di bonifica appartenevano al ceto eminente romano: nobili e cardinali che ben altro peso ebbero nelle decisioni delle congregazioni romane. L’analisi del Nicolai, quindi, risulta poco attenta alle comunità locali, considerandole evidentemente ostili alla bonifica, ancorate su posizioni arretrate. Ma, d’altro canto, non si può ridurre una figura complessa come quella del Nicolai a semplice difensore di parte, a sostegno delle autorità romane. L’abate, in qualità di segretario della Congregazione economica, fu invece strenuo difensore dei ceti più poveri ed inermi della società2. Nicolai aveva concentrato il suo studio delle vicende pontine sulle scelte dell’autorità romane probabilmente perché egli stesso si era ritrovato in situazioni non dissimili. Nicolai, infatti, fu al servizio di papa Pio VI in occasione della bonifica del 1777: probabilmente dovette fronteggiare analoghe richieste di restituzione e fu quindi più interessato a ricostruire le varie strategie adottate dalle autorità romane, piuttosto che le rivendicazioni dei locali. Tuttavia, poiché la storiografia sulle paludi ha fatto costante riferimento all’imponente ricostruzione del Nicolai, ne è conseguito un certo disinteresse verso tutto ciò che non fosse direttamente collegabile alla bonifica. Solo in tempi recenti alcuni studiosi si sono interrogati sulle ragioni delle

1 N. M. Nicolai, De’ bonificamenti, cit, p. 141.

160

comunità3. Inoltre, non va trascurata una motivazione “documentaria”: i documenti relativi alle comunità sono sparsi tra gli archivi camerali e il Buon Governo, cosa che rende meno immediata la loro reperibilità. Inoltre, i vent’anni successivi alla bonifica sistina sono poco rappresentati nelle fonti camerali. Il fondo di riferimento, quello della congregazione delle paludi pontine, è infatti carente di documenti proprio per questo periodo. Documenti che vanno quindi ricercati in altri fondi e in altri archivi: poiché non mancarono motivi di scontro sui terreni bonificati, la documentazione è rintracciabile in altre sedi. Il territorio pontino, inoltre, necessitava di continua manutenzione e cominciò ben presto a dar segni di squilibrio. È soprattutto l’archivio del Buon Governo a permettere di seguire le vicende delle comunità locali, spesso in gravi difficoltà economiche, causate anche dal mancato versamento dei rimborsi dovuti da bonificatori ed eredi. Lo scarso interesse nei confronti di questi argomenti potrebbe trovare una doppia spiegazione: se la maggior parte degli atti di questo periodo riguardano peschiere e vicende ad esse collegate, vuol dire sia che la congregazione delle paludi si limitava a gestire tali affitti, sia che la bonifica sistina non era riuscita, visto che l’area continuava ad essere allagata e sfruttata per la pesca. Ciò avrebbe irrimediabilmente ridimensionato la portata del successo sistino, finendo per intaccare l’immagine del pontefice e delle congregazioni cardinalizie. L’abate Nicolai riconosceva i limiti della bonifica sistina, ma ne attribuiva il fallimento ai privati che l’avevano condotta, dimenticando che Sisto V era ancora in vita quando le piogge primaverili avevano compromesso molte delle opere di canalizzazione4.

Morto Sisto V, già nel 1591 Gregorio XIV fu costretto a nominare un giudice sulle paludi - il cardinal Piatti - per fronteggiare le proteste di comunità locali ed ex proprietari che pretendevano di tornare in possesso dei propri beni, ma non solo. Il giudice-cardinale Piatti venne infatti consultato anche su altre questioni. Dalle carte del Buon Governo, emerge come Piatti componesse una controversia sull’affitto delle selve di Sezze, che vedeva contrapporsi il collegio cittadino dei Gesuiti all’inadempiente affittuario della comunità, Martio Negri5

. Per risolvere rapidamente la questione, Piatti aveva imposto alla comunità di Sezze il pagamento dell’affitto dovuto dal Negri. Più che la questione in sé, però, è importante rilevare come l’azione di Piatti non si limitasse alle questioni strettamente legate alla bonifica, ma spaziasse anche in altri campi. Probabilmente perché la nomina di un giudice sulle paludi rispondeva a un intento più generale di pacificazione di quei territori: il giudice poteva intromettersi anche in questioni di pertinenza del Buon Governo, pur di ristabilire la tranquillità.

