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NORME PER IL GOVERNO DEL TERRITORIO (B.U 27 aprile 2004, n 45)

3.3 Alcuni approcci del processo partecipato

Nell’ultimo decennio si è fatto sempre più spazio il termine partecipazione nelle pratiche di trasformazione della città e del territorio, generando percorsi teorico sperimentali in risposta alle strategie inclusive e di best practice internazionali, più in generale, ed europee, in particolare.

Secondo Rahnema (1992), la partecipazione è adattabile al contesto in cui viene

utilizzata e può essere transitiva, se orientata verso uno specifico obiettivo, o intransitiva, se il processo partecipativo viene vissuto senza nessun fine predefinito.

La pianificazione partecipata, in particolar modo, è una delle molteplici forme partecipative che, al contrario di quanto si possa pensare, non si pone come alternativa alla pianificazione tradizionale, ma tenta di restituire credibilità alla stessa, nonché di fornire strumenti utili ad incrementare il corretto processo di gestione dei diversi e complessi scenari territoriali.

Infatti, come scrive Ferraresi (1995), “è sotto i nostri occhi la crisi definitiva della “città pubblica”, delle politiche dei servizi per standard, quantitativamente deficienti e qualitativamente incapaci di strutturare spazio pubblico e di formare città nella proliferazione delle periferie; e l’inadeguatezza delle politiche pubbliche nell’intercettare fondamentali istanze di qualità di vita, di fondazione di identità, di

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131 rapporto equilibrato e profondo con il territorio e con la storia dei luoghi. Questa può essere riconosciuta come una delle espressioni di una più generale “crisi di transazione” tra luoghi dell’espressione dei bisogni, luoghi della decisione e del governo, tra ambiti non riconducibili l’uno all’altro, ognuno dei quali dotato di proprie specifiche razionalità, modalità di produzione di senso e di interazione, tra “mondi di vita” e sistema, tra razionalità comunicativa e razionalità strumentale”.

La crisi di legittimazione del consolidato modello di pianificazione nasce, dunque, da un malessere più diffuso nei confronti degli organismi rappresentativi del governo, che ancor oggi, accontentandosi di adottare approcci di tipo consensuale, rispondono con diffidenza alle proposte di una pianificazione partecipata, adducendo motivazioni pratiche, prime fra tutte la mancanza di risorse e l’utilizzo di iter procedurali troppo lunghi.

L’esigenza di rievocare la pluralità degli attori e di riprendere il conflitto come fattore rilevante nasce a fronte dei limiti di alcuni ideali del “movimento moderno”, nonché a fronte della crisi dei modelli di pianificazione e progettazione tradizionali e dall’insorgere di nuove esigenze delle politiche sociali legate ai fenomeni migratori54. Nel 1969 Sherry R. Arnstein scrive un saggio dal titolo “The Ladder of Citizen Partecipation”, pubblicato sul Journal of the Istitute of American Planner, individuando l’articolazione dei gradienti di partecipazione che si producono come

54

I processi migratori sono stati componente essenziale e decisiva nella storia della nostra società, sia come fenomeno destrutturante, in riferimento alle aree di partenza, sia come fattore di trasformazione delle aree di nuovo insediamento. Le analisi sociologiche condotte negli ultimi anni hanno sottolineato la connessione tra immigrazioni, riorganizzazione economico-produttiva, trasformazione delle aree urbane e rurali, e quindi sviluppo. Molte di queste connessioni hanno prodotto fasi significative nella storia delle città; la nascita di quartieri, le esperienze di partecipazione e di decentramento possono essere considerate come significativi effetti dei processi di inurbamento avvenuti nei decenni passati. Sotto la pressione dei flussi migratori tutte le aggregazioni urbane tendono a ricostruire una propria identità, ricomponendo al proprio interno un nuovo equilibrio ed un nuovo ordine, dove il rapporto tra popolazione autoctona e straniera gioca un ruolo fondamentale. Paesi e organizzazioni internazionali guardano sempre più alle migrazioni come a un fenomeno in grado di produrre un impatto positivo sostanziale sullo sviluppo. Tuttavia, il punto di partenza deve essere rappresentato dall’attuazione di appropriate politiche di integrazione. Governare i processi migratori significa non accettarli come dato di fatto, bensì affrontarli come un fenomeno complesso, di cui è necessario massimizzare l’impatto positivo e ridurre quello negativo. La posta in gioco è altissima e comprende, tra gli altri fattori, la sicurezza, il benessere ed i diritti umani fondamentali, non solo dei migranti ma delle società coinvolte nel loro complesso. In questo processo, sono innanzitutto necessarie politiche migratorie eque e sostenibili, che medino efficacemente gli interessi, i diritti e le paure delle popolazioni coinvolte. L’obiettivo è la valorizzazione del ruolo primario degli individui, insieme ai fabbisogni di cui sono portatori, da considerare come attori delle politiche e come risorse fondamentali delle stesse. Il punto centrale è che le questioni dell’integrazione e dell’intercultura non possono limitarsi ad essere trattate in programmi, iniziative ed azioni specifiche e isolate; esse devono permeare l’intera politica a scala comunale, intercomunale e territoriale, attraverso la pianificazione fisica e quella sociale.

