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Alcune suggestioni per cambiare piano

POLITICHE, PROCESSI E RIFLESSIONI PER UNA GOVERNANCE DEL CIBO DI COMUNITÀ A PARTIRE

4. Alcune suggestioni per cambiare piano

Se è vero che le aree interne sono lo spazio dove os­ servare il cambiamento e l’emancipazione dalla crisi multidimensionale attraverso innovazioni inconsuete (Carrosio, 2019), per cogliere queste innovazioni sono necessari paradigmi nuovi, evitando di rischiare di rein­ quadrarle in schemi conosciuti, e spesso già sanciti nelle stesse aree come fallaci. L’ambito delle politiche del cibo, per il suo possibile impatto nell’organizzazione socio­ecosistemica di un territorio, risulta un interes­ sante potenziale spazio di trasformazione socio­ecolo­ gica, di possibili “cambi di piano” rispetto a quello che il paradigma dello sviluppo ha proposto finora a questi territori. Per farlo, può essere utile contemplare almeno tre livelli di “sforzo”, o meglio, tre pratiche di decoloniz­ zazione dell’immaginario dominante.

1) De­antropizzare lo sguardo sul territorio.

Come ci invitava Berg (a cura di Moretti, 2016) già negli anni ’70 per “ri­abitare” e mettere in pratica politiche che permettano la sopravvivenza ecologica dei territori è necessario assumere uno sguardo che ne veda al loro interno le relazioni eco­sistemiche, e che queste siano punto di partenza per la loro organizzazione. Il concetto di vuoto per descrivere le aree poco abitate dagli esseri umani è fallace e riduzionistico, perché porta a pensare che solo quando gli esseri della natura sono utilizzati in funzione degli umani, questi esistono. Può essere utile guardare a modelli di organizzazione dell’insediamento umano, e della produzione del cibo, che permettano la coesistenza di più vita possibile, umana e non.

2) Ampliare lo sguardo sul sistema economico locale, vedendo oltre il quadro ontologico dell’economia di mercato.

Il concetto di decolonizzazione dell’immaginario è stato già utilizzato con riferimento alla possibilità di guardare la civiltà umana oltre i confini dell’economia della cre­ scita (Latouche, 2004). I territori rurali, ed in particolare le aree interne, dove l’organizzazione del modello eco­ nomico capitalistico dell’epoca della modernizzazione ha generato crisi molteplici, possono essere luoghi dove si guarda ad altri paradigmi e modelli organizzativi dell’economia locale. Ripensando l’economia nella sua

radice etimologica di “amministrazione della casa”, è importante utilizzare concetti capaci di vedere le diver­ se pratiche di amministrazione e riproduzione del − e nel − territorio. Gibson-Graham (2008) parla di divers

economies, concetto che inquadra pratiche economi­

che alternative e non all’economia di mercato. A que­ sto scopo propone una lista tripartita, che può essere utile ai processi di ricomposizione del sistema locale del cibo e di identificazione dei suoi attori e le pratiche che li rappresentano, che include:

transazioni che fanno circolare beni e servizi (che inclu-

dono economia di mercato, mercati alternativi, e tran- sazioni non di mercato); lavoro (includendo lavoro sala- riato, lavoro con compensazioni alternative, lavoro non pagato); imprese (che include tutte le imprese capitaliste non che producono, si appropriano e distribuiscono il surplus).” (Gibson­Graham, 2008, pp.6, mia traduzione).

3) Sfidare le gerarchie del sapere e del potere e come queste influiscono nei processi di governance loca­ le.

Il concetto di colonialidad è stato coniato per spiegare quali erano le gerarchie invisibili che operavano come principi di organizzazione della divisione del lavoro e dell’accumulazione del capitale negli assi trasversali nord/sud come anche tra conoscenza scientifica/altri sistemi di conoscenza (Quijano, 2000; De Sousa San­ tos, 2010). Come ogni ambito della relazionalità sociale, anche quello delle politiche partecipative non è esente dalle relazioni di potere. Il concetto di “partecipazione ottimale” è problematico (Drydyc, 2010, p. 333), ci sono elementi che devono essere valutati in termini di esiti e condizioni, poiché lavorano in un rapporto dialettico con la partecipazione, ovvero i processi democratici e l’empowerment. La qualità della partecipazione di­ pende dalla fase del processo nella quale i cosiddetti non “esperti di sviluppo” “entrano” a partecipare (tab.3) (Drydyk, 2010; Goulet, 1995).