Una volta scaduta la quindicennale concessione delle paludi a favore del Fenizi (1601), le comunità locali cercarono di rientrare in possesso dei territori espropriati. Ma le rivendicazioni dei locali poco poterono nei confronti dei ben più influenti bonificatori. I maggiori “azionisti” della compagnia di bonifica erano stati proprio cardinali ed esponenti della nobiltà, in grado di far valere la loro autorevolezza e posizione presso le autorità romane. Così, su sollecitazione dei bonificatori ancora in vita e dei loro eredi, papa Aldobrandini accordò una proroga di altri quindici anni ai soci bonificatori perché portassero avanti la bonifica avviata da Fenizi.

3

A. Folchi, Le paludi pontine, cit, pp. 25-27. L. Palermo, Pesca, peschiere e conflitti economici nell’area Pontina in età

moderna, in V. D’Arienzo e B. Di Salvia, Pesci, barche, pescatori nell’area mediterranea dal medioevo all’età contemporanea, Franco Angeli, Milano, 2010, pp. 333-354.

4 N. M. Nicolai, De’ bonificamenti, cit, p. 139: «Sarebbesi veramente potuto e dovuto colla sovrana autorità costringere gli impresarij ad apprestare colla maggiore speditezza que’ rimedij, i quali a giudizio de’ periti fossero paruti opportuni a correggere i difetti dell’opera fatta: ma i tre pontefici, che a Sisto successero, Urbano VII, Gregorio XIV, Innocenzo IX, ebbero un pontificato tanto breve, che non poterono né provedervi, né pensarvi».

5 ASR, Archivio del Buon Governo, serie II, Sezze, b. 4503, cc. non numerate: «dell’anno 1604 la Communità de Sezze, versò alli Reverendi Padri Gesuiti scudi 1194 a bon conto de maggior summa che la Communità de Sezze doveva havere da Martio Nero de Sezze quali Padri Gesuiti cessionarii ottenero per acto exequutivo contro detto Martio Neri affittuario delle selve della detta Comm.tà dalla felice Memoria del Cardinal Piatto Giudice deputato ordinario delle Paludi».

161

E perché si appropinqua il fine del detto termine assegnato a far detta disseccatione, et detta bonificatione se bene con molta loro spesa hanno diseccato buona parte di dette paludi come attendeva et vogliono attendere alla diseccatione del resto, e se bene si crede che li detti bonificatori possano liberamente proseguir detta disseccatione etiandio doppo spirato detto termine se ben si crede, che detta concessione sia perpetua, con tutto ciò per maggior loro sodisfattione ne hanno supplicato vogliamo fargli gratia di prorogarli detto termine ad altri quindici anni6.

Dunque tale proroga si presentava più che altro come una precauzione a favore dei soci bonificatori, i quali sostenevano che la cessione dei terreni fosse «perpetua». In realtà, secondo quanto stabilito da Sisto V, la concessione a Fenizi era limitata a quindici anni e subordinata al successo della bonifica. Ma i bonificatori, ricordando le grandi spese fin lì sostenute, avevano convinto il pontefice a rinnovare l’accordo. Bastò fare leva sul fatto che solo loro sapevano come portare avanti i lavori che avevano cominciato anni prima.Terminata la proroga, le comunità pontine cercarono nuovamente di recuperare i terreni espropriati, appellandosi all’insuccesso dei bonificatori.

Come abbiamo visto, Paolo V decise di nominare tre cardinali come giudici sulla questione: il breve di incarico (20 settembre 1616), pubblicato da Nicolai, riportava le gravi inadempienze dei bonificatori denunciate dalle comunità locali.