conseguenza di alcuni approcci pianificatori, di elaborazione e implementazione delle decisioni, a cui ancor oggi si fa riferimento.

In particolar modo, Arnestein individua otto livelli, per i quali dà delle definizioni precise, che di seguito vengono riportate nella loro rilettura di sintesi55.

Manipulation: tale livello rappresenta una forma di partecipazione illusoria,

ovvero riservata al vantaggio di pochi e al rafforzamento di poteri esistenti. − Terapy: questo livello si riferisce ai gruppi di “terapia” diretti ad individui

svantaggiati e dunque serve solo per mascherare, con arroganza e disonestà, le reali attività di partecipazione dei cittadini.

Informing: esso dovrebbe rappresentare il primo livello importante del

processo di partecipazione, rendendo i cittadini consapevoli dei loro diritti, in realtà si tratta il più delle volte di una informazione monodirezionale (istituzione-cittadini) che limita il contributo degli stessi all’ascolto di programmi già decisi, attraverso incontri pubblici dalla superficiale informazione e l’utilizzo dei più comuni mezzi di pubblicizzazione e comunicazione.

Consultation: consequenziale all’informazione dovrebbe essere la

consultazione, ma anch’essa spesso risulta essere un pro-forma utile per avvalorare le scelte prese dai detentori delle decisioni, dichiarando di avere tenuto in considerazione delle considerazioni fatte dai cittadini.

Placation: a tale livello si dovrebbe iniziare ad intravedere il vero senso della

partecipazione, in quanto tale gradiente consiste nella formazione di gruppi pubblici (come i board e le autority), nonché di gruppi misti rappresentativi delle varie parti sociali.

Partnership: esso rappresenta il gradiente fondamentale per il corretto utilizzo

dei processi partecipativi, in quanto distribuisce il potere attraverso processi di negoziazione tra cittadini e powerholder.

Delegated power: la delegazione dei poteri, consequenziale a precise forme di

negoziazione, permette ai cittadini di essere molto spesso numericamente superiori, assumendo essi stessi responsabilità precise nella varie fasi del processo in atto.

Citizen control: questo gradiente costituisce l’apice del percorso partecipativo

in quanto i cittadini assumono potere effettivo di governo e di contratto, nonché di elaborazione dei programmi.

Analizzando le dinamiche dei processi partecipati evolutisi nell’arco degli anni si può affermare che i gradienti maggiormente diffusi (sia in ambito nazionale che

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133 internazionale) sono proprio i primi quattro, considerati dallo stesso Arnstein esterni alla pianificazione partecipata, trovando consenso in quanto scritto da De Carlo (1980) sulla difficile identificazione del termine partecipazione, il quale “copre oggi i più svariati significati e le più sospette intenzioni”.

Negli anni recenti però si è sentita e si continua a sentire sempre più l’esigenza di coinvolgere i cittadini tenendo conto dei diversi gradienti e in particolar modo passando dalle forme di comunicazione/informazione ai processi autogovernativi o di

automanagement.

Si può parlare, dunque, di una nuova stagione della partecipazione inerente sia la costruzione di politiche pubbliche locali, alternative ai meccanismi della democrazia rappresentativa di tipo tradizionale e alle più moderne forme ormai burocratizzate e retoriche di governance, sia la definizione e l’utilizzo di nuove pratiche partecipative, spesso consequenziali ad eventi legislativi di riqualificazione urbana e di integrazione territoriale.

In merito alle attività delle pubbliche amministrazioni, nel panorama italiano

occorre menzionare La Carta del Nuovo Municipio sottoscritta da molti sindaci,

amministrazioni, tecnici ed intellettuali italiani, presentata per la prima volta a Porto Alegre nel 2002 e successivamente discussa al Forum Sociale Europeo di Firenze.