Tabella 3. Possibili “punti di entrata” nel processo partecipativo. Fonte: Elaborazione propria a partire da Drydyk (2010).

Si potrebbe aggiungere che non conta solo il “punto di entrata” ma anche quello di uscita, ovvero, fino a che fase i diversi attori vengono considerati. Si tratta co­ munque di processi partecipativi, ma, come identificato da Caporal (1995), esistono diversi “tipi di partecipa­ zione” che si delineano rispetto al peso che i soggetti partecipanti hanno durante le diverse fasi del processo decisionale (Cuellar, Calle, 2011). Considerando la so­ stenibilità del sistema agroalimentare come una stra­ tegia che si elabora contestualmente e coerentemente alla realtà e necessità degli attori che lo compongono (Sevilla, Soler, 2009), per guardare la completezza degli attori che lo compongono è necessario vedere tutti quei soggetti che mantengono vivo e riproducono il territo­ rio, dai giardini, nei minifondi, ai boschi d’alta quota, alle colline di grani di sementi locali e alle forme eterogenee di fare economie del territorio, tra pratiche market e non market. Nell’ottica della sostenibilità del territorio, i pro­

cessi di istituzionalizzazione di nuovi paradigmi per la governance del cibo possono “prendere il coraggio” di localizzarsi tra gli attori che effettivamente animano il sistema agroalimentare locale, e se ne prendono cura perché produca e si riproduca nel tempo. Il coraggio consiste nel riconoscere il loro sapere e potere di de­ cisione attraverso una decostruzione della divisione e rappresentazione dei ruoli classici dei processi di po-

licy making, dove generalmente chi decide lo può fare

perché ha la visione più completa della problematica. Zibechi (2007) spiega come la delocalizzazione del po­ tere nelle comunità locali ha la potenzialità di liberare la capacità di fare delle stesse. Il sistema locale del cibo delle Madonie, com’è attualmente, è un congiunto che si muove nel reticolato complesso e vivo che è il “terri­ torio” (Magnaghi, 2000), dall’agroecosistema, i soggetti che lavorano in maniere diverse la terra e ne riproduco­

no le basi ecologiche e culturali – come ad esempio il paesaggio agrario – dell’agroecosistema, e i diversi flussi di circolazione del cibo nell’area, attraverso i nodi locali della distribuzione.

Alla luce di queste considerazioni risulta importante che nei processi di istituzionalizzazione dei sistemi agroalimentari locali si prendano in considerazione le

divers economies (Gibso­Graham, ibidem) che li com­

pongono. Se queste ultime entrano a comporre i quadri cognitivi che guardano all’esistente, questo risulterà un po’ “più pieno” rispetto al vuoto che precedentemente si notava. Inoltre, per costituire paradigmi di governance territoriale del sistema del cibo, se lo scopo del Piano del Cibo è quello della Sovranità e Sicurezza Alimenta-

re16 per gli abitanti del territorio, l’approccio delle filiere ad alto valore aggiunto, che è quello attualmente pre­ diletto dalle politiche di sviluppo rurale, non è l’unico possibile e forse non sempre quello appropriato. Infat­ ti, il ruolo del completamento della filiera del cibo, per quanto corta sia, è quello di creare più valore aggiunto nei territori rurali (Mardsen, Banks, Bristow, 2000), e non necessariamente più cibo o più empowerment della co­ munità nella sua gestione.

Come ci invitano a riflettere gli studiosi Vivero Pol, et

al. (2019) nella tensione verso la sovranità alimenta­

re il sistema del cibo è interpretato come un “bene comune”17. Si necessita quindi pensare e facilitare la partecipazione degli attori della comunità locale come un processo che avviene dall’analisi del problema alla retro­alimentazione sulla strategia operata per affron­ tarlo. L’empowerment di comunità, nella governance del sistema agroalimentare, si può facilitare attraverso strategie adatte all’esistente, che riconoscano la co­ munità nel complesso reticolato di scambi e pratiche culturalmente ed ecologicamente significative che la compongono.

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