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5. La “vulgata” della bonifica

4.3. Il caso particolare di Sezze

La comunità di Sezze risulta tra le più attive nel recupero dei propri beni e nel tentativo di conseguire un reale miglioramento delle tenute. Le molte carte prodotte dalla comunità per i primi 30 anni del Seicento, conservate nel fondo del Buon Governo, raccontano le difficoltà in cui versava la cittadina pontina. Le aree paludose vendute nel 1564 al capitano Troiano de Amatoribus (o di Amatori) – ovvero i pantani di Sancto Iacomo, compresi tra il fiume della Torre e le Selci (la via Appia) – erano passate nelle mani del capitano Matteo Valletta e di Giovan Battista Garzonio, erede del socio bonificatore Gaspare168. Insieme all’atto di vendita del ’64, la comunità e Troiano avevano concordato una serie di patti per la costruzione di un canale di scolo che doveva drenare le acque in eccesso. A tal fine, Sezze aveva concesso al capitano Troiano il permesso di tenere un branco di bufali, che dovevano servire a mantenere puliti i letti dei fossi169. Negli anni successivi, però, i nuovi proprietari Valletta e Garzonio non avevano rispettato i patti del contratto, mantenendo su quei terreni «doi Procoii formati di Bufali contro la forma dell’Instromento e Capitoli sudetti, et anco dispositione del nostro statuto»170. Dunque i nuovi proprietari avevano preferito di gran lunga l’allevamento a qualsiasi tentativo di bonifica, finendo per impiantare veri e propri recinti (i «procoi» appunto) per le greggi. Ma la scelta di destinare al pascolo quell’area aveva avuto gravi conseguenze per i campi vicini: le bufale infatti avevano danneggiato non soltanto i campi seminati,

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Ibidem: «bisogna aprire la bocca di Levola, e scavare, slargare, nettare e arginare il fiume Sisto Traverso e la Cavata grande sino alla torre di Sezza (...), nettare e slargare il fiume antico da torre Taccona sino alla sua sboccatura in fiume Sisto, levare tutte le Peschiere che sono nelli fiumi, e a quelle cavare e sradicare tutti li pali e arelle (...), riserrare tutte le rotture che sono nella via Appia, nettare sboscare il fiume della Cavatella ed al Portatore d’arbori, herbacci e ogn’altro impedimento».

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Ibidem: «Non voglio restare di proponere che saria bene pigliare l’acque vive sorgente com’è il fiume di Ninfa, e tutte l’altre acque che nascano da Ninfa in giù sino all’acqua Puzza, e unirle tutte insieme alla Torre di Sezze, e farle andare per il fiume della Cavatella, e unitamente condurle sempre dietro alla via Appia sino a ponte Maggiore».

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Ivi, c. 504 r. 168

ASR, Buon Governo, serie II, Sezze, b. 4503, cc. non numerate: «È molto tempo, che la nostra Communità vende al quondam Capitan Troiano di Amatori alcune suoi tenute paludose, con molti capitoli, e patti e tra gli altri, che fussi lecito a detto Capitan Troiano e suoi successori ritenere in dette Tenute solo con Branco di Bufali di numero cinquanta e non più ad effetto di purgar li fiumi, e ritenendosi al presente in esse tenute dal Capitan Giovanni Mattheo Valletta e Giovanni Batta Garzonio successori di esso Capitan Troiano doi Procoii formati di Bufali... ».

169 ASR, Cam. II, Paludi Pontine, b. 1, f. “1564”, cc. non numerate: «Cum sicut accepimus nuper sive alias exhibitis per dilectum filium Capitaneum Troianum de Amatoribus laicum Esinum (...) Communitatae terrae Setiae (...) Paludes Sancti Iacobi nuncupatae iuxta earum confines in perpetuum pro certa pecuniarum summa ac cum pactis, et conditionibus tunc sibi dari sive concedi» (cfr. note 112-115 della I parte).

170 ASR, Buon Governo, serie II, Sezze, b. 4503, cc. non numerate, 22 luglio 1634, Lettera del sindico e degli ufficiali di Sezze alla Congregazione del Buon Governo.