La Carta del Nuovo Municipio definisce, in particolar modo all’interno della “Carta degli intenti”, i principi di organizzazione dei comuni nei processi partecipati di costruzione condivisa di scenari di sviluppo locale, proponendosi di delineare sistemi organizzati e statutariamente definiti di deliberazione pubblica e di co- decisione, capaci di non soffocare le spontanee forme di protagonismo sociale. La strutturazione di tali sistemi organizzati prende spunto, anche se la discussione in merito è ancora a livello municipale e regionale, da quanto fatto dal bilancio

partecipativo di Porto Alegre, trasformando l’amministrazione pubblica in un luogo

in cui costruire in modo condiviso le priorità degli interventi.

Il bilancio partecipativo, dunque, costituisce uno dei nuovi strumenti di valutazione della partecipazione, in quanto, superando la visione tecnocentrica, favorisce una reale partecipazione degli abitanti nelle scelte degli obiettivi che rappresentano l’interesse generale, nonché delle opzioni inerenti le diverse distribuzioni degli investimenti sul territorio.

Un ulteriore strumento che può essere utilizzato per attivare processi di dialogo e di concertazione, nell’ottica soprattutto di migliorare le condizioni ecologico- ambientali della città e del territorio e promuovere la cultura della sostenibilità, è

Agenda 21. Essa, infatti, introduce l’idea di creare uno sviluppo legato alle specificità

partecipazione attiva di tutti i soggetti sociali, e garantendo l’integrazione delle esigenze ambientali, economiche e sociali nel lungo periodo.

In seguito a tali assunti, la prima osservazione di merito che risalta all’attenzione risiede nell’importanza che assume alla dimensione locale il processo partecipato, sia a livello comunale che sovracomunale, mediante la rappresentazione dello stesso in una visione orizzontale, non gerarchizzata, consentendo di incrementare confronti paritari e di instaurare forti cooperazioni e acuendo maggiormente gli scambi di idee innovative o di interventi risolutivi che permettano di far fronte alle diverse esigenze nei confronti di una città-territorio capace di soddisfare rapporti spaziali e temporali tra i diversi elementi.

Infatti, citando Magnaghi (2000), la partecipazione è contestazione/ricostruzione dal basso dei processi di globalizzazione, progetto locale come alternativa strategica al dominio della mondializzazione neo-liberista e alla distruzione di territorio, ambiente, umanità, ricchezza sociale che essa ha determinato.

Il riconoscimento dell’importanza della dimensione locale consente di ristabilire con maggiore facilità l’equilibrio tra attori forti (stockholder), portatori di interessi economici già presenti nel sistema, e attori deboli (stakeholder), portatori di interessi generali e diffusi, passando dal modello autoritativo del piano al modello interattivo, o modalità partecipativa di “ispirazione libertaria”, secondo Giusti (2002), in cui gli

stakeholder (non più oggetti/destinatari, ma soggetti attivi) e gli stockholder, hanno il

tempo sufficiente per assimilare le reciproche percezioni, nonché le attese e le esigenze.

La seconda osservazione verte, invece, sull’ampio spazio tematico che ricoprono le politiche indicate, ovvero si va dalla manutenzione attiva e incremento del patrimonio territoriale e insediativo, nonché dalla ridefinizione dello spazio pubblico, alla riorganizzazione del senso ecologico della cittadinanza, all’espansione dei diritti degli stranieri, alla ricerca di processi alternativi alla privatizzazione dei servizi e delle reti.

Si può osservare, dunque, come la sperimentazione di forme di coinvolgimento sociale nelle scelte fondamentali di trasformazione del territorio, in termini di pubblica amministrazione, si riflette naturalmente e particolarmente anche sugli strumenti istituzionali di pianificazione a scala comunale e sovracomunale.

Infatti, esistono molte esperienze significative di piani partecipati a scale differenti sia in Italia che all’estero (piani strategici socialmente condivisi, piani regolatori partecipati, strumenti di pianificazione di area vasta, programmi complessi, etc.), tuttavia si tratta ancora di progetti in cui spesso permane l’incertezza del significato del termine partecipazione e del ruolo che il professionista è chiamato a svolgere,

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135 ovvero progetti in cui l’identificazione e la consultazione degli stakeholder costituisce spesso solo la prima parte del processo, quella relativa alla definizione delle priorità da seguire (valutazione ex ante).

Sarebbe necessario, pertanto, agevolare anche forme di partecipazione nelle fasi di controllo e di verifica delle stime fatte (valutazione in itinere e valutazione ex post), ovvero nei processi di pianificazione inerenti la ridefinizione e l’aggiustamento degli obiettivi prefissati nella prima fase e il conseguimento degli stessi in seguito alle pratiche pianificatorie, comunemente identificate come fasi di monitoraggio e di gestione dei risultati conseguiti.

