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4 “Coralità produttiva” e politiche del cibo

Illuminante, in tal senso, è il concetto di “coralità pro- duttiva” di Becattini (2012; 2015) che racchiude il valore identitario di un territorio: un patrimonio di conoscenze, attitudini, valori, cultura e senso di identità che rendono una determinata comunità adatta a certe produzioni nello scambio globale. Ogni luogo ha un suo grado di coralità produttiva, basato sulla vicinanza tra imprese e sulla «omogeneità e congruenza culturale» delle fami- glie, del governo locale, dei riti religiosi, delle culture, de- gli sport e degli stili di vita; un insieme di capacità uma- ne e condizioni materiali irripetibili altrove che affonda le radici nella storia, nella cultura e nei saperi produttivi di uno specifico territorio (Magnaghi, 2014, pp. 41-42). Nella coralità produttiva, il cibo assume un ruolo “rifon- dativo” «come innesco primario delle pratiche di nuove relazioni di prossimità e dei più complessi processi di ricostruzione della comunità locale […contribuendo…] a ridefinire e ricostruire sistemi produttivi, culturali, arti- stici, comunicativi complessi e integrati a livello locale» (Ibidem). Questi sistemi diventano espressione della «potenza autoriproduttiva e autorigenerativa» delle co- munità locali e delle loro reti solidali (Agnoletti, 2010). I piccoli Comuni possono “comporre” pratiche e politi- che intorno al cibo o meglio inerenti il sistema locale del cibo – quest’ultimo definito nella letteratura clas- sica come la filiera delle attività connesse alla produ- zione, trasformazione, distribuzione, consumo e post consumo di cibo, incluse le istituzioni e le attività di regolamentazione connesse (Pothukuchi e Kaufman, 1999) – mediante azioni pubbliche coerenti con gli obiettivi di sviluppo sostenibile (EC, 2019) e condivise con la comunità. In tal modo è possibile rimodulare il grado di coralità produttiva sul recupero o il manteni- mento di cultivar autoctone, sulla salvaguardia (e rige- nerazione) culturale di tradizioni produttive e gastrono- miche e sulla valorizzazione e commercializzazione di prodotti tipici.

È bene precisare che produrre secondo le metodiche autentiche/storiche, a partire dal sistema di coltivazio- ne e di allevamento (pastorale tradizionale), garantisce l’identità vera del prodotto “tipico” perché è espressio- ne di un’autentica identità agricola/pastorale in un rapporto di continuità territoriale o culturale; la rivisi- tazione della metodica di produzione, per consentire la produzione in contesti contadini e di allevamento non tradizionali, invece, sminuisce il prodotto “tipico”, riconducendolo a semplice prodotto “locale”, anche se ottenibile con lavorazioni artigianali.

Detto questo, diverse possono essere le iniziative in grado di innescare un processo evolutivo della struttura organizzativa del sistema di produzione, circolazione e riproduzione delle risorse ad esso legato che ruotano intorno al sistema dei prodotti tipici: politiche alimenta- ri, forme di filiera corta, turismo esperienziale, itinerari

enogastronomici, innovazioni all’insegna dell’economi- ca circolare e della tutela dell’ambiente, della salute e della biodiversità, pratiche biologiche che escludono l’uso di pesticidi, riduzione degli sprechi alimentari, raccolta differenziata, eco-imballaggi, ecc.

Gli attori da coinvolgere e con cui dialogare attraverso incontri e iniziative sono il collante della comunità, ov- vero: agricoltori, allevatori e trasformatori locali (ad es. salumifici, mulini, torrefazioni, laboratori di prodotti da forno, pastifici, aziende di conserve di verdure, produtto- ri di bevande alcoliche, ecc.); i residenti/consumatori; le istituzioni che progettano, regolamentano e governano il sistema del cibo, coerentemente con le politiche lo- cali, attraverso servizi e iniziative (ad es. recupero col- turale e produttivo delle terre incolte, pubblici acquisti delle scuole, gestione dei rifiuti) elaborati localmente e a livelli superiori (AA.VV., 2018); le associazioni del terzo settore (ad es. redistribuzione delle eccedenze alimentari ai più bisognosi); i turisti.

In questo processo evolutivo, nuovi attori, nuove fun- zioni e nuove modalità di coordinamento in parte so- stituiscono e in parte affiancano le precedenti; in tal modo si creano o si modificano le dinamiche territoriali e settoriali, si spostano i centri di regolazione e si mo- dificano gli spazi territoriali di riferimento e confronto (Marescotti, 2002).

