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NORME PER IL GOVERNO DEL TERRITORIO (B.U 27 aprile 2004, n 45)

3.2 Il processo di governance e le tecniche di negoziazione

All’interno della pubblica amministrazione il concetto di governance, più volte evocato, può essere associato alla nascita del New Public Management (Stoker, 1998) e alla necessità di superare il fallimento del tradizionale modello burocratico, spostando così l’attenzione dalle logiche di government alle regole di governance, ovvero ponendo maggiore attenzione al processo piuttosto che alle istituzioni.

Infatti, mentre per government si intende l’assetto istituzionale, in senso formale, caratterizzato dal potere politico e, quindi, molto spesso lontano dalle dinamiche di cambiamento sociale che investono il contesto di riferimento, per governance si intende, non solo l’insieme delle istituzioni, ma il processo attraverso il quale le istituzioni stesse interagiscono con altri attori della società civile e con le consequenziali reciproche influenze.

Si è passati, dunque, riprendendo quando indicato da Balducci (1999), dal

governo come azione dell’attore pubblico che provvede direttamente a fornire soluzioni ai problemi (government), al governo come azione del soggetto che rende

possibile la ricerca di soluzioni differenziate attraverso la mobilitazione di un’ampia serie di altri soggetti (governance).

Con il termine governance50 si intende, in particolare modo, il processo con il quale vengono collettivamente risolti i problemi, rispondendo ai bisogni di una comunità locale.

Tra i principi enunciati dal Libro bianco, la realizzazione della governance viene indicata come sinonimo di buon governo del territorio se caratterizzata da: apertura,

partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza.

Si ha, pertanto, una buona governance quando nella comunità sociale le azioni del governo (come strumento istituzionale) si integrano con quelle dei cittadini e le sostengono.

L’organicità ed l’integrazione, infatti, si trovano in contraddizione con la separatezza di compiti e delle funzioni dell’azione amministrativa, specie quando tale separazione porta a deliberazioni assunte senza i dovuti quadri conoscitivi.

Per cui, praticare le modalità della governance significa porre in essere azioni comportamenti ed atteggiamenti che tendono a favorire un determinato percorso di formazione dei convincimenti senza ricorrere a determinazioni d’autorità, di fronte alle quali la moltitudine degli altri soggetti decisori, anzitutto pubblici, potrebbe assumere atteggiamenti non collaborativi e determinare così il blocco di ogni operabilità.

La governance, in definitiva, si attua con processi di democrazia attiva e si basa sull’integrazione di due ruoli distinti: quello di indirizzo programmatico (governo) e quello di gestione e fornitura di servizi (strutture operative ed amministrative).

Un governo è strumento di buona governance quando applica principi, mutuati dalla nuova cultura imprenditoriale, per il coinvolgimento e la responsabilizzazione dei cittadini: centralità del cliente-cittadino, capacità di creare visioni condivise sulle prospettive di sviluppo, comportamenti amministrativi coerenti con tali visioni, definizione di risultati attesi e gestione snella per realizzarli, apprendimento continuo, apertura al mercato, partecipazione e non gerarchia, conferimento di responsabilità e potere alle varie componenti del sistema sociale, perseguendo flessibilità ed apertura organizzativa.

Visti tali assunti, risulta allora evidente che il tema della governance assume particolare significato nel campo del governo delle trasformazioni territoriali in quanto l’unicità dello spazio fisico e la naturale interdipendenza fra le varie

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dal sito: http://www.regione.emiliaromagna.it/wcm/autonomie/sezioni_home/documenti/ /glossarioinprogress.htm

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125 componenti dell’ambiente (aria, acqua, soprassuolo, sottosuolo, biocenosi) costituiscono gli integratori naturali di qualsiasi attività umana e le condizioni per la sua operabilità.

Lo sviluppo di un nuovo metodo di policy making, emerso in molte aree del

government, nel tentativo di rendere lo stesso più accountable, fa si che la

pianificazione diventi un vero e proprio stile di governance, caratterizzato dal lungo periodo dell’orizzonte temporale, ovvero una traslazione, nonché una traduzione della conoscenza in azione.

La pianificazione strategica, in particolare modo, come già anticipato, nasce proprio dalla necessità di fornire una visione comune del territorio nel lungo periodo, nonché dalla necessità di indirizzare le attività e le risorse presenti in modo da poter rispondere alle esigenze dei diversi soggetti/attori che caratterizzano i contesti in esame.