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ma gli argini dei fiumi e i fossi scolatori171. A quel punto la comunità di Sezze aveva fatto appello al cardinale Bandini, uno dei tre cardinali-giudici sulle paludi deputati da Paolo V. Attraverso la mediazione del cardinale, la comunità di Sezze era giunta a un accordo con i signori Garzonio e Valletta: costoro si impegnavano ad aprire un fosso sotto la Selce, cioè al di sotto della via Appia, per drenare le acque che avevano allagato le due tenute della comunità, le Cese e la Tenuta grande. Infatti, le due principali tenute comunitative, il cui affitto assicurava un introito certo per le casse setine, si ritrovavano in buona parte allagate. Come testimoniano indirettamente gli atti di locazione, i due appezzamenti, prima sfruttati per la coltivazione del grano, erano divenuti assai meno redditizi. La tenuta delle Cese risultava interamente sott’acqua, anche nei punti meno profondi: «in detta tenuta nel più alto vi sono otto palmi di acqua»172. Secondo una testimonianza cronologicamente posteriore, il cardinale Bandini e il segretario del Buon Governo Santarelli si sarebbero addirittura trasferiti a Sezze nel 1613 «solo per quietare li continui romori erano in Congregazione de Bonoregimine tra quella Communità et il Garzonio et Valletta»173. La presenza del segretario del Buon Governo, accanto al giudice sulle paludi, conferma dunque quanto abbiamo già rilevato nel II capitolo e cioè che, almeno fino alla stabilizzazione della magistratura sulle paludi, il Buon Governo intervenne direttamente nella gestione del territorio pontino. La compresenza dei due rappresentanti era correlata alla natura stessa del problema: l’allagamento delle tenute comunali di Sezze, infatti, implicava una riduzione nelle entrate della comunità, soggette al controllo del Buon Governo. Finchè non si fosse risanato il dissesto idrico, quindi, la comunità non avrebbe potuto risanare il proprio bilancio.

Ispezionati i luoghi ed ascoltate le parti, il cardinale Bandini giunse così alla stipula di uno strumento di concordia: Garzonio e Valletta si obbligavano pubblicamente a «far fare un fiume sotto la via appia, o Selice, il quale apporta utilità grandissima alle tenute contigue di essa Communità»174. Per capire dove fossero le tenute citate possiamo far riferimento a una loro schematica rappresentazione, conservata nel fondo del Buon Governo.

171 Ivi, cc. non numerate: «con danno non solo delli sementati, argini di fiumi, e fossi che sono nel nostro Campo ma ancora delle selci quali vengono in modo tale danneggiate che ritenendosi detti Procoii in questo campo in poco tempo saranno affatto destrutti, e rovinati».

172 Ivi, Rotilio Valletta [depositario della comunità di Sezze] al cardinal Barberini (prefetto della congregazione del Buon Governo), 8 gennaio 1633.

173 Ivi, lettera di Rotilio Valletta alla Congregazione del Buon Governo, 21 agosto 1632: «Rotilio Valletta Depositario della Communità di Sezze per utilità di essa (...) espone come dell’anno 1613 si trasferì a Sezze l’Eminentissimo signor Cardinal Bandino bona memoria et Monsignor Santarelli».

190 Figura 18. ASR, Buon Governo, serie II, b. 4503, Sezze.

I pantani di San Giacomo, divenuti proprietà di Garzonio e Valletta, erano delimitati da un lato dal fosso della Torre, nella sua parte iniziale denominata Bocca di fiume e dall’altro dalla via Appia. Sulla pianta qui riportata si nota – anche se poco leggibile – l’indicazione di un «fosso sotto selcia», cioè al di sotto della via Appia. Era proprio il fosso che Sezze pretendeva venisse aperto e mantenuto pulito dai nuovi proprietari. Nei pressi di tale fosso, infatti, si trovavano beni della comunità: dunque l’esistenza del canale era funzionale al drenaggio di diversi campi vicini. È il vicecommissario di Sezze, Ciammarucone, a descrivere con estrema chiarezza la collocazione geografica delle maggiori tenute della comunità:

Il campo di Sezza inferiore ha tre fiumi che nascono nel territorio di Sermoneta: il principale e più grosso è la Cavata che nelli tempi d’inverno e piovosi si altera da molti torrenti et hoggi sta diviso in doi letti uno chiamato Cavata, l’altro fiume Sisto che hannno molte rotture nelle ripe verso detto campo, et altri impedimenti nel ritardare il loro corso.

L’altro è la Cavatella più vicino al detto campo, tra il quale et il fiume Cavata la Communità di Sezza ha una tenuta Grande che hora sta locata a annua risposta di rubbia di grano 140.

L’altro è il fiume della Torre tra il quale et il fiume Cavatella sta la via Appia e tra questa via e Cavatella sta un altra tenuta minore di detta Communità chiamata le Cese.