5. Sinergia di forze e idee per

migliorare la qualità della vita e

produrre ricchezza durevole

La qualificazione dello spazio del borgo o del piccolo centro storico come luogo esperienziale, relazionale e di condivisione di valori identitari legati ai prodotti tipici, può portare a una riconfigurazione del sistema locale del cibo sulla base della condivisione delle informazioni (provenienza e qualità dei prodotti), dell’instaurarsi di nuove relazioni con gli stakeholders e della messa in atto di imprenditorialità condivisa e di nuove iniziative di scambio (Brunori e Galli, 2017; Marino e Cicatiello, 2012). Tutto ciò può stimolare, consolidare e ampliare il bacino di utenza. Come è noto, la scarsa dotazione di attività commerciali nei Comuni interni e montani costituisce un potenziale elemento di forte ostacolo nell’accesso al cibo da parte delle popolazioni residenti in queste aree, mediamente più anziane che nel resto del territorio, che per approvvigionarsi sono costretti a spostarsi di alcuni chilometri con un mezzo proprio o a ricorrere all’aiuto di familiari o conoscenti che periodi- camente si spostano per i loro acquisti. Se, ad esempio, si recuperano cultivar autoctone e antichi vitigni e si producono su scala più ampia specialità enogastro- nomiche tradizionali, si possono creare circuiti corti di produzione/trasformazione/consumo, si possono apri- re cantine e botteghe, “rivitalizzare” i negozi di prossi-

mità con referenze locali, fornire la ristorazione locale, promuovere iniziative (sagre, fiere, itinerari del gusto, ecc.): tutto ciò diventerebbe parte della qualificazione del territorio e delle imprese artigiane che vi operano, creando nuove sinergie tra agricoltori, trasformatori, ristoratori, commercianti e consumatori organizzati a beneficio di residenti, visitatori e comunità limitrofe. Già da diversi anni la volontà di porre nuova attenzione pubblica e privata alle tematiche del cibo, della salute e dell’ambiente e il concretizzarsi di iniziative di au- to-organizzazione di consumatori, produttori agricoli, comitati spontanei e gruppi di associazioni interessati ad essere coinvolti nelle pratiche di decisione, hanno generato cambiamenti tali da influenzare le ammini- strazioni nel fornire supporto a iniziative innovative, come la partecipazione dei consumatori a iniziative esperienziali di visita in azienda o l’apertura dei pro- duttori e consumatori ai temi del sociale e dell’agricol- tura civica (Brunori e Galli, 2017; Preiss et al., 2017). Diverse esperienze di politiche alimentari in Italia ormai consolidate, si vedano ad esempio i casi di Milano, To- rino e Pisa, rappresentano buone prassi riproducibili in amministrazioni più piccole, «interessate a sviluppare strategie sistemiche legate al cibo», come è avvenuto ad esempio nel Comune di Castel del Giudice in provin- cia di Isernia (Marino e Mazzocchi, 2019, p. 67). Così come da diversi anni in molti piccoli comuni sono nate «associazioni d’identità, sodalizi tematici di municipi legati a un prodotto locale o a uno specifico profilo culturale concepiti come risorsa economica e come fattore identitario: Città del vino, dell’olio, del tartufo, del bio, del pane, […] Città slow, ecc.» (Pazzagli 2018, p. 107). Si tratta di iniziative finalizzate alla costruzione di un rapporto più diretto rurale-urbano nonché all’in- staurarsi di connessioni rurale-rurale nelle aree interne. Perché si attivino queste iniziative è fondamentale che la pubblica amministrazione locale, che è l’istituzio- ne di maggiore prossimità agli abitanti e rappresenta il presidio di base del sistema democratico (ibidem), sappia guidare un processo di ri-costruzione sociale, fatto di alleanze, conflitti, mediazioni, compromessi che accompagnano la vita e la storia del prodotto tipico assecondandone gli adattamenti in termini di produ- zione, approvvigionamento e commercializzazione, al modificarsi dell’articolazione dei rapporti economici e sociali all’interno della comunità e del contesto esterno (Marescotti, 2002). Ciò potrebbe portare alla diffusio- ne, anche nei piccoli comuni, di pratiche di incontro tra produzione e consumo, come i GAS (Gruppi di acquisto solidale), nonché a modalità di associazione fra pro- duttori locali e consumatori urbani (CSA-Community Supported Agricolture).