Al fine di superare le relazioni tra i diversi livelli territoriali solo in senso orizzontale e generare azioni di integrazione verticali è necessario attivare soprattutto opportuni rapporti di negoziazione.

La negoziazione, infatti, rappresenta il primo passo utile per creare consenso e la pianificazione territoriale strategica mantiene la sua forza proprio nell’atto volontaristico, formalizzato dalla negoziazione.

Gli strumenti che esplicano la negoziazione e quindi la previsione delle linee programmatiche congiuntamente definite sono svariati tra cui51: i patti territoriali,

l’intesa istituzionale di programma, l’accordo di programma, il contratto di programma e il contratto d’area.

La programmazione negoziata è disciplinata dalla legge 23 dicembre 1996 che costituisce, insieme alla Delibera Cipe del 21 marzo 1997, l’attuale quadro normativo di riferimento. Essa consiste in nuovi criteri di intervento introdotti accanto ai tradizionali strumenti di politica economica, al fine di coordinare l’azione dello Stato e dei poteri che influiscono nei processi di sviluppo e di raccordare le molteplicità di interessi che agiscono a diversa scala territoriale. Il suo obiettivo primario, pertanto, è quello di creare le condizioni favorevoli per lo sviluppo economico ed occupazionale.

Fra i diversi istituti della programmazione negoziata l’elemento di maggiore interesse è indubbiamente rappresentato dal patto territoriale, che si è rivelato uno strumento particolarmente idoneo per interventi integrati a livello sub-regionale diretti ad affrontare in modo efficace i problemi dello sviluppo e dell’occupazione.

I patti territoriali rappresentano, nel rispetto delle competenze dei diversi livelli istituzionali, lo strumento utile per l’individuazione di un complesso coordinato di

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interventi di tipo produttivo e promozionale, nonché di tipo infrastrutturale ad essi funzionali, per i quali concorre il finanziamento pubblico.

L’elemento caratterizzante di un patto territoriale è costituito dalla concertazione tra i diversi attori sociali (rappresentanti delle forze sociali, degli enti locali e dei singoli operatori economici), finalizzata all’elaborazione di progetti concreti di sviluppo locale. Si presenta, dunque, come uno strumento selettivo che si basa su elementi qualitativi in ordine ai tempi, agli impegni assunti dai soggetti sottoscrittori e alla selezione degli obiettivi.

Il patto territoriale costituisce il punto di arrivo di un processo di concertazione dal basso tra gli attori sociali nel quale viene evidenziato il ruolo del partenariato sociale, alla base del quale vi è essenzialmente la presenza di un’idea forza di sviluppo del territorio. Si tratta di un punto di riferimento fondamentale sia per potere delimitare l’area oggetto del patto, sia per riuscire a fare una selezione e per stabilire delle priorità tra i vari interessi presenti a livello locale.

Il patto deve essere costituito da un insieme di progetti che si rafforzano reciprocamente, avendo come obiettivo il raggiungimento di una dimensione di sviluppo integrato. Per questo motivo risulta importante che il patto preveda attività economiche caratterizzate da una rapida eseguibilità e si riferisca ad una dimensione territoriale complessiva abbastanza contenuta.

I requisiti utili per l’attivazione di un patto territoriale sono sia l’esistenza della concertazione fra le parti sociali, da certificare tramite specifico protocollo d’intesa, che la disponibilità di progetti di investimento coerenti con gli obiettivi del patto.

L’elaborazione del progetto di attivazione di un patto territoriale deve contenere innanzitutto la premessa di intenti, ovvero le ragioni che sono alla base del ricorso al patto territoriale e al contenuto operativo del patto stesso, nonché la descrizione geografica del territorio e delle sue caratteristiche (potenzialità e ostacoli che si frappongono allo sviluppo), e la definizione della gerarchia degli interessi e degli obiettivi, riferendosi allo sviluppo integrato del territorio, alla valorizzazione delle risorse locali, alla valorizzazione e alla promozione del fattore umano, mediante il concorso degli attori locali, degli enti locali e delle parti sociali secondo una logica di composizione degli interessi particolari, entro un disegno di pubblica utilità.

Infine, la capacità progettuale deve tradursi in interventi ben definiti, rispondenti a logiche di “mercato”, per tal motivo è opportuno che siano coinvolti nel progetto di patto i soggetti che nell’area individuata siano in grado di svolgere una funzione di arricchimento culturale e di sviluppo della capacità di fare innovazione scientifica.