Universitates et homines praedicti nobis exponi fecerunt, bonificationem non solum fuisse penitus omissam; verum etiam corruptis ex industria aggeribus fluminum, deviasse aquas ad Piscinas, quae tamquam bonificationi de directo contrariae fuerunt a principio sublatae, illasque per dictos Bonificatores locari ad usum piscandi in maximum dictarum Universitatum, et Camerae nostrae Apostolicae, et Annonae Urbis damnum et praeiudicium; et propterea ad eorum bona paludes et piscinas redintegrari instent7.

Le comunità affermavano che la bonifica non solo era stata completamente trascurata, ma che gli stessi bonificatori avevano permesso la rottura degli argini e la deviazione delle acque per formare delle piscine. Piscine che i bonificatori avevano prontamente dato in locazione, con grave danno della bonifica. Sarebbe avvenuto, cioè, l’esatto contrario di quanto detto dal Nicolai: sarebbero stati proprio i soci della compagnia di bonifica, constatata l’impossibilità di frenare il ritorno all’impaludamento, a dare in affitto per la pesca le aree di nuovo impaludate. Per i bonificatori era semplicemente un modo per recuperare il denaro investito nell’impresa di bonifica. Ma così facendo la palude stava, letteralmente, recuperando terreno.

Come abbiamo già detto, i cardinali Bandini Filonardi e Lancellotti si espressero a favore dello scioglimento del contratto, a meno che i bonificatori non riuscissero a dimostrare, tempo un mese, le spese e i miglioramenti sostenuti. Nel fondo della congregazione, però, non ho trovato né documenti di spesa né testimonianze dei miglioramenti: tant’è che i cardinali preferirono controllare con i propri occhi la condizione reale della pianura. Nel 1623, infatti, venne organizzata una visita alle paludi pontine. All’origine di questa visita ci furono varie ragioni: le questioni che si agitavano tra le comunità locali e i nuovi proprietari dei terreni “bonificati”, il riaccendersi di vecchie liti tra il ducato di Sermoneta e la cittadina di Sezze, nonché un nuovo piano di bonifica.

Una prima visita alle paludi avvenne nell’aprile del ’23, ma un sopralluogo più accurato, nel quale vennero misurate lunghezze, distanze e livelli, si tenne nella prima decade di maggio.

Uno dei motivi della visita cui abbiamo accennato, era il riaccendersi dei contrasti tra la comunità di Sezze e il ducato di Sermoneta. La vicenda ruotava intorno alla deviazione del corso del fiume Teppia, che per i Sezzesi avrebbe aumentato il rischio di inondazioni nelle loro terre. Nell’ottobre del 1612, infatti, il cavafossi Tiberio aveva scritto al duca Filippo Caetani in merito all’apertura del nuovo alveo del fiume. A Sermoneta, qualche giorno prima, il figlio del cavafossi aveva vinto il bando per «la nova Teppia»8: i lavori erano stati avviati subito, ma lo scavo era «entrato più dentro

6 ASR, Cam. II, Paludi Pontine, b. 2, f. “1601”, 15 marzo 1601, Chirografo di Clemente VIII per la proroga della concessione di bonifica.

7 N. M. Nicolai, De’ bonificamenti, cit, p. 141.

8 AC, Fondo Generale, 88096, 20 ottobre 1612: «Tiberio di Natale cavafosso devoto Oratore di Vostra Eccellenza gli espone come alli giorni passati, mentre si ritrovava alla sua patria Lucantonio suo figliolo ritrovandosi in Sermoneta et

162

al pantano» di quanto previsto. Vista la trentennale esperienza al servizio del duca, il cavafossi aveva capito subito che l’opera sarebbe stata più costosa «bisognando far cavare molti ciocchi d’alberi tagliati». Per non compromettere la riuscita dei lavori, Tiberio chiese al duca di intercedere con il luogotenente perché gli pagasse qualche giornata in più, altrimenti l’intera operazione sarebbe stata compromessa e le maestranze necessarie avrebbero abbandonato i lavori. Il duca Caetani intervenne in suo favore, chiedendo al luogotenente di trovare un accordo per il pagamento del cavafossi9.