8 Sul fronte privatistico, nel 1998 l’associazione no profit Touring Club Italiano ha lanciato un marchio di qualità per i centri storici dell’entroterra, la c.d. “Bandiera arancione”, mentre sul fronte istituzionale, l’ANCI ha istituito nel 2001 il club “Borghi più belli d’Italia” e nel 2003 ha dato vita al progetto “Res Tipica” che si proponeva, insieme alle associazioni nazionali delle città di identità per la promozione delle identità territoriali italiane, di salvaguardare e valorizzare il patrimonio ambientale, culturale, turistico ed enogastronomico dei Comuni associati, circa 2.000, in gran parte ricadenti in aree rurali e interne.

Ineludibile, pertanto, è la costruzione di una strategia di sviluppo locale integrata e lungimirante che sappia cogliere le opportunità delle politiche di sostegno co- munitarie e nazionali, spesso settoriali e scollegate tra loro, anche sullo sfondo dell’adesione a iniziative priva- te e pubbliche8 capaci di fare rete.

Nella figura 1, di cui si fornisce di seguito una descri- zione (indicando tra parentesi il numero degli elementi presenti), si riporta lo schema del sistema locale del cibo di un borgo (1) incentrato sui prodotti tipici. La valorizzazione di questi prodotti può essere comunica- ta attraverso forme di certificazione (2) e/o attraverso politiche locali del cibo (3) tramite progetti e iniziative a favore dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile del ter- ritorio, eventualmente coordinate in un Piano del cibo (recupero terreni incolti, forme di filiera corta, botteghe locali, enoteche e cantine, tracciabilità dei prodotti, turi- smo enogastronomico, riduzione degli sprechi alimen- tari, ecc.). Lo sviluppo e la valorizzazione dei prodotti tipici (2) potrebbero beneficiare di sinergie attingendo, secondo una strategia integrata, alle politiche di soste- gno comunitarie, nazionali, regionali, locali (4) – e ai relativi fondi – per l’ampliamento dei servizi essenziali, il potenziamento delle strutture ricettive (ad esempio la realizzazione di “alberghi diffusi” da case e stalle in disuso) e la diffusione delle nuove tecnologie (4), a beneficio di tutti gli stakeholders (5). Questo sistema rafforza l’identità e la coesione della comunità locale (1-2-3-5) in quanto innesca relazioni socio-economiche e comunica condivisione di valori, contribuendo a difen- dere e sostenere i produttori locali, soprattutto quelli di piccole e piccolissime dimensioni delle aree fragili, e allo stesso tempo crea o consolida, all’esterno, l’im- magine della località. Inoltre, l’apertura della comunità all’esterno, facendo rete con altri territori e aderendo a iniziative collettive su scala sovracomunale e regio- nale (6) può ampliare il bacino di utenza, rimodulando l’attrattività turistica della zona e contrastando l’isola- mento del territorio.

È chiaro che lo schema che si viene a proporre in que- sto contributo non può essere la “bacchetta magica” per migliorare la qualità della vita dei residenti e pro- durre ricchezza durevole dei piccoli comuni se non si lavora, innanzi tutto, sulla conoscenza, sulla valorizza- zione e sulla messa a sistema del patrimonio delle tipi- cità tradizionali locali agroalimentari ed enogastrono- miche e delle tradizioni culturali a questi legati (sagre, manifestazioni culturali). E per far questo è necessario l’utilizzo non dissipativo di risorse locali, in un’ottica di governance che da impositiva diventa partecipativa, e la contestuale attivazione di «energie endogene» (Ma- gnaghi, 2010). L’apertura e il dialogo con l’esterno – particolarmente importante per quei centri storici con una forte identità che potrebbero rischiare di cadere nella tentazione della chiusura e dell’autocelebrazione è fondamentale perché l’identità della comunità (e delle persone) va costruita con gli altri e non contro gli altri, convivendo, condividendo e accogliendo le differenze quale occasione di arricchimento. Un lavoro particolar- mente complesso per quei Comuni, spesso di ridotte o ridottissime dimensioni delle aree interne, particolar- mente segnati dalla ridotta accessibilità, dall’inadegua- tezza e insufficienza delle dotazioni infrastrutturali e di servizi essenziali pubblici e privati (compresi quelli

culturali e di intrattenimento), erosi dall’abbandono e dalla desertificazione delle attività.