Il patto territoriale si caratterizza per la sua natura di vero contratto sottoscritto tra le parti, e per questo motivo deve anche espressamente prevedere e indicare quali

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127 sono le assunzioni di responsabilità dei singoli contraenti, inoltre, poiché coinvolge una molteplicità di soggetti sia pubblici che privati, deve individuare sia promotori che sottoscrittori.

I soggetti promotori, ad esempio, possono essere: enti locali, altri soggetti pubblici che operano a livello locale, rappresentanze locali delle categorie imprenditoriali e dei lavoratori, soggetti privati.

I soggetti sottoscrittori, per contro, possono essere costituiti da: rappresentanze locali delle categorie imprenditoriali e dei lavoratori interessate, regione o provincia nel cui territorio ricadono gli interventi previsti, istituti bancari e finanziari regionali, consorzi di garanzia collettiva, consorzi di sviluppo industriale operanti nel territorio oggetto del patto.

L’intesa istituzionale di programma, invece, consiste nell’accordo tra amministrazione centrale ed amministrazione regionale o provinciale, in virtù del quale tali soggetti si impegnano a collaborare per realizzare un piano pluriennale di interventi di interesse comune o funzionalmente collegati, da programmare sulla base della ricognizione delle risorse finanziarie disponibili, delle parti interessate e delle procedure amministrative occorrenti. Essa spesso costituisce l’ordinaria modalità di raccordo tra programmazione statale e programmazione regionale, e rappresenta il perno ed il riferimento programmatico regionale degli altri istituti della programmazione negoziata: patti territoriali, contratti d’area e contratti di programma.

La fase successiva all’intesa è data dall’accordo di programma quadro (APQ), promosso dai sottoscrittori dell’intesa e stipulato con enti locali ed altri soggetti pubblici e privati, al fine di definire il programma esecutivo degli interventi oggetto dell’intesa.

Gli APQ sono sottoscritti dalla Regione, dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, nonché dalle Amministrazioni centrali competenti a seconda della natura e del settore di intervento previsti (risorse naturali, risorse culturali, risorse umane, sistemi locali di sviluppo, città, reti e nodi di servizio) e definiscono:

− gli interventi da realizzare, specificandone i tempi e le modalità di

attuazione;

− i soggetti responsabili dell’attuazione dei singoli interventi;

− la copertura finanziaria degli interventi, distinguendo tra le diverse fonti di finanziamento;

− le procedure ed i soggetti responsabili per il monitoraggio e la verifica dei risultati;

− gli impegni di ciascun soggetto firmatario e gli eventuali poteri sostitutivi in caso di inerzie, ritardi o inadempienze;

− i procedimenti di conciliazione o definizione dei conflitti tra i soggetti partecipanti all’accordo.

Si tratta quindi di uno strumento di programmazione operativa che consente di dare immediato avvio agli investimenti previsti.

Il contratto di programma, d’altro canto, è un contratto stipulato tra amministrazione statale, grandi imprese, consorzi di piccole e medie imprese, e rappresentanze di distretti industriali, per la realizzazione di iniziative atte a generare significative ricadute occupazionali, anche riferibili ad attività di ricerca e di servizio a gestione consortile.

I punti qualificanti del contratto di programma sono: l’oggetto del contratto, con la definizione delle reciproche obbligazioni e la descrizione dettagliata del piano progettuale; l’impegno finanziario dell’operatore; il tipo e l’entità delle agevolazioni; i tempi di realizzazione; le dotazioni infrastrutturali a carattere collettivo; le ricadute occupazionali dirette ed indirette nell’area d’intervento e nel più ampio bacino occupazionale; i modi di erogazione delle agevolazioni; la durata del contratto.

Il contratto d’area, infine, è uno strumento operativo concordato tra amministrazioni, anche locali, rappresentanze dei lavoratori e dei datori di lavoro ed eventuali altri soggetti interessati, per realizzare azioni finalizzate ad accelerare lo sviluppo e creare nuova occupazione in territori circoscritti. Le sue finalità prioritarie consistono, quindi, nella realizzazione di un ambiente economico favorevole ad attirare iniziative imprenditoriali e nella creazione di nuova occupazione mediante lo stimolo agli investimenti. Questo istituto costituisce in realtà un’evoluzione dello strumento del patto territoriale, dal quale differisce principalmente per la possibilità di concentrare gli investimenti in aree più limitate e su iniziative imprenditoriali di minore portata, e per l’esclusiva utilizzabilità in zone colpite da gravi crisi occupazionali.