Dunque sulla pianta si possono individuare sia la tenuta delle Cese, che la tenuta Grande (chiamata tenuta della Comunità): entrambe le tenute erano soggette ad allagamenti frequenti, causati per lo più dalle piene dei fiumi che le lambivano. È nuovamente esemplare la spiegazione del vicecommissario setino:

Dalle rotture et impedimenti che sono in detta Cavata e fiume Sisto nasce che continuamente versano acqua verso dette tenute, et in maggior copia quando si alterano dalle pioggie e dalli torrenti entrando prima in detta tenuta Grande e poi superando gli argini della Cavatella in dette Cese.

La Cavatella similmente ha alcune rotture nelle ripe verso dette Cese et altri impedimenti che ritardano il suo libero corso donde viene che versando acque nella tenuta delle Cese hoggi stanno tutte inondate, e rese sterili a fatto; le sudette acque per li tempi passati havevano l’esito in gran parte sopra la strada Appia e per alcuni ponti e rotture che stavano in detta strada, ma dopo che mediante il signor Cardinal Bandino e Monsignor Santarello secretario di quel tempo della Sacra Congregazione super Bono Regimine fu celebrato instrumento di

Via Appia

Fosso sotto Selcia (Appia) Cavata

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concordia tra questa Communità da una banda et il signor Giovanni Battista Garzonio e Benedetto Valletta dall’altra, nel quale se diede facoltà alli suddetti di serrare le rotture e ponti, e di arginare la via Appia come hanno fatto e fanno per divertire l’acque dalle loro tenute, è peggiorato il stato della suddetta tenuta delle Cese.

Se quindi la tenuta Grande subiva frequenti allagamenti dai fiumi Cavata e Sisto, specialmente in corrispondenza di precipitazioni abbondanti, le Cese erano doppiamente vulnerabili. Una parte delle acque poteva provenire proprio dalla vicina tenuta Grande, ma la fonte principale dell’allagamento era il fiume Cavatella. Cavatella che in passato poteva sfogare le proprie piene sulla via Appia e sui campi oltre di essa, ma da quando questi campi, i pantani di San Giacomo, erano divenuti proprietà di Garzonio e Valletta l’Appia era stata arginata, le aperture murate e l’acqua della Cavatella fermata alle Cese. Ciò aveva comportato un grave peggioramento delle condizioni di questa tenuta, poiché le acque, private della loro via di fuga, vi ristagnavano impaludando il terreno.

La concordia siglata da Bandini, oltre ad autorizzare i due nuovi proprietari a chiudere le «rotture» della via Appia, li obbligava ad aprire un fosso sotto la strada in cui confluissero le acque in eccesso della Cavatella, liberando il campo delle Cese. Ma il fosso, stando alla relazione di Ciammarucone, non era stato aperto. Con grave danno sia della tenuta Grande che «hora è paludosa nella terza parte» e la cui resa/affitto erano quindi diminuiti, sia delle Cese che veniva affittata per 9 rubbia di grano, mentre prima ne rendeva 40 l’anno. Nel 1624 la tenuta era stata affittata per la cifra ridotta a Giovanni Calabrese, per cinque anni, a partire dall’agosto 1625. Calabrese si impegnava a spendere cinquanta scudi durante il primo anno di affitto «per servitio e reparatione degli argini della detta Tenuta delle Cese». Inoltre prometteva di aprire «un fosso alla mano della Selce da lungo a lungo, et un altro fosso alla mano della Cavatella», cioè due canali di sfogo per le acque in eccesso della via Appia e della Cavatella, oltre a una serie di fossi per mantenere ben drenata la tenuta. Ma evidentemente gli interventi non erano stati realizzati, se nel corso degli anni seguenti la tenuta divenne sempre più paludosa e sempre meno appaltabile. Nel 1629, ad esempio, la comunità di Sezze aveva dato in appalto le sue entrate, senza però riuscire ad affittare la tenuta delle Cese, poiché completamente allagata175.