Il rifacimento del torrente Teppia alterò gravemente il già precario equilibrio idraulico dell’area, scatenando le ire dei Sezzesi. Lo scontro si accese al punto che il Buon Governo decise di inviare il segretario Diomede Varese, insieme con il chierico di Camera, non ancora cardinale, Bernardino Spada. Alcune testimonianze di questo sopralluogo sono rintracciabili, infatti, anche nell’archivio Caetani. L’intento del sopralluogo doveva essere principalmente quello di stendere una pianta delle paludi da sottoporre al pontefice. Tuttavia, l’arrivo delle autorità romane fu colto dalle popolazioni pontine come un’occasione per rendere note e cercare di risolvere le liti che si agitavano da anni nella realtà locale. I lavori di questi anni consistettero, probabilmente, nella deviazione delle acque del Teppia nel fiume Ninfa attraverso il così detto fosso novo, un fosso divisorio costruito tra la tenuta Communale di Sezze e la tenuta delle Cartichette10. Solo successivamente, nel 1644, il Teppia, che fino ad allora scorreva nei pressi di Torre Tre Ponti, si sarebbe aperto naturalmente, o con l’aiuto dei Sermonetani, una nuova strada fino al fiume Cavata compromettendo ulteriormente le condizioni dei campi setini.

Insieme ai rappresentanti curiali, parteciparono alla visita anche architetti e maestranze varie. L’architetto responsabile della redazione della pianta era Bartolomeo Breccioli. Sebbene l’attività di questo architetto sia ancora da studiare, preziose indicazioni biografiche sono riportate nelle Vite del Baglione. Breccioli, originario di S. Angelo in Vado nel ducato di Urbino, sarebbe stato a Roma allievo di Domenico Fontana. Tornato a Urbino avrebbe lavorato, in qualità di idraulico, ai mulini di Fano e nel porto di Pesaro e, come architetto, alla chiesa di San Francesco. Nuovamente a Roma, ristrutturò palazzo Caetani al Corso (oggi palazzo Ruspoli), completando il cornicione e l’altana (insieme a Martino Longhi il giovane). Breccioli continuò a prestare servizio per la famiglia Caetani: su suo disegno venne infatti edificata la torre di Fogliano sul litorale tirrenico, nel territorio di San Felice appartenente ai Caetani. A Roma intervenne nella chiesa del Gesù ed edificò la stalla per il palazzo del cardinal Lante. Restaurò anche il palazzo dei signori Amadori all’arco di Portogallo sul Corso11. Insieme a Carlo Maderno e a Domenico Castello, lavorò alla villa papale di Castel Gandolfo. Dopo la morte del Maderno (1627) portò a termine alcune delle sue opere. Dal dicembre del ’27 all’aprile del 1633 fu ufficialmente misuratore camerale, ma il suo nome compare già nel gennaio 1623 nelle più importanti «misure et stime» di opere in corso a Roma12. Secondo quanto rilevato dagli storici dell’arte, Breccioli fu al servizio dei Caetani almeno fin dal 1612, ma solo dal 1624 divenne il loro architetto di fiducia13. Secondo Gelasio Caetani, però, l’investitura ad

bandendosi la nova Teppia che si doveva fare, offerse di farla lui per quattro giulii la canna di larghezza palmi trenta in cima et in fondo palmi vinticinque, et cupa palmi sei et di spondelle palmi tre per banda da farsi secondo il disegno mostratoli, et con restò a lui, et si obligò con un suo parente di farla con le suddette qualità et già è stata cominciata a farla».

9

Ivi, verso: «Il luogotenente si unisca con gli officiali et vedano di concordar il supplemento con il prezzo che sarà conveniente et col maggior vantaggio, che sarà possibile per la Comunità. In Cisterna a 20 di ottobre 1612. Il Duca di Sermoneta».

10 ASR, Cam. II, Paludi Pontine, b. 4, f. “1704 - Visita fatta dal Card. Spada per esaminare le difficoltà sorte fra il duca Odescalchi bonificatore delle Paludi ed i cittadini di Terracina”, c.12 A r: «(144) All’incontro risposero i Signori Sezzesi (...) che prima del 1643 le acque della Teppia non entravano nella Ninfa, ma proseguivano il loro corso per il fosso divisorio, fra la Tenuta del Communale, e quella delle Cartichette chiamato fosso nuovo, essendovi ancora oggi l’Argine vecchio sopra descritto».