I principi della negoziazione, dunque, sono molto delicati in quanto devono mirare alla risoluzione di possibili contrasti, favorendo il dialogo e il confronto continuo, per cui esistono molte tecniche principalmente riferibili alle alternative dispute resolution (Grandori, 1999), ovvero uno strumento che si specifica in una serie di tecniche, che riprendendo Meghnagi (2002)52, consistono in: Binding arbitration, conciliation,

comparative problem solving, dispute panels, early neutral evaluation, facilitation, factfinding, interest based problem solving, mediated arbitration, mediation, non binding arbitartion, partnering, peer review.

La tecnica del Binding arbitration, per definire una decisione vincolante, rilascia la rappresentazione della disputa ad un soggetto imparziale o neutrale, ovvero un

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129 soggetto che non presenti alcun interesse nelle parti in causa, nonché prevede la presenza di un decision maker che impone il suo parere senza lasciare spazio alla trattativa.

La conciliation, spesso applicata insieme ad altre tecniche, invece, presuppone la presenza di un conciliatore del processo negoziale, spesso totalmente neutrale e senza potere decisionale finale, il cui compito è quello di creare relazioni positive fra le parti, facilitando la comunicazione, chiarendo le percezioni distorte e creando fiducia al fine di giungere ad una reale e coerente risoluzione dei problemi.

La tecnica definita cooperative problem solving a differenza delle precedenti, non presenta una figura terza tra le parti, in quanto queste ultime collaborano e competono tra di loro mediante accordo diretto.

Cosa contraria avviene nell’utilizzo della tecnica di dispute panel, in cui possono essere presenti più persone terze, alle quali viene affidato il compito di comunicare e informare, nonché di controllare i dati e suggerire l’utilizzo di modalità utili all’appiattimento delle divergenze.

Anche la early neutral evaluation per avere una valutazione non vincolante si avvale di un supporto tecnico, ovvero di una figura terza neutrale ed esperta, in grado di favorire la definizione di punti di forza e di debolezza oggettivi e distaccati.

Ugualmente, al fine di incrementare il flusso delle informazioni durante gli incontri di lavoro, la facilitation si avvale di un facilitatore, appunto, che lavora a contatto diretto con tutti i partecipanti, dando soprattutto indicazioni procedurali utili per raggiungere in modo più efficiente la risoluzione dei problemi.

Nell’applicazione della tecnica del factfinding, invece, le diverse parti possono essere affiancate o da un singolo soggetto o da un gruppo di esperti neutrali, la cui opinione non è vincolante e, come visto per le atre tecniche, spetta loto il compito di determinare i fatti oggetto della disputa e in alcuni casi di dare suggerimenti circa la strutturazione procedurale.

La tecnica dell’interest based problem solving, al fine di verificare e definire gli obiettivi, nonché di mappare le opportunità di risoluzione del problema mediante la costruzione della fiducia reciproca tra le parti, si avvale, anch’essa, di una figura terza per tutto il processo di negoziazione.

Altra tecnica, inoltre, è quella definita mediated arbitration, la quale rappresenta una variante alla tecnica dell’arbitration53; essa si avvale in alcuni casi di due parti esterne: la prima per mediare la disputa, mentre la seconda per arbitrare, alla fine del processo di mediazione, eventuali obiettivi.

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La tecnica dell’arbitration prevede la presenza di un terza parte il cui giudizio in alcuni casi di

L’inserimento di un mediatore tra le parti, caratterizza altresì la tecnica del

mediation, in cui, anche in questo caso, allo stesso mediatore, seppur senza alcun

ruolo decisionale, viene riservato il compito di ausilio al fine di perseguire il raggiungimento dell’accettazione della soluzione da ambedue le parti. Tale tecnica viene applicata nel caso in cui la polarizzazione delle parti è molto elevata per cui è necessaria una figura imparziale e neutrale in grado di direzionare e controllare la disputa.

Il non binding arbitartion, invece, si avvale di un arbitro, il quale può esprimere una decisione vincolante solo se questa viene ritenuta tale dalle diverse parti in disaccordo, ed è una tecnica adottata per risolvere in modo oggettivo e veloce la disputa.

Differente è la tecnica del partnering, in quanto previene le dispute intensificando l’attività di team tra le parti, potenziando la comunicazione e creando l’attitudine al

problem-solving.

A tal proposito, un tecnica specifica del problem-solving è quella definita peer

review, ovvero una tecnica che anticipa la trasformazione della disputa in problema,

mediante la creazione di un panel o di un gruppo di individui, ai quali viene esposta la questione, da presentare poi ai tradizionali forum.

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