Sezze aveva poi ricevuto l’offerta del capitano Giovanni Matteo Valletta, figlio di Benedetto, il quale avrebbe corrisposto 20 rubbia l’anno per nove anni «per servirsi di detta tenuta ad uso di sementi, e pascoli». Valletta voleva inoltre «atturare tutte le rotture de fiumi» per risolvere il problema dell’allagamento e prometteva di spendere cento scudi in questi lavori176

. Il capitano aveva chiesto alla comunità, oltre alla tenuta, anche la cessione dei diritti di legnatico sugli alberi che crescevano dentro e sulle sponde del fiume Sisto (comprese in una larghezza di dieci canne su entrambi i lati), per tutto il tratto compreso nel territorio setino. In cambio, il capitano prometteva addirittura di cavare il fiume Sisto per deviare in esso le acque in eccesso177. Ma la comunità, consapevole delle difficoltà insite in queste operazioni e dell’abbondanza delle piene soprattutto d’inverno, fu poco persuasa dalle proposte di Valletta: «si ha per certo, e quasi per impossibile, che detto signor Capitano possi atturare dette rotture de fiumi essendo l’acque dell’inverno abbondantissime»178. Inoltre, secondo Sezze, anche se l’intervento di otturazione delle aperture

175 Ivi, vescovo di Comacchio e governatore di Campagna e Marittima Sacrati al Buon Governo, 12 marzo 1630: «La Communità di Sezza l’anno prossimo passato 1629 affittò le sue entrate, e solo restò la tenuta delle Cese che nell’antecedente affitto era stata locata per rubia nove di grano, per il mancamento l’ha causato le rotture de fiumi che hanno inondato la detta tenuta, et altri impedimenti fatti alli cursi dell’acqua dalli signori Garzonii».

176 Ivi, lettera non firmata alla comunità di Sezze, presumibilmente di G. M. Valletta: «Volendo la communità di Sezze locare a me a tutto frutto di sementi e pascoli la tenuta delli Cesi, che hora sta tutta inondata per anni nove, prometto di spenderci in una volta sola del mio scudi cento in serrare le rotture che ha nelle ripe et in alzare alcuni luoghi bassi, e cavar fossi per il difetto de quali, e divenuta sterile, et inondata, quali scudi cento voglio poterli spendere in diversi anni a mio arbitrio».

177 Ivi, Vescovo di Comacchio e governatore di Campagna e Marittima Sacrati al Buon Governo, 12 marzo 1630: «ma che la Communità li havesse donato tutta la legna, et arbori, che sta nel fiumi, chiamato fiume Sisto, e la legna che sta nel spatio di dieci canni di larghezza dall’una all’altra via di detto fiume, e di lunghezza per quanto si stende il territorio di Sezza, che è di molte miglia e di cavare detto fiume per divertir l’acque».

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negli argini si fosse fatto in estate, le piene invernali avrebbero aperto nuovi varchi, riportando sott’acqua la tenuta. Anche la concessione della tenuta esclusivamente a fini agricoli poteva rivelarsi controproducente. Sezze temeva che i signori Garzonio, per deviare dalle loro proprietà le acque in eccesso, avrebbero finito per allagare l’altra proprietà comunitativa, la tenuta Grande, con danno ancora maggiore179. Per sbloccare la situazione di stallo, Sezze si rivolse a monsignor Alfonso Sacrati, governatore di Campagna e Marittima tra il 1628 e il 1632180. Nel marzo del 1630 Sacrati fornì il proprio parere alla congregazione del Buon Governo:

parmi che si raccolga esser pur troppo debole l’offerta fatta di scudi 20 per annuo pagamento della tenuta in territorio di Sezze detta le Cese, et che si stima inosservabile la promessa dell’oblatore di mantenere chiuse le rotture per le quali correndo l’acque si rende detta tenuta inutile a seminarsi, e finalmente, che il danno alla suddetta tenuta venga per non haver i detti Garzonii fatto il fiume sotto la via Appia secondo la conventione, che si suppone esser già passata tra detti e la Communità, onde io crederei dovesse mandarsi in faccia al luogo, e vedute le transattioni, dovesse arbitrarsi se la suddetta tenuta delle Cese debba ella prestar lo scollo all’acqua de Garzonis181.

Dunque Sacrati riteneva troppo esigua l’offerta di affitto di 20 scudi annui. Inoltre la proposta dell’affittuario di chiudere i varchi aperti negli argini non poteva risolvere, per il governatore, il problema delle Cese il cui allagamento derivava piuttosto dalla mancata canalizzazione degli scoli della tenuta Garzoni. Fondamentale sarebbe stato quindi un sopralluogo per stabilire se le acque della tenuta Garzoni potessero sfogarsi nelle Cese, o non dovessero, piuttosto, essere opportunamente incanalate. Infatti, continuava il vescovo comacchiese, se le Cese non dovevano dar scolo alle acque della tenuta Garzoni, allora spettava proprio ai suoi proprietari la regimazione degli scoli. Diceva Sacrati: «mi parrebbe ragionevole, che sostenessero essi le proprie acque, e le inalveassero, o che pure volendo lo scollo per le Cese pagassero l’Interesse». Dunque se i Garzoni si fossero rifiutati di intervenire con opere di canalizzazione, avrebbero dovuto pagare un indennizzo, una sorta di diritto di servitù per lo scolo delle acque.