11 G. Baglione, Le vite de’ pittori, scvltori et architetti. Dal pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a’ tempi di

papa Urbano Ottavo nel 1642, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano, 1995, [rist. anast.], pp. 248-249.

12 M. Tafuri – A.M. Corbo, Breccioli (Famiglia), DBI, vol. 14 (1972), pp. 93-94.

163

architetto di famiglia sarebbe avvenuta già nel 1621, quando il Breccioli scriveva come «humilissimo servitore» una lettera di raccomandazione per un giovane «che veria a servire Vostra Eccellenza per insegnare matematica e di fortificatione al signor don Gregorio suo fratello»14. In una lettera del 6 aprile 1623 il cardinale Antonio Caetani scriveva al nipote Luigi sulle «differenze coi Sezzesi», raccontando l’esito della visita dei monsignori Varese e Spada ai luoghi interessati. La lettera, seppur di difficile lettura, svela alcuni interessanti retroscena. Il cardinale era molto ben informato sull’andamento della visita: raccontava, infatti, di come i monsignori avessero avuto un «contraddittorio» con il rappresentante del duca Caetani (tale Tolomei), alla presenza anche di alcuni ufficiali di Sezze. Breccioli, che partecipava alla visita per redigere la mappa, avrebbe poi dovuto riferire in congregazione anche in merito a un altro aspetto: un nuovo piano di bonifica delle paludi, vera motivazione dell’invio dei due monsignori («... della bonificatione a che detti monsignori furono inviati»15). Il cardinale sperava di ottenere dall’architetto un responso favorevole al duca, visto che «il Breccioli è architetto et amico di casa come Vossignoria sa, e però speriamo che farà rilatione favorevole». Quindi sembrerebbe confermata l’ipotesi di Gelasio, per cui Breccioli era al servizio del casato già nel 1621. Inoltre, sembra che addirittura lo stesso monsignor Varese avrebbe rassicurato i Caetani sulla distribuzione delle spese a carico di Sezze: «e monsignor Varese dice che non gli dà fastidio caricar la spesa supra Sezzesi, come interessati in tutto quello che hanno in questa materia»16.

Anche nel fondo della congregazione delle paludi sono reperibili alcuni documenti relativi ai sopralluoghi dei monsignori: in data 22 aprile, il chierico di Camera Spada e il segretario del Buon Governo, Varese, risultano in viaggio in qualità di « deputati super visione Paludum pontinarum». Giunti a Sezze il 24 aprile, il giorno seguente i monsignori partirono per le paludi accompagnati dai rappresentanti del cardinale Montalto, del socio bonificatore Garzonio, del governatore della provincia e da alcuni architetti, tra i quali ricordiamo Bernardino Calamo e, soprattutto, Paolo Marucelli17.

L’esplorazione iniziò ai piedi dell’abitato di Sezze, dove si trovavano «quantità de Prati di diversi particolari di Sezza» che venivano chiamati genericamente la Selva. Erano terreni solo parzialmente lambiti dalle paludi e in cattivo stato più che altro per la cattiva manutenzione dei fossi scolatori18. D’altro canto, però, questi campi avevano tratto beneficio dalla costruzione del fosso della Salcella ad opera dei bonificatori sistini: «si vede però ricevere utile dalla Salcella fosso fatto dalli Bonificatori, et con diligenza che si facesse ogni anno si renderebbe a coltura». Il problema principale sembrava essere la manutenzione dei fossi. I prati erano adibiti a vari usi: «se vede se ne vogliono ad uso di pascoli et di falciare, l’uso de pascoli è entrata della Comunità, il falciativo và a utile de proprii padroni, et in caso di seminarli l’utile è de medesimi Padroni libero»19

. Nel settore compreso tra le pendici dei monti e le strada della Torre (che partiva da torre Petrata) si trovava un