In tal senso lo stesso De Carlo (1980) ha scritto che occorre comprendere che

l’estensione del processo di partecipazione nel singolo progetto non si limita solo alla decisioni sull’intraprendere la nuova struttura, su dove localizzarla, sulle risorse che debbono esserle destinate, sulle esigenze che deve assolvere, ma può essere esteso anche alle implicazioni relative all’uso, alla gestione, ai recuperi di obsolescenza tecniche, alle riverberazioni esercitate sui contesti fisici e sociali.

Le pratiche partecipative, dunque, devono cercare di rispondere all’esigenza di voler instaurare rapporti comunicativi tra etica e tecnica, tra la società civile e i tecnici e politici, sia accelerando i tempi di decisione, che limitando l’insorgere di imprevisti e conflitti, in modo da differenziarsi rispetto alla disciplina consolidata in merito al coinvolgimento dei soggetti locali non solo nella fase di implementazione, ma per tutta la durata dei progetti urbanistici e di pianificazione socio-economica e territoriale.

Si tratta di adottare un percorso di pianificazione che si avvalga di un metodo progettuale di elaborazione di scenari futuri socialmente condivisi (bottom-up), a fronte di un approccio volto ad accrescere il consenso popolare sulle decisioni politiche (top-down), un percorso basato sulle strategie dell’ascolto strutturato, capace di individuare (anche grazie al contributo delle “memorie”) nuove e interessanti soluzioni, di ridefinire i bisogni e le priorità, di evitare conflitti di interesse, di favorire la negoziazione, superando le forme di mera comunicazione/informazione e aprendo nuove porte ai processi di automanagement (Tabella 3.1).

Ciò non implica l’abbandono delle metodologie di tipo tecnico-razionale sedimentate nel tempo, ma ad esse vanno associate le esperienze dei luoghi, senza trascurare i “problemi di costo e di tempi di realizzazione degli interventi, di compatibilità rispetto agli obiettivi di carattere generale e di rispondenza agli obiettivi specifici degli attori in campo”56 .

56

Balducci A. (1995), Progettazione partecipata tra tradizione e innovazione, in Urbanistica n.103, pp.113-117

Tabella 3.1 - Dalle politiche di top-down a quelle di bottom-up

Traditional development policies Local economic development

1. Top-down approach in winch decisions about the areas where intervention is needed are taken centre.

1. Promotion of development in all territories with the initiative often coming from below.

2. Managed the central administration.

2. Decentralised, vertical co-operation between different tiers of government and horizontal cooperation between public and private bodies. 3. Sectorial approach to development. 3. Territorial approach to development

(locality, milieu). 4. Development of large industrial projects, that foster

other industrial activity.

4. Use of the development potential of each area, in order to stimulate a progressive adjustment of the local economic system to the changing economic environment.

5. Financial support, incentives ad subsidies as the main factor of attraction of economic activity.

5. Provision of key condition for the development of economic activity.

Fonte: Elaborazione Rodriguez-Pose, 2001

Per come già dichiarato in precedenza, lo stadio della partecipazione che segna il passaggio effettivo da un approccio top-down ad un approccio bottom-up è quello che attribuisce ai cittadini una significativa influenza sulle scelte di trasformazione del territorio a stampo strategico, mediante l’elaborazione di analisi previsionali.

Le analisi previsionali, infatti, mediante l’esplorazione delle tendenze in atto, evidenziano soprattutto le interrelazioni trasversali e le dinamiche tra gli effetti diretti e immediati che si possono riscontrare nell’ambito di intervento, mettendole in relazione con gli impatti che interessano l’ambiente sociale nel suo complesso. Tali analisi, dunque, consentono di attivare processi di pianificazione strategica di lungo periodo, ma anche di pianificazione operativa, sulla base delle diverse alternative prese in considerazione.

I metodi d’indagine adottati sono sostanzialmente di due tipi, ovvero quelli che si avvalgono del coinvolgimento e della consultazione dei differenti soggetti decisionali, interessati allo sviluppo delle azioni progettuali, e quelli che si avvalgono della elaborazione di modelli di simulazione, esplicativi più che descrittivi, derivanti dalla modellistica sociale ed economica.

Tra i diversi approcci che incentivano la comunità a creare un quadro di valori condivisi e a identificare la direzione di sviluppo desiderata occorre menzionare57:

Brainstorming, Workshops, Focus Group, Future Search, Metaplan, Community Visioning.