Nel maggio del 1630 l’affitto della tenuta venne nuovamente messo all’asta: asta cui presero parte, tra gli altri, anche Rotilio Valletta e Giovanni Matteo Valletta. Il documento relativo registra proprio l’andamento dell’asta, con le varie controfferte: il primo offerente fu Tranquillo Pacifico, che proponeva un affitto di quindici scudi, cui rispose Rotilio Valletta aggiungendo uno scudo di più e metà del bosco. I due si alternarono, aggiungendo uno scudo alla volta fino all’intervento di Giovanni Matteo Valletta, che arrivò a 18 scudi182. A quel punto Rotilio offrì 20 scudi e oltre alla metà del bosco aggiunse anche la possibilità, per la comunità, di seminare una piccola porzione di terreno (senza purtroppo dare ulteriori indicazioni). Grazie a questa aggiunta, Rotilio sembrò aggiudicarsi l’asta: tuttavia la comunità decise di prorogare il bando, non soddisfatta delle offerte pervenute183. La tenuta sarebbe stata affittata per cinque anni, a partire dal 15 agosto 1630, «con patto che al locatario sia lecito solo sementarla, e tenerla per uso di pascolo, (...) et con patto ancura, che alli Bufali della Communità sia lecito pascervi senza far danno». Dunque rimaneva ancora l’uso

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Ivi: «Si potrebbe concedere al signor Capitano detta tenuta per uso de sementi solamente, ma si dubita che impedendo li signori Garzonii all’acque il suo natural corso, non venghi ad inondarsi l’altra tenuta della Communità, che apportarebbe doppio danno».

180 C. Weber, Legati e governatori ..., cit, p. 182. 181

ASR, Buon Governo, serie II, Sezze, b. 4503, monsignor Sacrati vescovo di Comacchio e governatore di Campagna e Marittima al Buon Governo, cit, 12 marzo 1630.

182 Ivi, Bando e offerte per l’affitto delle Cese, 26 maggio 1630: «Dominus Tranquillus Pacificus oblat scuta quindecim annua / Dominus Rutilius Valletta oblat scutorum unum cum salta dimidii / Dominus Tranquillus Pacificus oblat scuta duo cum salta dimidii / Dominus Rutilius Valletta oblat scutorum unum cum salta dimidii / Dominus Tranquillus Pacificus oblat scuta duo cum salta dimidii / Dominus Capitaneus Ioannes Mattheus Valletta oblat scuta tria cum salta dimidii / Dominus Rutilius Valletta oblat scuta quinque cum salta dimidii et ad usum serendi tantum».

183 Ibidem: «Per Illustrissimus Dominus Commissarius sedentis prefata suprascriptam oblationem prorogari mandavit per totam diem Dominica prossima ventura acceptantem eamdem oblationem factam per eumdem Dominum Rutilium a favorem Communitatis et Ita. Eminentissimus Jo. Bapta Quarat[esi] Commissarius».

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da parte di Sezze di pascolarvi i bufali, con grave rischio degli argini fluviali. Rotilio, già affittuario della tenuta Grande e depositario delle entrate comunitarie, fu però costretto a rilanciare l’offerta fino ad arrivare a 32 scudi184. Ma la proposta di affitto doveva essere approvata nel consiglio cittadino: consiglio che, stando a Rotilio, non sarebbe mai stato riunito. Intanto Rotilio Valletta cercava di far valere le proprie ragioni, ammonendo il commissario cittadino dall’affittare la tenuta delle Cese se prima Garzonio e Benedetto Valletta non avessero costruito il fosso scolatore, largo 25 palmi e profondo cinque185. Il monito del depositario non era ovvimante disinteressato: come egli stesso ammetteva, Rotilio era l’appaltatore della tenuta Grande186

e, aggiungiamo noi, aveva cercato di prendere in affitto la tenuta delle Cese. Inoltre, temeva che anche la tenuta Grande potesse subire un allagamento, poiché contigua all’altra187

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Alla fine, come testimonia il commissario cittadino Quaratesi, Sezze decise di dare in locazione la tenuta a patto che «prima si astrignessero Benedetto Valletta, e Giovan Batta Garzonio a fare il