Se la riqualificazione e la rivitalizzazione di borghi e centri storici minori dipendono, senza dubbio, dalla qua- lità della vita, dalla qualità dell’educazione, dai legami di solidarietà e dalle reti di aiuto vicendevole, solo una sinergia di forze e di idee (pubbliche, private, economi- che, sociali, politiche) può portare verso questa direzio- ne. Pertanto, l’ideazione e l’attuazione di un programma partecipato in cui residenti, amministrazioni, agricolto- ri, imprenditori e portatori di interesse hanno contezza del proprio ruolo strategico nella realizzazione di uno sviluppo sostenibile potrebbe essere costruito intorno alla valorizzazione dei prodotti tipici, dei saperi comu- ni, delle conoscenze pratiche e del sistema locale del cibo (come bene comune che crea legami civici), con la possibilità, attraverso l’innovazione tecnica/digitale e/o organizzativa/sociale, di fare rete con altre realtà urbane e rurali, secondo le dinamiche sopra descritte. Ciò detto, appare tutt’altro che ovvio – ed anzi è ele- mento condiviso nel dibattito scientifico sulle aree in- terne (De Rossi, 2018) – affermare che i piccoli Comuni, luoghi di grandi opportunità e innovazioni, hanno biso- gno di interventi mirati e di strategie a lungo termine.

Figura 1. Schema del sistema locale del cibo di un borgo. Fonte: elaborazione propria.

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Stefano Corsi*, Paola Caputo**,

Chiara Mazzocchi*

* Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali, Università di Milano,

stefano.corsi@unimi.it chiara.mazzocchi1@unimi.it

** Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito, Politecnico di Milano

paola.caputo@polimi.it

• RISTORAZIONE COLLETTIVA • LABORATORIO TERRITORIALE • APPROCCIO PARTECIPATIVO

Abstract

The school catering is a context of discussion on im- portant food issues as agricultural production and di- stribution, environmental and energy impacts of the supply chain, children education and, as a result, chan- ges in household consumption. The Territorial Labora- tory of Pegognaga, a small municipality in the Oltrepò Mantovano, has promoted a participatory approach by meetings and focus group with the stakeholders of the school catering food chain. The aim was to stimulate a discussion that would bring out the opportunities, the critical points and the expectations at the local level. The results highlighted the need to promote the sustai- nability of school catering, considering the economic competitiveness, the support for local production, the supply of a healthy and high quality food, the educatio- nal value of the school catering service etc. Therefore, some guidelines have been drawn suggesting actions aimed at enhancing local production and environmental sustainability.

1. Introduzione

Il settore agroalimentare oggi costituisce un’impor- tante sfida per le città sia per l’atteso aumento della domanda di cibo, in linea con quello della popolazione urbana, sia per la necessità di instaurare relazioni con i territori rurali circostanti. Il settore agroalimentare ha inoltre rilevanti implicazioni di carattere economico, sociale, energetico ed ambientale, valutabili in termini di aumento del consumo di suolo, diminuzione di biodi- versità, incremento del consumo di acqua, agro-farmaci ed energia (FAO, 2011).

Per ridurre tali impatti, l’Unione Europea (UE) incoraggia l’adozione di misure per promuovere l’approvvigiona- mento alimentare a livello locale e la preferenza per prodotti biologici, stagionali e di alta qualità (Orlando

et al., 2019).

Per rendere tali misure efficaci, è necessario orientare la produzione di cibo locale e sostenibile verso mercati di dimensione rilevante (Bocchi et al., 2015). Fra questi, la ristorazione istituzionale ricopre un ruolo strategico, sia per la massa critica sia per l’elevato potere di ac- quisto della pubblica amministrazione (Mistretta et al., 2019).

Parallelamente al tema della ristorazione scolastica, si sviluppa quello dell’educazione alimentare a scuola, per la promozione di una cultura della nutrizione nei più piccoli e per stimolare l’adozione di una dieta sana anche nei bambini (Botkins and Roe, 2018). Infatti, un’a- limentazione equilibrata costituisce una premessa fon- damentale per garantire un buono stato di salute nei bambini. Secondo le “Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica”, una corretta alimentazione a scuola ha il compito di educare il bambino all’apprendi- mento di abitudini e comportamenti alimentari salutari. I temi inerenti all’attività di mensa scolastica vanno dal sapere stare a tavola al mangiare senza sprechi, dal variare i cibi secondo la stagionalità alla comprensione dell’importanza del pasto.

Inoltre, la promozione di corrette abitudini alimentari in ambito scolastico coinvolge l’ambiente scolastico, la comunità, la programmazione didattica, la nutrizione e

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