Il Brainstorming, inventato negli anni ‘30 da Alex Osborn, fondatore di un’agenzia pubblicitaria, è un metodo che, liberando la creatività dei singoli e del gruppo dalle comuni inibizioni, consente di (re)inquadrare il problema, di vederlo in

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137 modo nuovo (procedura di problem-setting), di gestire creativamente i conflitti, e di trasformare le irrealizzabili proposte iniziali (nate per associazione di idee) in soluzioni tangibili.

I Workshops, meno formali e più creativi degli incontri pubblici, sono riunioni formate da piccoli gruppi di persone, aiutati da un facilitatore, che esplorano le questioni, sviluppano idee, si confrontano e possono anche prendere decisioni.

Il Focus group, come Delphi e la nominal group technique, è una tecnica di conduzione degli incontri proveniente dal marketing, ma presenta alcune peculiarità: coinvolge individui simili per ruoli, livelli di conoscenza e funzioni; stimola creatività; fornisce informazioni qualitative. Inoltre, è particolarmente utile per analizzare argomenti su opinioni divergenti o complesse, da indagare a fondo, e il suo principale obiettivo risiede nel tentativo di evidenziare le percezioni dei partecipanti su vari aspetti del programma con interazione diretta, adattandosi particolarmente bene ai casi in cui gli argomenti da trattare provocano opinioni divergenti, ma dove esistono comunque margini di discussione. La realizzazione di un focus group richiede la selezione dei partecipanti per categoria omogenea, i quali vengono posti di fronte ad una agenda, ad alcune linee-guida o a quesiti espliciti, generalmente aperti e posti da facilitatori motivati, rispettosi delle opinioni altrui, con abilità comunicative e di sintesi, affiancati da un “registratore”.

Il Future Search (ricognizione nel futuro) è un processo molto strutturato anche se svolto in tre giorni, a cui partecipano i rappresentanti dei diversi gruppi sociali che, aiutati da facilitatori esperti, esaminano gli eventi chiave del passato, rilevanti per la loro storia e le attuali tendenze di sviluppo (Review the past, Explore the present), sviluppano visioni ideali del futuro (Create ideal futures), individuano la visione condivisa che gode di maggiore consenso (Identify common ground) e infine indicano come deve essere indirizzata la pianificazione (Make action plans).

Il Metaplan è una tecnica tedesca utile per strutturare le discussioni di un gruppo al fine di discutere, piuttosto che decidere, circa gli interventi della pianificazione. Sono molte le varianti di tale tecnica, che ha, però, due obiettivi principali: strutturare le informazioni provenienti dai diversi punti di vista indagati, costruendo delle sintesi tematiche; migliorare l’accettazione delle decisioni maturate. Questa tecnica di

consensus building permette di discutere le idee, evitando posizioni di dominanza, e

di identificare i punti di conflitto, favorendo il consenso su soluzioni non auspicabili. La Community Visioning prevede, inizialmente, la suddivisione dei soggetti interessati in piccoli gruppi di lavoro, per poter più facilmente elaborare un insieme di idee e di rappresentazioni grafiche sullo stato possibile e desiderabile dell’ambito territoriale in esame, rispetto ad un orizzonte temporale di 20/30 anni, poi, una volta

illustrate le “visioni” prodotte, prevede che si affidi ad un nuovo gruppo, composto dai portavoce scelti dal facilitatore, il compito di produrre un scenario futuro, sintesi coerente e completa dei vari scenari, da sottoporre a tutti coloro che sono intervenuti al workshop.

Il coinvolgimento attivo dei cittadini nel processo decisionale, ovvero i metodi capaci non solo di racchiudere i desideri e le necessità degli stessi abitanti nella prefigurazione di un assetto futuro auspicabile, ma anche di concretizzare tale visione, a diversi livelli di approfondimento, sono, invece, i seguenti e variano al variare della scala territoriale di intervento e dell’esito finale del processo previsto dall’amministrazione.

Action Planning Event è un approccio multidisciplinare e collaborativo fortemente

strutturato, ma adattabile a seconda del contesto in cui viene impiegato, in cui gli abitanti possono, assieme a tecnici e rappresentanti politici, definire i problemi e le tematiche da affrontare, sviluppare proposte e soluzioni alternative, analizzare le proposte vincenti, produrre elaborati (relazioni, carte, modelli) sul lavoro svolto, assicurarsi che le proposte si trasformino in azioni.

Microplanning, metodo applicato soprattutto nei paesi in via di sviluppo, è un

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